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Nickname: leitraot
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- Viaggi per rivivere il tuo passato? – era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: - Viaggi per ritrovare il tuo futuro?
E la risposta di Marco: - L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà. ("Le città invisibili" I. Calvino)
So che (ri)conosci queste parole e che, probabilmente, hai amato quel libro in modo diverso da altri. Anche io. E voglio metterci bocca.
Il “poco” che Marco “riconosce” è un oggetto relativo. È poco al cospetto di tutto il "possibile", ma al contempo è una vita vissuta. E una vita non è poco.
Vedi, leit, l’uomo ha l’incredibile capacità di svalutare qualsiasi conquista. Tutto ciò che si insegue perde di valore nel momento che lo si possiede. Banale, ma vero: ciò che si “ha” non “è” più. E ciò che non "è" non ha valore. Qualunque strada prenda, l’uomo ha la capacità di ridurla ad “errore”.
In realtà non esistono scelte giuste o sbagliate, leit, soltanto scelte. Che spesso perdono il loro valore una volta diventate mèta.
Solo quelle che rappresentano una continuità cangiante, non svalutano. Perché ci “restituiscono” tempo.
Solo ciò che dà continuità di se stessi, non perde di valore e non scema l’interesse. Qualcosa in cui procrastinarsi e (auto) celebrarsi.
L’immortalità divina; la discendenza umana.
Siamo attori falliti che iscrivono figli a scuole di recitazione.
A me non piace.
Io voglio pensare che si possa andare oltre e dare valore ha ciò che si ha e si è, usandolo come un trampolino proiettato al divenire.
Mi sono spiegato male. Procediamo per gradi:
"Non lo so se è vero che scegliere implichi una piccola morte o meglio, l'amputazione di quella parte di noi che avrebbe agito all'opposto."
No. Quella parte resta e spesso è rovinosa. La nostalgia che prende per il non provato, in un certo senso è ciò che amplifica il senso di fallimento della strada scelta, perché il conosciuto ha un valore certo, l'incognito, invece, proprio perché solo immaginato, ha un plus valore che crea una distanza incolmabile che chiamiamo "rimpianto". Questo è ciò che intendo quando dico che l'uomo ha la capacità di ridurre ad errore qualsiasi scelta.
"Ho avuto spesso la sensazione che non ci fossero alternative. Era così ovvio seguire la retta via, che l'altra ho finito per non vederla.
Se avessi scelto "l'altra via" probabilmente adesso staresti facendo lo stesso ragionemento in senso opposto.
"Non lo so se è vero che s'impari sbagliando e che gli errori servano per riuscire a conoscersi e capirsi
E' una cazzata nucleare!... Oppure sono io che "so' de coccio": faccio da una vita quelli che chi mi sta intorno e mi ama, chiama "errori" e, nonostante valutando dagli effetti io nonpossa dar loro torto, continuno impenitente a "sbagliare". Ora la domanda alla Marzullo nasce spontanea: Non si impara dagli errori, oppure gli errori sono parte di una volontà chiamata uomo? Cioè: "sbagliamo" perche quelli siamo noi e non sapremmo né potremmo essere altrimenti?
"Mi son lasciata imbavagliare dalla presunzione assurda della pretesa di perfezione e sono inevitabilmente andata incontro alla delusione costante.
Pensa un attimo: e se ottenessi quella perfezione? Cosa potresti cercare più, poi? Anche un amore, perfetto, dove andrebbe? Io noncredo in dio, ma se esiste sono sicuro abbia creato gli uomini perché si era stufato della perfezione (sai che palle!). Cercare la perfezione è intrinseco dell'uomo. E' istintivo. E' come ammirare la purezza della neve appena caduta: è facile.
Amare il difetto è qualcosa che si impara crescendo. E' come riuscire a trovare un minuscolo punto rosso su quello sconfinato candore: serve una certa sensibilità.
"Non lo so se a furia di fallimenti, si arrivi a fallire meglio. Beckett dice di sì, io non ci giurerei. Ma mai come questa volta, vorrei avere torto marcio.
E qui il circolo si chiude. Torniamo all'inizio: L'uomo ha la capacità di ridurre ad errore qualsiasi strada prenda.
Se può esserti di consolazione, Wilde dice che "Solo gli idioti possono essere completamente felici" (per inciso: non amo Wilde. Abbiamo due concetti di felicità molto differenti, ma citazione per citazione...:-)
Aspe', dove vai? Non è mica finita!
"a me manca la capacità di svalutare, anzi direi di avere il problema opposto. Le conquiste derivano da una lotta personale così estenuante, che poi a prescindere dall'esito finale, diventano ricordi in cui inciampo spesso. Troppo spesso. E allora rivivo tutto un numero infinito di volte e sempre con crescente intensità. Amplifico gioie e dolori e niente di quel po' che è la mia vita smette di avere un peso. L'ho detto spesso: ho l'oblio difettoso, non so archiviare.
Per fortuna, aggiungerei io.
Troppo spesso si pensa che il tempo abbia la capacità/funzione, di far dimenticare. Ma dimenticare le lotte, la stanchezza, il dolore e l'amore, vorrebbe dire dimenticare ciò che si è. Il tempo fa soltanto sì che tutto prenda un senso. Fa metabolizzare. Un po' come quando si lascia il vino rosso a prendere aria e quello cambia sapore: Sta solo a noi decidere se farlo ossigenare o mandarlo in aceto. Stesso procedimento, diverso risultato.
Ecco, adesso puoi andare :-).
Anzi, no. Se non hai mai letto "Le città invisibili", mi spieghi da dove è uscito fuori il post N° 170 del tre luglio 2009?