E' passato un anno da quando, quel 26 marzo del 2006, un tragico incidente ci ha portato via Angelo D'Arrigo, un uomo che osava sfidare la natura senza violarla. Mai!
"Io sono ospite della natura”, amava ripetere e credo che questo sia un concetto da diffondere, in modo che possa diventare un insegnamento per le nuove generazioni.
"Mi piacerebbe riuscire a far passare diffusamente un messaggio di grande rispetto per l’ambiente - diceva Angelo in un'intervista qualche mese prima di morire - Quando parlo di “ospite” voglio specificare che si tratta di questo: se sono ospite Suo, a casa Sua, in qualità di ospite cerco di rispettare nel modo migliore le regole nelle quali sono ammesso, le regole Sue. Invece, spesso l’uomo si sente padrone dell’ambiente, padrone dell’area che lo circonda. E questa è la peggiore conseguenza del fatto che le grandi Potenze hanno indotto il singolo a sentirsi proprietario dell’area in cui abita e respira".
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Angelo aveva solo 45 anni. Era un deltaplanista di fama mondiale votato «per amore della natura e della conoscenza», come ripeteva sempre lui, all'impresa estrema, era l'uomo che volava come fanno gli uccelli. Lungo le rotte del mondo, anzi sopra il mondo. Dagli uccelli aveva imparato, con loro ha vissuto, con loro ha volato. E il rapporto che Angelo aveva con le aquile, Chumi o Gea che fossero, era diventato a tal punto simbiotico che anche loro, le aquile, avevano imparato qualcosa da lui e gli erano volate accanto fin sopra l'Everest; le gru lo avevano seguito in volo dal Circolo Polare Artico fino al Mar Caspio. Avventure bellissime, portate avanti con determinazione, con grande volontà, ma soprattutto con il cuore...
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