Creato da NeverInMyName il 09/11/2005

NeverInMyName

Gli orrori della guerra, una macchia sull'umanità. Per non vanificare il sacrificio di tante vittime, per non assistere inermi a un altro Vietnam, per non giustificare un'altra invasione come quella in Iraq. Per dire mai più a un altro Darfur: stand up togheter!

 

Messaggi di Febbraio 2007

Ora che non ci sono più militari italiani si parla di meno di Iraq

Post n°426 pubblicato il 28 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

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Ma le tragedie continuano e muoiono sempre più bambini innocenti

I bambini morti per un'autobomba a Ramadi, le persone saltate in aria in un mercato a Bagdad oggi, sono solo alcune delle vittime innocenti del fondamentalismo becero che sta dilaniando l'Iraq. E nessuno riesce a fare nulla per impedire che queste tragedie continuino a susseguirsi e a colpire vittime innocenti... ma in Italia si sta perdendo di vista quello che avviene quotidianamente in questo paese piombato nella guerra civile dopo aver subito i bombardamenti delle truppe americane...

Ma io vorrei che si levasse un coro di 'NOOOOOO!': i bambini no, no e poi ancora no. Nono riesco ad accettare che nessuno abbia potuto evitare che dei poveri indifesi fossero spazzati via in un attimo dalla vigliaccheria e dalla ferocia.
Non è possibile assistere ancora a questa mattanza dopo che per anni il paese è stato sotto scacco di una dittatura. Sciiti e sunniti in Parlamento devono necessariamente trovare la forza per un accordo che metta fine a questi inaccettabili crimini.

Lo possono fare, lo devono fare. Per il bene del paese e del suo patrimonio più importante: i bambini, il futuro dell'Iraq democratico. E mi auguro che la comunità internazionale faccia di più per dare un freno a questa terribile mattanza.

 
 
 

Rotto il silenzio sul genocidio che si consuma ogni giorno in Sudan

Post n°425 pubblicato il 27 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

Darfur, l'Aja riconosce i crimini di guerra

e chiede l'arresto di politici del governo di Karthoumimmagine

La notizia è di poche ore fa: il procuratore della Corte penale internazionale ha accusato di crimini di guerra l'ex ministro degli interni sudanese Ahmed Haroun e il capo di una  milizia, Ali Muhammad Ali Abd-al Rahaman, conosciuto come Ali  Kushayb, e ha invitato i giudici ad emettere un mandato di  comparizione contro di essi.
Insomma finalmente si muove qualcosa: qualcuno pagherà per il genocidio che da oltre tre anni insanguina la regione del Sudan. Forse adesso l'opinione pubblica italiana - e soprattutto gli organi di finroamzione - comincerà a interessarsi un po' di più della tragedia che si sta consumando in Darfur.

Se volete saperne di più, senza dover tornare a tutti i post che ho scritto sull'argomento, potete leggere il riepilogo della crisi di questi quattro anni che. vale la pena di ricordarlo. ha causato migliaia di morti (circa 200.000  secondo l'Onu) e due milioni di profughi.  

- MAR 2003: due movimenti, l'Esercito di liberazione del Sudan (Sla) e il Movimento per la giustizia e l'equita' (Jem),   lanciano una rivolta per opporsi alle violenze delle milizie arabe legate, a loro giudizio, al governo centrale di Khartoum.

- 8 APR 2004: a N'djamena (capitale del Ciad), il governo  sudanese e i ribelli del Darfur firmano un cessate il fuoco. L'accordo prevede garanzie per l'accesso alla regione di organizzazioni umanitarie e la liberazione dei prigionieri.

- 15 LUG: ad Addis Abeba, sotto l'egida dell'Unione africana, cominciano, tra mille difficolta', i colloqui di pace tra il    governo sudanese e i movimenti ribelli.

- 31 GEN 2005: la commissione d'inchiesta dell'Onu, presieduta  dal giurista italiano Antonio Cassese, consegna il rapporto sul  Darfur. Cassese, pur ammettendo che il governo del Sudan ''non ha perseguito una politica del genocidio nel Darfur'', afferma che ''abusi riconosciuti internazionalmente come crimini contro    l'umanita' e crimini di guerra sono stati commessi nel Darfur e sono forse non meno gravi di un genocidio''.

- 29-31 MAR: per arginare la violenza, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approva due risoluzioni per l'applicazione di sanzioni mirate contro individui che commettono atrocita' e autorizza il deferimento degli imputati di crimini di guerra alla Corte Penale Internazionale.

- 13 MAG: dopo una settimana di trattative presso la Comunita' di Sant'Egidio, a Roma, l'Sla e lo Jem raggiungono un accordo   per tornare al tavolo dei negoziati di Abuja (Nigeria), sotto gli auspici dell'Unione africana.

- 24 NOV: il Sudan accusa il Ciad di condurre incursioni nel  territorio sudanese e di sostenere i ribelli. Il governo del Ciad respinge le accuse. L' 8 febbraio 2006, a Tripoli, Sudan e  Ciad firmano un accordo di pace.

- 23 APR 2006: in un messaggio audio il leader di al Qaida Osama bin Laden esorta i musulmani a ''prepararsi ad una guerra di  lunga durata'' nel Darfur.

- 5 MAG: il governo sudanese e la principale fazione dell'Sla  firmano ad Abuja un accordo di pace. L'accordo prevede, tra l'altro, un'integrazione delle forze ribelli nell'esercito e polizia, impegni sul disarmo ed il controllo delle milizie dei 'janjaweed'. Non firmano l'accordo una branca dell'Sla e il Jem  che danno vita al Fronte per la redenzione nazionale (Nrf).

- 31 AGO: il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, con 12 voti a favore e tre astenuti (Russia, Cina e Qatar), approva l'invio di una forza internazionale di pace. La risoluzione precisa che le truppe (fino a 22.500 uomini) non saranno dislocate senza unìesplicita luce verde da parte del governo di Khartoum.

- 20 SET: il presidente sudanese Omar al Bashir, nel suo intervento all'Assemblea Generale dell'Onu, ribadisce un no deciso all'arrivo dei Caschi Blu dell'Onu in Darfur.

- 28 NOV: il presidente sudanese afferma che il conflitto nel Darfur ha provocato, dal 2003, meno di 9.000 morti, smentendo cosi' le 200.000 vittime stimate dall'Onu in un rapporto pubblicato il giorno prima.

- 30 NOV: l'Unione Africana proroga di sei mesi il mandato della sua forza di pace (Amis) nel Darfur.

- 13 DIC: in una sessione straordinaria a Ginevra, il Consiglio di sicurezza dell'Onu dei diritti umani approva una risoluzione per l'invio di una missione di cinque esperti altamente qualificati in Darfur. La risoluzione non condanna le violazioni commesse nella regione ma esprime preoccupazione per la gravita' della situazione e preme per un accordo di pace.

 
 
 

Post N° 424

Post n°424 pubblicato il 26 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

Diario dalla Beirut di oggi, una città vuota e blidata... sola.

Una città che trema ogni giorno e di notte prova a sorridere

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Calma apparente, pochi pedoni in strada, negozi e ristoranti vuoti... è una Beirut quasi spettrale quella che mi ritrovo a visitare appena arrivata nella capitale del Libano. Sono da poco passate le 22, è sabato, solo qualche anno fa la città sarebbe stata nel pieno della serata: locali aperti fino a tardi, migliaia di persone in giro per le vie più immagine'in' alla ricerca del ristorante più chic e tanta, tanta voglia di divertirsi, senza limiti, senza pudore... Ma oggi Beirut è diversa. Molto diversa...

E' terminato da pochi giorni il coprifuoco proclamato a seguito degli incidenti e gli scontri a fuoco tra sostenitori del governo e militanti dell'opposizione filosiriana, divampati all'università di Beirut qualche settimana prima e che hanno causato la morte di cinque persone e il ferimento di altre venticinque. Le auto hanno ripreso a circolare, ma le immaginestrade sono continuamente pattugliate da colonne di mezzi blindati o jeep dell'esercito, domina una calma carica di tensione. 
Ci sono posti di blocco lungo tutte le principali arterie e nei maggiori
incroci. Tutto ciò per evitare nuove violenze tra le fazioni politiche: sono state persino erette delle barriere tra Piazza dei Martiri e la vicina R
iad al Soh, dove da mesi sono accampati i seguaci immaginedell'opposizione per chiedere le dimissioni di Siniora. Sono in centinaia, stipati in decine di tende:  la gente di Hezbollah protesta così.
Ma c'è l'altra faccia di Beirut... quella dei manifesti con l’immagine dell’ex premier Hariri, ucciso in un attentato due anni fa, con le scritte “Ci manchi”, “Siamo con te” e “Ti temevano e ti hanno ucciso”... quella del mausoleo piantonato dalla polizia giorno e notte con il contatore che segna i giorni trascorsi dall’omicidio... senza che gli autori siano stati catturati. Sul luogo dell’esplosione di un anno fa è stata eretta una scultura circolare composta da vetri colorati, che rappresentano i differenti aspetti sociali e religiosi del immagineLibano, con incise le parole: “verità, libertà, e giustizia per tutti”. Mentre vicino alla tomba di Hariri, sempre ricoperta di fiori, i giovani di Movimento Futuro hanno costruito una piramide composta da 35 mila libri. Sono volumi donati da tutti i giovani che Hariri, con le sue fondazioni, ha contribuito a educare: i meno privilegiati, gente di qualsiasi religione in tutte le città del Libano. Al centro della struttura, una bibbia e un corano.
E c'è anche un'altra Beirut... quella dei giovani che la notte si ritrovano per continuare a vivere. Certo è una voglia di divertirsi che cela una tensione più subdola, vestita da un equilibrio vero ma precario. Tra gli impegni di studio, il lavoro e - nel periodo di novembre l’osservanza del immagineRamadan – non si incontra
molta gente per strada prima del tramonto.
Col buio, però, alcuni locali notturni si affollano dell'ultima generazione di Beirut, quella che nonostante tutto non vuole lasciarsi schiacciare dalla paura. Sui divani delle poche discoteche aperte si alternano giovani che fumano insieme immaginel’arghilè: dalla ragazza in minigonna, a quella che indossa il velo sul capo, dai ragazzi
vestiti secondo la più recente moda occidentale-americana, a quelli che si rilassano dopo l’ultima esibizione rap arabo-inglese, a quelli in giacca e cravatta o jeans e maglione. In tutti si percepisce questa smania di vita, repressa dalla quotidianità e che solo di notte riesce a fuoriuscire per qualche ora... 

Tutto questo è Beirut oggi. Questa è la Beirut che ho visto qualche giorno fa... ma spero di tornare presto e trovare una città diversa, una città sicura e senza paura, una città viva!

Per chi volesse vedere le altre foto scattate dalla sottoscritta in Libano entrate nel mio spazio su Blogger. Buona serata!

 
 
 

Una speranza per non gettare via una vita...

Post n°423 pubblicato il 25 Febbraio 2007 da NeverInMyName

Oggi vi segnalo un'iniziativa lodevole, un progetto della sanità italiana che funziona, partito grazie alla buona volontà e all'impegno degli operatori che lo hanno ideato. Si tratta del servizio "Non abbandonarlo. Affidalo a noi" del Policlinico Casilino di Roma, che permette a chi non vuole o non può tenere un bambino di lasciarlo in immagineuna struttura sicura e protetta, situata all'incrocio tra via Tucani e via Casilina, e realizzata in modo da garantire l'anonimato ai genitori.
Ieri sera, ed è per questo che ne sono venuta a conosenza, è stato salvato il primo neonato,  un maschietto di 6 chili, probabilmente nato da quattro-cinque mesi, in buone condizioni di salute.
Lo hanno chiamato Stefano. 
Quando è giunta la segnalazione della presenza del piccolo, il personale del pronto soccorso e quello del reparto di neonatologia sono subito intervenuti e lo hanno ricoverato nel reparto di patologia neonatale. E lì, ne sono certa, ci rimarrà poco perché di sicuro in tanti chiederanno di adottarlo...
Insomma una storia a lieto fine che, grazie a questo servizio, non sarà l'unica... anche se, dietro a una decisione simile, c'è sempre un grande dramma.
In media i bambini abbandonati alla nascita in un anno sono una trentina, la metà muore quasi subito e soltanto uno su 10 viene ritrovato e salvato. E questi sono dati riferiti solo a Roma. E' per questo che un servizio come quello del Policlinico casilino non dovrebbe essere un'eccezione...

 
 
 

Soli contro tutti pur di essere i più forti, pur di fare del male...

Post n°422 pubblicato il 24 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

Cluster bomb: gli Usa dicono no alla messa al bando 

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Mi sono sempre smarcata dall'antiamericanismo viscerale di alcuni esponenti della sinistra radicale, nonostante io sia fortemente critica nei confronti dell'amministrazione Bush, Ma oggi mi sento molto più vicina ai sentimenti dei vari Diliberto e compagni.  E vi spiego perché...
Ieri pomeriggio si è chiusa la Conferenza internazionale per la messa al bando delle cosiddette "cluster bomb". Sei agenzie delle Nazioni Unite e cinquanta organizzazioni della società civile di tutto il mondo sono arrivate alla determinazione che vadano bandite immediatamente.
Se la maggior parte dei presenti alla conferenza si è detta d'accordo, gli Stati Uniti hanno fatto sapere che non intendono rinunciare alle bombe a grappolo e respingono la proposta di renderle illegali dal 2008, così come è stato chiesto a Oslo da 46 Paesi di tutto il mondo.
Da Washington confermano che "queste munizioni continueranno a far parte dell'arsenale statunitense e saranno usate rispettando appropriate regole di ingaggio". Insomma che vadano pure avanti coloro che si sono impegnati nella stesura di un nuovo trattato che dovrà essere pronto entro il prossimo anno, loro continueranno per la loro strada ignorando e disattendendo l'eventuale moratoria.
Che dire di più... Beh, su gli States non voglio sprecare più una parola. Ma vorrei 'raccontarvi' quello che questo tipo di ordigno è in grado di fare agli sventurati che gli capitano a tiro. Dire che causano sofferenze inaccettabili alle popolazioni civili è poco. Si tratta di bombe che, nell'impatto al suolo, disseminano centinaia di munizioni più piccole: molte restano inesplose nel terreno, pronte a scoppiare quando urtate inavvertitamente. I rapporti delle principali organizzazioni umanitarie testimoniamo che il maggior numero di vittime tra la popolazione civile sono soprattutto i bambini. Vi risparmio i particolari, ma se volete saperne di più potete vedere con i vostri occhi quanto possano dilaniare un essere umano queste armi micidiali. Vi avverto le immagini sono molto crude.
Le conseguenze di queste munizioni, ricorda la 'Cluster Munition Coalition sono visibili in molti Paesi teatro anche di recenti conflitti: Afghanistan, Kosovo, Libano, Iraq. Nonostante Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, India, Cina, Canada e Francia abbiano ancora questi ordigni nei loro arsenali, nel corso dell'ultimo anno il consenso attorno a una moratoria sulle bombe a grappolo è cresciuto tanto. Il governo belga è stato il primo a metterle al bando, seguito dalla Norvegia cui va il merito di avere promosso un'iniziativa internazionale per arrivare a una moratoria collettiva.

 
 
 

Una condanna che per una volta fa VERA giustizia

Post n°421 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

Cento anni di carcere per il militare che stuprò e uccise

una ragazza di 14 anni e sterminò tutta la sua famiglia

Eccomi qua... parto per il Libano torno e non trovo più il immagineGoverno Prodi... Bel casino! Secondo il mio modesto parere non sarà facile sbrogliare la matassa della complicata situazione politica, anche se mi auguro che il centrosinistra riesca a superare la crisi. Prodi, però, non ha i numeri che il presidente Napolitano chiede per ridargli l'incarico, eppure la sua maggioranza preme per il rinvio alle Camere. Mah, staremo a vedere.
Intanto in questo post volevo parlarvi di una sentenza che, una volta tanto, fa DAVVERO giustizia! 
Vi ricordate di quel militare che aveva violentato e ucciso in Iraq una ragazza di 14 anni e poi aveva sterminato la sua famiglia? Ebbene è stato condannato a cento anni di prigione. Paul Cortez, un sergente dell'esercito americano, aveva  confessato di essere stato tra i cinque soldati che si resero protagonisti, nel marzo 2006, dello strupro e degli omicidi di Mahmudiyah, una cittadina a sud di Baghdad, mentre stavano abusando di alcool e giocando a carte presso una postazione di controllo. Questa confessione gli ha risparmiato la pena di morte... Purtroppo per uno condannato tanti altri che hanno commesso crimini simili se non peggiori - anche se è sinceramente difficile essere ancora più efferati - non pagheranno mai le loro colpe.

Ben ritrovati!

 
 
 

In Vigilanza Rai l'appello per il Darfur: un passo avanti per IB4D

Post n°420 pubblicato il 16 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

La battaglia di Italian Blogs for Darfur per immaginechiedere maggiore visibilità per l'informazione sul conflitto nella regione del Sudan ha registrato una piccola vittoria.

L'onorevole Marco Beltrandi, membro della Commissione Vigilanza RAI, da noi contattato nei giorni scorsi, si farà portavoce della richiesta del nostro movimento in seno alla Commissione. Tanto che poco fa sull'Ansa è uscito un nostro comunicato congiunto di cui vi riporto il testo.
Credo che sia un passo importante, che ci debba incoraggiare ad andare avanti affinché qualcosa cominci a cambiare.
Vi abbraccio e saluto con affetto. Per alcuni giorni non sarò presente. Parto per il Libano, stavolta per lavoro. Al mio ritorno vi racconterò che situazione ho trovato.

A presto. Anto

RAI: BELTRANDI, APPELLO PER DARFUR IN VIGILANZA

(ANSA) - ROMA, 16 FEB - L'appello promosso da 'Italian Blogs  for Darfur', per chiedere alle maggiori testate televisive italiane maggiore informazione sul conflitto in atto nella  regione del Sudan, e' stato fatto proprio da Marco Beltrandi, membro della Commissione Vigilanza Rai, che si fara' portavoce della richiesta in seno alla Commissione. Il deputato della Rosa nel Pugno ''condivide gli interrogativi posti da Italian Blogs for Darfur sulla qualita' dell'informazione nel servizio pubblico televisivo e auspica una maggiore attenzione da parte dei media alla tragedia che si sta consumando nell'indifferenza globale''.

''Da quando ha fatto la sua prima comparsa sul web, l'appello di Italian Blogs for Darfur ha raccolto numerose adesioni. Ad  oggi sono state raccolte oltre mille firme. Oltre all'azione continua di decine di bloggers sensibili al destino del terzo  mondo, in particolare alle crisi e alle guerre dimenticate - spiega una nota - anche alcuni noti esponenti della politica  italiana, difensori dei diritti umani, e personaggi dello  spettacolo hanno dato il loro sostegno a Italian Blogs for  Darfur, firmando l'appello e rendendo pubblica la loro adesione. Tra questi  Marco Cappato. Daniele Capezzone. Marco Pannella, Antonio Polito, Gianni Vernetti, Marco Taradash, Yasha Reibman, Caparezza, Cesare Cremonini e Subsonica''.(ANSA).

STF

16-FEB-07 14:06

 
 
 

Morire a diciott'anni per il mito della passerella...

Post n°419 pubblicato il 15 Febbraio 2007 da NeverInMyName

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A sei mesi dalla morte del top model uruguayana Luisel Ramos, fulminata da un attacco di cuore mentre sfilava in passerella, la stessa sorte è toccata a sua sorella, Eliana anche lei modella e conosciuta nell'ambiente delle sfilate con il nome di «Elle» Eliana aveva appena 18 anni ed è stata trovata morta nella sua stanza da letto da sua nonna, con la quale viveva. Il giudice che ha avviato un'inchiesta sul decesso della ragazza ha ordinato l'autopsia sul corpo. Ma i media indicano l'anoressia come causa probabile della morte. Fino a qua la notizia... La mia riflesione?

Beh, non riesco proprio a concepire che tante giovani modelle, per essere sempre più belle, più quotate nel loro lavoro, quel lavoro che per molte di loro diventa l'ossessione del peso, la paura di ingrassare e, quindi, il conseguente rifiuto del cibo, possano morire a nemmeno vent'anni, con dentro tanta inquietudine e poca, inconsistente, esperienza di vita... Una vita che vale molto di più di una fredda e, spesso, solitaria passerella!

 
 
 

Post N° 418

Post n°418 pubblicato il 14 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

Negati i visti per la missione in Darfur: l'Onu farà rapporto

 ...ma intanto il massacro continua

La Missione di alto livello dell' Onu ha dovuto rinunciare a immaginerecarsi nel Darfur per indagare sulla violazione dei diritti umani perché le autorità del Sudan non hanno concesso i visti necessari per entrare nel Paese. 
La Missione - hanno annunciato le Nazioni Unite oggi a Ginevra - non intende tuttavia astenersi dall'indagare sulla situazione nella martoriata regione sudanese, né dal presentare un rapporto.
Guidata dal Premio Nobel per la pace Jody Williams,
la Missione raccoglierà tutte le informazioni pertinenti da
località fuori dal Sudan.
''Il rapporto sarà presentato come
previsto'', ha detto Williams.
Nominata dal Consiglio dell'Onu per i diritti umani, la Missione di sei membri era partita sabato scorso da Ginevra per una prima tappa ad Addis Abeba, dove sperava di ottenere i visti per il Sudan. Ritenendo che l'incertezza sul rilascio dei visti non potesse più durare, Jody Williams ha annunciato che la missione andr° comunque avanti, raccogliendo però le informazioni necessarie fuori dal Sudan. Per esempio nel vicino Ciad, tra i 200mila rifugiati fuggiti dal Sudan.  
La missione dovrebbe tornare a Ginevra il 21 febbraio e   presentare un rapporto al Consiglio dei diritti umani nel corso della prossima sessione (12 marzo-5 aprile).
Prima della partenza, la Williams, attivista statunitense insignita del Nobel (1997) per la campagna contro le mine antiuomo, si era mostrata determinata sul rilascio dei visti da parte di Khartoum. Ma secondo alcune fonti, le autorià sudanesi avrebbero mantenuto obiezioni nei confronti di uno dei sei membri della Missione, il professore Bertrand Ramcharam, ex Alto commissario dell'Onu per i diritti umani.
L'Onu ha a più riprese denunciato la gravissima situazione umanitaria e dei diritti umani nel Darfur, dove si stima che dal 2003 più di 300.000 persone siano morte e oltre due milioni siano state allontanate dalle loro case a causa delle violenze e del conflitto che oppone milizie, che il governo di Khartoum è accusato di appoggiare, e gruppi ribelli.
Quella sul Darfur, non é la prima missione d'inchiesta del neo-Consiglio dell'Onu sui diritti umani che non ha ricevuto i visti di entrata. Proprio un altro Premio Nobel della Pace, l'arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu non aveva ottenuto l'autorizzazione di Israele a compiere una visita nella regione per indagare per conto dell'Onu sulla strage di Beit Hanoun, nella Striscia di Gaza.rilasciato i necessari visti di entrata.   

 
 
 

Nuova mattanza giapponese di balene a 'fini scientifici'...

Post n°417 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da NeverInMyName
 

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E a Tokio si chiede di riaprire la caccia commerciale ma la maggioranza dei paesi dice no

E' scontro aperto ormai nei mari antartici fra gli attivisti del gruppo ambientalista radicale Sea Shepherd, e la flotta baleniera giapponese impegnata nella caccia 'a fini scientifici' di circa 1.000 cetacei in questa stagione estiva. Ieri si sono verificate due collisioni fra una delle due navi dell'organizzazione e una nave giapponese di avvistamento delle balene.
Il leader della Sea Shepherd Paul Watson ha detto per telefono alla radio australiana Abc che l'incidente è avvenuto quando le due navi del gruppo, la Robert Hunter e la Farley Mowat, hanno intercettato la nave giapponese Kaiko Maru che inseguiva un branco di balene. La Kaiko Maru avrebbe quindi speronato due volte la Robert Hunter aprendo una falla di un metro nello scafo, sopra la linea d'acqua.
Secondo i giapponesi, che hanno 'accusato' il gruppo di agire come pirati, la Kaiko Maru è stata invece attaccata sui due fianchi dalle due navi degli ambientalisti, ed ha lanciato un segnale di soccorso per chiedere aiuto ad un'altra nave della flotta. Non vi sono stati feriti e la nave non ha riportato gravi danni.
La collisione è l'ultimo episodio nel duello fra le baleniere giapponesi e gli attivisti della Sea Shepherd, nata da una scissione da Greenpeace, i cui obiettivi dichiarati sono di ''molestare, bloccare, ostruire e intervenire contro'' le baleniere giapponesi. Venerdi' scorso, due attivisti del gruppo sono rimasti dispersi nella fitta nebbia per 7 ore, dopo aver danneggiato il loro gommone nel tentativo di bloccare con una rete d'acciaio l'elica della nave-mattatoio della flotta.
In altre azioni di disturbo, gli ambientalisti hanno lanciato bottiglie di acido butirrico maleodorante e bombe fumogene, cosa che ha indotto i giapponesi a chiamarli ''terroristi'', dopo che due membri dell'equipaggio erano rimasti leggermente feriti. 
Watson ha avvertito che la Farley Mowat, su cui viaggia, è rimasta quasi senza carburante e che spera di riuscire a travasarne una certa quantità dalla Robert Hunter. Ma con quella nave ora danneggiata, il futuro della protesta rimane incerto.

La caccia commerciale alle balene è proibita su scala globale dal 1986, e i mari intorno al continente Antartico sono diventati santuario internazionale dei cetacei, ma il Giappone ha potuto finora eludere il divieto affermando che la caccia è a fini scientifici. Nell'ultimo anno hanno ucciso almeno 1500 esemplari, usando - tra l'altro - arpioni esplosivi.
Le balene vengono macellate in una grande nave mattatoio e la carne, altamente pregiata in Giappone, finisce nei mercati e nei ristoranti. Proprio per questo, mentre in mare lo sconfro tra gruppi di protesta e baleniere è sempre più duro, a Tokyo si manifesta per chiedere la ripresa della caccia  commerciale ai cetacei.
Ma dei 72 paesi membri della Conferenza Internazionale sulle Balene solo 35, ovviamente quelli favorevoli, partecipano all'incontro, boicottato invece dal resto delle nazioni contrarie tra cui Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e la maggioranza dell'Unione Europea, tra cui l'Italia.

 
 
 

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