Non era un sogno

Tizio e suoi fratelli


    TiZIO E  I SUOI FRATELLIDa tempo stava meditando su come abbandonare quella vita di indeterminatezza,   su come  cambiare aria, nome e linguaggio.Finalmente, lontano dagli esempi in cui spesso veniva catapultato stava ritrovando l' identità negatagli; occorreva avere la forza di cambiare aspetto per poterle dare corpo e, soprattutto, ci voleve ancora   forza per  trovare  nuovi significati da appiccicarle addosso. Segnali gli giungevano che il momento era propizio. Per la prima volta aveva sentito l'espressione di un uomo farsi titubante, caricarsi di emozione nel dare  voce alla sua descrizione.il suo nome,  figlio di una dubbiosa conoscenza, aveva sollevato nel bel mezzo di una discussione una forma interrogativa di incertezza, facendo balenare, per un attimo, fra quelle menti, le  verità su certe cose dette per onor di firma, senza una ragione precisa, tanto per riempire le risposte con  capri espiatori da condannare  a morte.Lui non sarebbe stato più sinonimo d’uso comune da spiattellare ai quattro venti nelle giornate incerte del linguaggio. Oramai aveva deciso, il passo da fare era breve. Ne avrebbe parlato quella sera stessa alla sua gente. All’ora di cena rincasò e trovò i suoi fratelli ad attenderlo in cucina, seduti attorno al grande tavolo di legno. Salutò sua madre che era intenta ai fornelli a scaldare un intruglio che rassomigliava vagamente ad una zuppa minimalista di ceci e porri. Prese posto proprio quando il più anziano di tutti, Sempronio, puntò il suo sguardo su di lui chiedendogli “ adesso dicci perché hai voluto che fossimo tutti presenti.”. Tizio scrutò l’arcigno fratello, poi rivolse lo sguardo a Caio, che lo stava guardando di sottecchi,  e, rischiarando un poco la voce, iniziò a parlare:” Fin da quando ero bambino mi sono sempre chiesto se questo nostro essere additati come persone indefinite, non fosse in realtà un modo per non farci crescere e prendere coscienza che nessuno può rimanere sconosciuto nei rapporti umani. Sono abbastanza grande da capire che io voglio vivere una vita fatta di chiarezza, una vita in cui io possa, come gli altri, essere chiamato con un nome che racchiuda in sè la bellezza dell'appartenere ad un discorso più ampio, alla comunità propria delle frasi felici, a quella meravigliosa storia che è stampata nelle iniziali dei corredi umani. Da troppo tempo trascino dentro me il fardello pesante che mi diede il buon Irnerio prima e poi il vecchio Diocleziano, quando nell’annunciare al mondo me, te, o Grande Sempronio, e il tuo gemello Caio, volle che fossimo per sempre gli esempi eterni.”“ Avrei voluto amare come gli altri, innamorarmi di una donna dal nome certo e breve, provare l'emozione di essere l'eroe che tutti ricordano per il suo coraggio ed il suo valore;  ma voi ve lo siete mai chiesto cosa pensano di noi le ragazze quando comunichiamo i nostri nomi? Ridono di noi, ci chiamano "i vaghi" oppure " gli illustri sconosciuti". E anche voi Mevio, Filano e Calpurnio, pensate forse che io non veda quanto sofferenza c’è nei vostri occhi quando passando fra le parole, gli altri vi mettono da parte,  vi citano con disprezzo, magari cambiando umore, chiamandovi fantasmi oppure più semplicemente  –Mevio, Filano e Calpurnio-, quasi a non voler andare oltre un certo discorso volutamente nebuloso ed oscuro?“E che dire del piccolo Pinco Pallino messo alla berlina dai suoi giovani compagni   che gli fanno pagare  la colpa di non contare quasi nulla in questi tempi di effimere onnipotenze?”. Intanto,  era sceso sui presenti  un silenzio quasi teatrale; nella stanza si sentiva solo il bisbiglìo dei ceci e dei porri che risalivano inesorabilmente a galla dopo aver opposto all'acqua bollente una debole resistenza. La donna tolse la pentola dal fuoco, la poggiò sul marmo bianco. Riempì le loro scodelle, poi,  si girò e asciugò le sue mani sul grembiule che le stava appeso ai fianchi. Fissò a lungo i suoi figli, uno dopo l'altro, scavando dentro i loro occhi trincee invisibili e profonde che sarebbero, da lì  a poco, in qualche modo, potuto servir loro  come riparo o rifugio sicuro. Poi, lasciò che Sempronio, come sempre, ringraziasse il Cielo di averli conservati anche per quel giorno vivi. Si sedette accanto a Tizio, gli afferrò le mani, mentre gli altri figli si erano già catapultati nel fondo delle loro scodelle.“ Vedi figlio mio, tu hai ragione, io ti capisco. Tu vorresti passare il guado, tu vorresti andare oltre. Ma non noi non siamo come gli altri, noi non viviamo di eccessi. Siamo povera gente, citazioni a cui tutti eviteranno di dare volto o una benchè minima possibilità di scelta o di progresso. A torto o a ragione, non si può sfuggire al proprio destino di perdenti. Tuo padre è andato in barca, ha attraversato la notte insieme a tanti altri sperando di trovare nelle  parole di altre lingue una vita migliore di questa che noi trasciniamo  duramente.Eppure il suo sogno si è infranto contro le onde giganti della notte."."E' stato uno dei tanti", disse frapponendo, a caso, brevi pause  nella ripetizione all'infinito   di  quel concetto striminzito. "Uno fra i tanti, così dicono di lui su Google. Padre e Dio assoluto degli esempi. Per questo non sarà un nome a mantenerci in vita, figlio mio, ma il battito del cuore che regala in silenzio a chi lo sente  un altro attimo di follia dirompente ".Poi scese dal tetto una pioggia di stelle, di stelle generiche, di quelle che cadono senza tanti riconoscimenti, senza code o carri a bardarne i fragili lineamenti; Tizio guardò i suoi fratelli e li vide abbracciarsi l'uno con l'altro. Gli anonimi segni di inquietitudine, che ne marcavano i profili, si erano, ad un tratto, dai loro visi,  dileguati. Non c'era campo per il dolore dalle  parti della loro vita. La loro pelle profumava di mare e di frontiera.  Macilenta, se ne stava a terra l'ombra stanca dell'attesa.Attraverso i vetri trasparenti di una lente di ingrandimento si accorsero che  una motovedetta, in lontananza, stava lanciando ripetuti segnali fumanti; forse, pensarono i fratelli,  non erano bengala i lampi apparsi all'improvviso sopra le loro teste, ma fuochi di temporali in arrivo da occidente.La follia, come un ladro,  stava, nel frattempo,  scartinando la paura che li teneva in ostaggio, scartinando la paura per liberare il coraggio. Stava arrivando, inarrestabile come una valanga, anche se loro non  riuscivano  a vederla, pur avvertendone vicino la presenza.  Qualcuno disse dal fondo di una bottiglia  " chi è stato? " Qualcun altro rispose, balbettando  "Tizio e Caio" .C'era del sangue sulla mano del comandante ed il sangue brillava come falò acceso nella lunga  notte degli 8 dicembre.C'era odore di porri nell'aria e ceci sparsi dappertutto.Fu allora che il tavolo di legno si richiuse su  se stesso assumendo le sembianze di un  vocabolario in disuso.Qualcuno, allora,  strappò via una pagina da quel tabernacolo sapiente, una pagina che piegò più volte prima diventare una  barca di carta senza onde.  Tizio, per primo ci si sedette sopra, inaugurando il viaggio. A prua, qualcun altro stava ridendo a crepapelle rileggendo ad alta voce questo ultimo passo.Tossiva forte  il buonumore clandestino a bordo del Presagio. Tossiva contagiando l'umana marea che si stava muovendo.Salpò di nascosto l'ultimo racconto lasciandosi dietro una piccola scia sgrammaticata   e senza senso.Salpò da un villaggio del deserto di cui il vento nasconde continuamente posizione e tracce.Da un villaggio senza porto, incastonato fra le rotte invisibili del Mediterraneo.Da un villaggio senza porto, perchè non hanno  più lacrime da versare gli occhi di coloro che ce lo indicheranno.