Creato da: NonTemeraiTerrore il 26/08/2008
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Ti ringrazio.. è che in realtà il mio punto di vista è da...
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Bello, aspetto che continui. un consiglio da dilettante......
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#2

Post n°2 pubblicato il 26 Agosto 2008 da NonTemeraiTerrore

Ero una bambina, infondo, che giocava ad esser grande. Come ora, del resto.

In certi pomeriggi d’estate, la casa era affollata, parenti, rientrati per le vacanze.

L’astinenza da nicotina mi portava nei luoghi d’infanzia, quando un caro amico mi veniva a chiamare, per scavalcare il grosso cancello delle scuole elementari, e ancora, fumare.

Un quarto d’ora, più o meno, ogni ora, nelle elementari all’incrocio sotto casa. Sotto il sole.

Poi di nuovo, dentro, e così, fino alle ore più fresche.

“Ma Paolo cosa vuole da te?” chiedeva mia madre.

Era ossessionata, dal fatto che tutti mi chiedessero qualcosa. E soprattutto dal fatto che io gliela dessi. Quando invece nessuno m’ha mai chiesto nulla, neppure allora, senza metter sul piatto molto più peso, in cambio, senza che fossi io a mangiare per prima dal loro piatto.

“Parlare, vuole parlare”. Io rispondevo così.

Ed era vero. Il mio silenzio tacito assenso veniva pagato a caro prezzo, al tempo. Tacere era una delle poche cose che agli altri non riusciva fare.

 
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#1

Post n°1 pubblicato il 26 Agosto 2008 da NonTemeraiTerrore

Fumavo di nascosto.

Già conoscevo il sapore delle canne, ma fumavo di nascosto. L’estate, i miei dormivano, nel pomeriggio, quando ancora andava bene, insieme. Io nel sottoscala, a sollevare nuvole di fumo verso la loro finestra, chiusa per il caldo. Fumavo in fretta, in piedi, in silenzio, in ansia. Fumavo da sola, quando mia sorella non aveva alcuna intenzione di coprirmi le spalle, o farmi compagnia.

Nessuno mai lo sospettò. Puzzavo di sigaretta, tutto il giorno. Erano sempre i miei vestiti, per loro, portati troppo spesso a spasso nei bar, dove si poteva ancora fumare. Allora quell’odore non era “puzzo di sigaretta”,ma “puzzo di bar”.

La notte rientravo in casa, cinquanta metri prima del portone buttavo via la sigaretta, m’aspettava sveglia, mia madre, così da poter puntualizzare il mio ritardo, e dire “domani non esci”.

E puzzavo. Di fumo.

Allora chiedeva in che macchina fossi tornata a casa, già, perché era la macchina di qualcuno a puzzare di fumo, non io. Io m’impregnavo di odori altrui, non avevo un odore proprio, per lei.

“Chi t’ha accompagnato?”, chiedeva, chiedeva “Di chi è la macchina?”. L’idea di una macchina la notte la terrorizzava, le campagne attorno erano piene di clinex arrotolati negli spazi nascosti e vuoti. Per questo. Clinex usati, pieni di vita, asciuti di sperma seccata. E nessun preservativo. Credo fosse questo, a preoccuparla. O lo spero.

“Son venuta a piedi” dicevo, che quei clinex si, alcuni fuoriuscivano dalla mia borsetta, s’attardavano un po’, e poi uscivano dal finestrino della sua macchina. Scendevo dalla macchina 50 metri prima d’aver buttato la sigaretta, venti metri prima dell’incrocio sotto casa, dietro la curva.

“Puzzi di sigaretta” diceva “Qualcuno fuma”. Ed io che ci potevo fare, così rispondevo. Ma io no, io non potevo.

 
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