L’ho vista per la prima volta un anno fa.Me la portò gennaio a risarcimento di un Natale di lacrime e vuoti.Me la portò assieme al suo sguardo intenso e alla sua voce calma.Bianca e leggera venne a mettermi l’allegria sul viso, il mattino dopo il nostro incontro.Regali inaspettati entrambi. Erano lì per me soltanto.Camminavamo ignari della strada, con l’arancione dei portici negli occhi e il bianco del cielo sopra la testa. Un cielo basso, soffice ad annunciare neve.Modena sconosciuta per entrambi: per me che ci vivevo da troppo poco, e per lui che c’era stato troppi anni addietro, in un sabato dal buio violato per ingenuità bambina e inciso nella sua memoria di adulto.Digiunammo assieme.I passi ci condussero in una trattoria da quattro soldi Non badai neppure al cibo, c’erano i pensieri a riempire mente e stomaco. Muovevo la forchetta nel piatto senza mai portarla alla bocca.Fu un pranzo di silenzi rotti da parole timide e rumori di stoviglie.Mi diede qualche ora del suo tempo e macchiò di vita l’azzurro freddo della mia stanza troppo ordinata. Lo colpirono il ferro da stiro poggiato accanto al letto e il pavimento uguale a quello di casa sua in montagna.Passeggiò scorrendo i titoli dei libri messi in fila sul ripiano della scrivania e si fermò a guardarmi, muto.Leggeva autonomia dove io vedevo solitudine.L’altoparlante della stazione non coprì le nostre ultime frasi, non ne avemmo. Ci fu solo un suo “ti guardavo, sei così assorta…”Quando annunciarono il treno ci salutammo con gesti veloci. Oltre la porta verde, la sua mano restò aperta in un ciao fino a che i binari non furono vuoti.È passato un anno e nevica di nuovo, ma il sole non scioglierà il ricordo.
Neve
L’ho vista per la prima volta un anno fa.Me la portò gennaio a risarcimento di un Natale di lacrime e vuoti.Me la portò assieme al suo sguardo intenso e alla sua voce calma.Bianca e leggera venne a mettermi l’allegria sul viso, il mattino dopo il nostro incontro.Regali inaspettati entrambi. Erano lì per me soltanto.Camminavamo ignari della strada, con l’arancione dei portici negli occhi e il bianco del cielo sopra la testa. Un cielo basso, soffice ad annunciare neve.Modena sconosciuta per entrambi: per me che ci vivevo da troppo poco, e per lui che c’era stato troppi anni addietro, in un sabato dal buio violato per ingenuità bambina e inciso nella sua memoria di adulto.Digiunammo assieme.I passi ci condussero in una trattoria da quattro soldi Non badai neppure al cibo, c’erano i pensieri a riempire mente e stomaco. Muovevo la forchetta nel piatto senza mai portarla alla bocca.Fu un pranzo di silenzi rotti da parole timide e rumori di stoviglie.Mi diede qualche ora del suo tempo e macchiò di vita l’azzurro freddo della mia stanza troppo ordinata. Lo colpirono il ferro da stiro poggiato accanto al letto e il pavimento uguale a quello di casa sua in montagna.Passeggiò scorrendo i titoli dei libri messi in fila sul ripiano della scrivania e si fermò a guardarmi, muto.Leggeva autonomia dove io vedevo solitudine.L’altoparlante della stazione non coprì le nostre ultime frasi, non ne avemmo. Ci fu solo un suo “ti guardavo, sei così assorta…”Quando annunciarono il treno ci salutammo con gesti veloci. Oltre la porta verde, la sua mano restò aperta in un ciao fino a che i binari non furono vuoti.È passato un anno e nevica di nuovo, ma il sole non scioglierà il ricordo.