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Medicina e arte della cura (1/5)


Sin dall'antichità, nella mitologia la cura aveva almeno due diversi sistemi di connotazione:da una parte veniva intesa come preoccupazione per qualcosa o qualcuno ("il curarsi"),dall'altra come un dare o un fare per l'altro ("il curare").Queste due forme della cura sono presenti anche oggi e sono al centro dei tentativi contemporanei di definire un'etica della professione medica. Come ci ricorda W. T. Reich, professore emerito di bioetica all'Università di Georgetown, fondatore e direttore del "Project for the History of Care", nella storia della medicina non esiste un collegamento diretto e vincolante tra l'arte medica ed il "prendersi cura" come prassi medica.L'atteggiamento di cura dell'altro, nella storia antica, era parte integrante della vita, inglobato nei concetti di filantropia, simpatia, ospitalità, caritas (o αγάπη agape), con quel senso assunto poi nella religione cristiana di amore per il prossimo.[1]Se non nello specifico della medicina, dunque, la cura dell'altro era parte normale della vita quotidiana. La filantropia (dal greco φιλανθρωπία  filantropìa, composta da φίλος  filos e άνθρωπος antropos cioè "amore per l'uomo") ad esempio, cioè l'amore per quella natura finita che unisce tutti gli uomini davanti un unico destino, sebbene fosse uno dei cardini non solo dell'arte medica ma della cultura della Grecia classica, ricompare nel primo codice di etica medica solo nel 1847, redatto dall'Associazione Medici Americani, nel senso però di generico interesse per l'uomo, per una società moralizzata, intrisa dei valori medio-borghesi, ostentati almeno fino alla II metà del secolo scorso.(1/5) [1] Cfr. W. T. Reich, L'idea di simpatia: la sua importanza per la pratica e l'etica della medicina, in AA.VV., Il paziente, il medico e l'arte della cura, a cura di M. Gensabella Furnari, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 13-31.