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E Fini aspetta Bossi sulla linea del Piave


ROMA - C'è una linea del Piave che il Pdl deve difendere per impedire alla Lega di dilagare al Nord. Ed è su quella linea che Fini ieri si è schierato a fianco di Berlusconi, sebbene il presidente della Camera abbia gettato nello sconcerto i maggiorenti del partito quando dal palco del congresso ha pronunciato la parola «referendum». Perché tutti sanno che di referendum elettorale Bossi non vuol sentir parlare, e dunque la citazione è sembrata una sorta di provocazione, il tentativo di mettere in difficoltà il premier con l'alleato. E invece no. Fini l'ha fatto per dare al Cavaliere un'arma politica da usare con il Carroccio per frenarne le pretese, sapendo che Berlusconi è indispettito con i leghisti. «Ora stanno chiedendo davvero troppo e senza dare nulla in cambio», ha detto l'altra sera il capo del governo davanti ad alcuni ministri, dopo l'approvazione del federalismo alla Camera e il contemporaneo stop al «piano casa».Fini ieri gli ha dato manforte, ha finto addirittura un lapsus freudiano parlando del «referendum del 7 giugno», siccome sa che la data non è stata ancora definita, e che sul «7 giugno» il Senatùr non ci sente: «Per noi è impercorribile ». È chiaro il motivo: unendo il voto di Amministrative ed Europee alla consultazione popolare, il referendum raggiungerebbe il quorum e la Lega sarebbe spacciata. Il Pd infatti sarebbe pronto a un sostegno bipartisan dei quesiti che disegnerebbero un sistema bipartitico e non più bipolare. Ed è al Pd che Quagliarello si rivolge, «la sinistra non ci può accusare di non voler stravincere. Perché se passasse il referendum, altro che 51% prenderemmo». Il vice capogruppo del Pdl parla all'opposizione perché Fini ascolti. Più diretto è il ministro degli Esteri Frattini, contrario alla data del 7 giugno, «e non solo per le fibrillazioni che una simile decisione provocherebbe nel governo»: «Non possiamo essere alleati con la Lega alle Amministrative e lo stesso giorno scontrarci sul referendum». In realtà Fini ha voluto consegnare nelle mani di Berlusconi non un problema ma un'opportunità: «Gli organismi dirigenti del Pdl decidano quale posizione assumere». Carta bianca, insomma. L'obiettivo del presidente della Camera è piuttosto garantire al premier una «nuova centralità » nei giochi di maggioranza. D'altronde l'antico asse con il Carroccio non gli serve più, nel senso che non ne ha più bisogno per farsi scudo con An: la competizione è finita, ora c'è il Pdl. E il nuovo partito per forza di cose dovrà entrare invece in competizione con la Lega.Berlusconi è il primo ad esserne convinto, non vuol perdere la sfida elettorale in Veneto e Lombardia. Nel caso in cui alle Europee il Carroccio sorpassasse il Pdl nelle due regioni, l'anno prossimo chiederebbe almeno il candidato governatore di Venezia. E il premier non vuole nemmeno pensarci: «Formigoni e Galan non si toccano. Discutiamo al massimo del Piemonte». «Il 7 giugno conteremo i voti», ripete all'unisono l'intero stato maggiore di Bossi, rimandando alle urne la trattativa sulle Regionali. E non è un caso se ieri, dopo Fini, anche Formigoni ha affondato il colpo contro il Carroccio. Toccherà oggi a Berlusconi sfruttare lo spazio politico che il congresso gli ha offerto. Deve porre dei paletti alla Lega e garantirsi dei successi di qui a giugno, a partire dal «piano casa ». Per quanto possa apparire paradossale, sarà più facile per il premier muoversi nel Palazzo. Elettoralmente, invece, sarà assai più complicato: al Nord, il 7 giugno, Bossi sarà il suo più grande alleato alle Amministrative e il suo più temibile avversario alle Europee. In che modo il Cavaliere potrà farlo capire agli elettori? C'è da difendere la linea del Piave. E Fini, che sta nel Pdl, sta con Berlusconi.