Non era un sogno

Che cazzo ci ridi, Jason?!


Fanno silenzio le parole negli aeroporti. Si mettono in fila, una dietro l'altra, aspettando che il volo compaia sugli occhi di una ragazza imprigionata in una divisa  verde per poi seguirla, fedeli come  seguaci, lungo i  percorsi obbligatori che li conducono agli ultimi controlli e alle anonime sale di attesa degli imbarchi.Jason sta contando quelle parole, una dopo l'altra, e di ognuna si diverte a riprodurne il suono. Avvolto nella sua corpulenta innocenza  non fa sconti  a nessuno, nemmeno alle mie mani che  lo implorano di andare via.D'altra parte gli è stato detto di non perdermi mai di vista, di accertarsi che le mie parole salissero a bordo, una dopo l'altra, incatenate ai miei piedi, perchè non mi venisse in mente di fare marcia indietro o di avere ripensamenti.Per tre lunghi mesi, Jason  è stato il mio angelo custode, seduto al mio fianco nei turni senza tempo passati nei piccoli villaggi a tradurre le parole sfiatate dalle ombre vive, nonostante tutto. H. ed io non ce l'avremmo fatta senza il suo sorriso.Ma adesso lei non c'è; non è donna certo da piegarsi ad un addio, lei che non ha mai amato le folle, lei che non si è ma costituita all'ordine assoluto della  Medicina di StatoSoggiocato dalla sua natura, ho bevuto alla fonte del contagio della vera conoscenza e mi sono sentito meglio, ho ritrovato la vita che avevo perso.Non sono più lo stesso da quando ho messo piede in questo immenso deserto.Jason, invece, lo avverte, mi legge dentro, ha lo sguardo di chi ha imparato a dire addio sorridendo.Sto qui, appoggiato al muro e sto attendendo che arrivi un soffio di vento.   Ho un biglietto fra le mani, una tracolla piena di lacrime che brillano come perle, tutto quello che resta del viaggio, la polvere, il cigolio del cancello di ferro che nessuno ha mai chiuso, come se quel rumore, impreciso e persistente, appartenesse da sempre alla natura o alla gente del luogo.E poi, mi porto addosso, gli occhi di una folla di domande, fatte di lunghi  silenzi bianchi, neri, azzurri e gialli.Perchè niente può incantare come un silenzio che si colora a secondo del rumore del cuore.Mi guardo attorno confuso mentre la folla di parole mi spinge oltre le transenne, mi conduce al lusso di uno sguardo europeo che mi scruta in lungo e in largo esortandomi a fare presto.Mi guardo attorno e comincio anche io a contare le parole che raccolgo spingendo."Quante sono Jason?" chiedo richiamandolo con la mano." Tante, Mr. John, così tante che non capisco come facciano a comprendersi fra di loro""E' l'Europa, non farci caso!".Lui ride, confuso e felice di avere portato a termine la sua missione.Lui ride, da un tempo infinito, ride nonostante gli anni, il peso e gli affanni.Ride di qualunque cosa che non sia sopravvivenza, ride degli aerei che vanno e vengono, ride delle carte di imbarco, ride dei miei grazie, ride ad ogni parola che oltrepassa il cancello,  ride dei saluti, dei permessi di soggiorno, ride ad ogni posto di controllo, ride ad ogni villaggio, trascinandosi dietro una processione di bambini affamati di Jason.Lui ride, e forse è un modo anche il suo di sopravvivere, di scacciare fantasmi dalla sua mente. Ride, come se non avesse conosciuto mai il pianto.Io soggiogato dal suo rispetto per la vita degli altri  me lo sono sempre chiesto e non ho mai avuto il coraggio di domandarglielo a bruciapelo.Cosi  lo scrivo adesso, in questo post viaggio, in questa solitaria visita ad un altro tipo di villaggio:" Ma che cazzo ci ridi, Jason?!"    by SimWarrior