Non Temerai Terrore

2.


Non ricordo neppure se pranziamo. Ricordo che parla, che dice “Andremmo d’accordo”, che dice che poi parte per Londra, e mi lascia la stanza. Ricordo che entra il padrone di casa, si siede sul letto. D’anni ne ha circa quaranta, se non lo sapessi gliene darei cento. Dice d’esser uscito dall’ospedale dopo un’operazione, enfisema. A quarant’anni. La dice lunga. E fuma. Fuma. È qui solo per questo, capisco. Poi s’alza, apre la porta, non si cura di richiudere, attraversa la casa, dritto fino alla sua stanza, e chiude la porta, questa volta si. Vederlo fuori da quelle pareti sarà raro, come avrò modo d’osservare. Io parlo poco, osservo. Si richiude la porta, mi racconto. Quanto manca, quanto non sa. Poco, in realtà, rispetto a quel che manca a me. Poi per strada, di corsa, c’è troppo da vedere, dice. Già l’odore delle prime caldarroste, ancora picchia il sole, stemperato dal vento pungente. Il sole batte su ogni muro, qui intorno. Sembra esser tutto d’un bianco pulito, quel bianco che ora m’è rimasto solo nei ricordi.Camminiamo, veloci, vedo quel che faccio in tempo. È il primo giorno. Torniamo a casa.“Oggi dormi in camera di Marika”, dice. Marika non c’è. E deve venire Marco, aggiunge. Non chiedo chi è Marco. Lo scopro dopo, un giorno che torna a casa e piange. In realtà nessuno d’importante, dice, compagno di letto, aggiunge, ma m’aspettavo altro. “Credevo mi sottovalutasse, poi ho capito ch’ero io a sopravalutare lui”. Una delle cose più belle che abbia mai sentito. E Marco poi non l’ho più visto. Fino a quell’ora ancora canne. Poi sonno, tranquillo.