Delitti quotidiani(racconti che viaggiano in un autobus della linea urbana) Appare all'improvviso, proprio quando sto per meravigliarmi della sua assenza, mentre aspetto infreddolito al capolinea l'autobus impreciso delle 6.30.Arriva quasi sempre alle spalle, qualunque sia la mia posizione, come se ci trovasse gusto a piombare sulla scena del delitto (in effetti di un delitto quotidiano si tratta) come la lama di un coltello scagliata da una mano invisibile e criminale.< E' partito il 104? >. Stessa frase, stessa coltellata inflitta al mio precario buonumore.< Sono le 6 e venti e ogni giorno si ostina ad interrogarci con lo stesso tono su un autobus della linea urbana che collega la periferia al centro. E mai una volta che questo cazzo di autobus si facesse trovare già pronto, scalpitante, in modo da lasciarci, per una volta, liberi da doverosi riscontri che ci costringono ad aprire gli occhi fino a pochi istanti prima tenuti socchiusi, immersi nell'oblio fatiscente del pazientate un altro po', per favore, ho ancora sonno>.Sembra leggersi questo pensiero lungo il filo invisibile che, ad ogni sua domanda, corre dal mio sguardo a quello della signora che scende da Boccadifalco, e da questa al ragazzo che se ne sta appoggiato al cartellone pubblicitario, per proseguire la corsa dentro gli occhi di un vecchio pensionato che trascorre la sua vita a ripercorre su e giù per tutto il giorno i tratti polverosi che collegano la memoria alla sua vita.Lui, il viaggiatore criminale, magro e con un viso allungato, ha due baffetti sotto il cordolo del naso che gli danno un'aria da soldato del passato.Di quelli di una volta, che vivevano in trincea nelle vecchie guerre persi ad aspettare un'ombra o un rumore all'orizzonte.Muove spesso, il reduce baffuto, con un movimento asimettrico e costante, entrambe le spalle, quasi per scrollarsi d'addosso, simulando, gli anni passati nei fossati, le battaglie immaginate, il gelo ed il freddo.Con ritmo intermittente, allo stesso tempo, chiude ed apre gli occhi come se accendesse o spegnesse dentro sè, continuamente, una luce o un interruttore. Il suo nome è un mistero, come è segreta (visto il tono lieve del suo raccontare) ogni sua confessione.Un giorno dice di chiamarsi Massimo e di essere stato un uomo di scorta di un famoso giudice saltato in aria tra Punta Raisi e Palermo.Racconta, inoltre, di essere sopravissuto a quel massacro sol perchè si trovava dentro un' altra macchina, dentro un altro istante, dentro un altro tempo.Aggiunge al racconto notizie sconcertanti, tipo quella di essere stato minacciato al telefono, proprio la sera prima dell'attentato, quasi che quella gente si fosse presa la briga di avvertirlo del botto che ci sarebbe stato, all'indomani, in autostrada, in pieno giorno. < Vedi le mie dita e le mie mani accartocciate? Sono così perche tenevo stretto a me, dopo lo scoppio, il mitra incandescente> . Ogni tanto tira fuori questo particolare per far capire che le sue non sono affatto balle.Un altro giorno, al ragazzo che se ne stava appoggiato al sostegno di ferro della obliteratrice ha confidato di chiamarsi Settimo Libero Cavalleggeri e di essere stato uno scienziato di fama quasi mondiale, per intenderci da Premio Nobel, come diceva lui, e che, sebbene caduto in disgrazia per via della sua militanza nelle Brigate Rosse e subìto in carcere anni di duro isolamento ed aspri interrogatori, egli ha strenuamente resistito, non rivelando nomi o fatti, pur perdendo di colpo gloria, fama, salute e soldi.Spesso gli uomini si raccontano e, raccontandosi, disegnano nell'aria le loro incredibili solitudini; a volte raccontano sogni diventati ricordi o gesti estremi di eroi dimenticati, altre volte intrecciano le parole con i loro più profondi tormenti per farne lunghe corde da lanciare in fondo ad infiniti pozzi.Sono storie ed invenzioni che aiutano a sopravvivere e a non morire anzitempo, piccoli gioielli che brillano nel cielo delle mille periferie senza stelle.Mi sembra strano che la sua voce mi colpisca sempre alle spalle nonostante che io giri armato di caffè, di specchi e di speranze.Come mi sembra strano che la signora che scende giù da Boccadifalco, prima che il gallo canti almeno cinque volte, sia in realtà una nobile ricamatrice che ha servito il Papa, il Re ed il Duce (questo è almeno quello che lei, al Massimo Cavallegeri, ogni tanto, dice!).Per fortuna ci siamo io ed il ragazzo a mantenere la giusta rotta; io, impassibile e preciso nel negare racconto ogni forma di riscatto, ed il ragazzo, curioso quanto basta per tenere alta la sua concentrazione o per fargli esclamare un 'oh', imbrattato con il suo giovane sorriso.Per fortuna che ci sono in giro uomini che non sanno stare zitti. A parte quelli che, come me, aspettano ogni mattina l'autobus delle 6.30 e che per loro l'alba non è mai affatto un buongiorno.A parte quelli che non si raccontano storie inventate o, magari, appartenute ad altri.Per fortuna o meno male che ci sono ancora gli autobus e gli uomini nelle strade.
Delitti quotidiani.
Delitti quotidiani(racconti che viaggiano in un autobus della linea urbana) Appare all'improvviso, proprio quando sto per meravigliarmi della sua assenza, mentre aspetto infreddolito al capolinea l'autobus impreciso delle 6.30.Arriva quasi sempre alle spalle, qualunque sia la mia posizione, come se ci trovasse gusto a piombare sulla scena del delitto (in effetti di un delitto quotidiano si tratta) come la lama di un coltello scagliata da una mano invisibile e criminale.< E' partito il 104? >. Stessa frase, stessa coltellata inflitta al mio precario buonumore.< Sono le 6 e venti e ogni giorno si ostina ad interrogarci con lo stesso tono su un autobus della linea urbana che collega la periferia al centro. E mai una volta che questo cazzo di autobus si facesse trovare già pronto, scalpitante, in modo da lasciarci, per una volta, liberi da doverosi riscontri che ci costringono ad aprire gli occhi fino a pochi istanti prima tenuti socchiusi, immersi nell'oblio fatiscente del pazientate un altro po', per favore, ho ancora sonno>.Sembra leggersi questo pensiero lungo il filo invisibile che, ad ogni sua domanda, corre dal mio sguardo a quello della signora che scende da Boccadifalco, e da questa al ragazzo che se ne sta appoggiato al cartellone pubblicitario, per proseguire la corsa dentro gli occhi di un vecchio pensionato che trascorre la sua vita a ripercorre su e giù per tutto il giorno i tratti polverosi che collegano la memoria alla sua vita.Lui, il viaggiatore criminale, magro e con un viso allungato, ha due baffetti sotto il cordolo del naso che gli danno un'aria da soldato del passato.Di quelli di una volta, che vivevano in trincea nelle vecchie guerre persi ad aspettare un'ombra o un rumore all'orizzonte.Muove spesso, il reduce baffuto, con un movimento asimettrico e costante, entrambe le spalle, quasi per scrollarsi d'addosso, simulando, gli anni passati nei fossati, le battaglie immaginate, il gelo ed il freddo.Con ritmo intermittente, allo stesso tempo, chiude ed apre gli occhi come se accendesse o spegnesse dentro sè, continuamente, una luce o un interruttore. Il suo nome è un mistero, come è segreta (visto il tono lieve del suo raccontare) ogni sua confessione.Un giorno dice di chiamarsi Massimo e di essere stato un uomo di scorta di un famoso giudice saltato in aria tra Punta Raisi e Palermo.Racconta, inoltre, di essere sopravissuto a quel massacro sol perchè si trovava dentro un' altra macchina, dentro un altro istante, dentro un altro tempo.Aggiunge al racconto notizie sconcertanti, tipo quella di essere stato minacciato al telefono, proprio la sera prima dell'attentato, quasi che quella gente si fosse presa la briga di avvertirlo del botto che ci sarebbe stato, all'indomani, in autostrada, in pieno giorno. < Vedi le mie dita e le mie mani accartocciate? Sono così perche tenevo stretto a me, dopo lo scoppio, il mitra incandescente> . Ogni tanto tira fuori questo particolare per far capire che le sue non sono affatto balle.Un altro giorno, al ragazzo che se ne stava appoggiato al sostegno di ferro della obliteratrice ha confidato di chiamarsi Settimo Libero Cavalleggeri e di essere stato uno scienziato di fama quasi mondiale, per intenderci da Premio Nobel, come diceva lui, e che, sebbene caduto in disgrazia per via della sua militanza nelle Brigate Rosse e subìto in carcere anni di duro isolamento ed aspri interrogatori, egli ha strenuamente resistito, non rivelando nomi o fatti, pur perdendo di colpo gloria, fama, salute e soldi.Spesso gli uomini si raccontano e, raccontandosi, disegnano nell'aria le loro incredibili solitudini; a volte raccontano sogni diventati ricordi o gesti estremi di eroi dimenticati, altre volte intrecciano le parole con i loro più profondi tormenti per farne lunghe corde da lanciare in fondo ad infiniti pozzi.Sono storie ed invenzioni che aiutano a sopravvivere e a non morire anzitempo, piccoli gioielli che brillano nel cielo delle mille periferie senza stelle.Mi sembra strano che la sua voce mi colpisca sempre alle spalle nonostante che io giri armato di caffè, di specchi e di speranze.Come mi sembra strano che la signora che scende giù da Boccadifalco, prima che il gallo canti almeno cinque volte, sia in realtà una nobile ricamatrice che ha servito il Papa, il Re ed il Duce (questo è almeno quello che lei, al Massimo Cavallegeri, ogni tanto, dice!).Per fortuna ci siamo io ed il ragazzo a mantenere la giusta rotta; io, impassibile e preciso nel negare racconto ogni forma di riscatto, ed il ragazzo, curioso quanto basta per tenere alta la sua concentrazione o per fargli esclamare un 'oh', imbrattato con il suo giovane sorriso.Per fortuna che ci sono in giro uomini che non sanno stare zitti. A parte quelli che, come me, aspettano ogni mattina l'autobus delle 6.30 e che per loro l'alba non è mai affatto un buongiorno.A parte quelli che non si raccontano storie inventate o, magari, appartenute ad altri.Per fortuna o meno male che ci sono ancora gli autobus e gli uomini nelle strade.