ALTRELETTERE

Paesaggio d'autunno


A guardalo passare da lì, da dietro quel vetro, anche il tempo che scorreva nella piazza sembrava un estraneo. Con quel suo vento che soffiava a raffiche e sollevava le foglie che coprivano il selciato per farle ricadere un poco più in là singole o sparpagliate , in una sequenza apparentemente casuale. Con quel suo modo di sparigliare le cose e sollevare il sopra facendolo poi ricadere di sotto. Un viceversa delle cose dove, avvinte in quell’abbraccio, anche le foglie provavano il loro opposto, l’opposto di una posizione. Sarebbe stato bello, pensò fra sé, che ci fosse del vento capace di muovere così forte anche le cose, le persone, i loro animi. Trovare un viceversa anche nella vita, quando questa par che scorra uguale, come un succedersi di lettere, ma sempre quelle, come nei quaderni d’italiano quando s’impara a ascrivere, in quelle pagine interminabili di segni che si assomigliano senza mai mostrare alcuna identità di forma. Forse solo di significato. La forma prende i suoi spigoli, i suoi spazi. Si somiglia senza una vera identità. Il significato invece ne travalica i contorni. Non importa quanto incerto sia l’ovale d’una “a” maiuscola scritta in corsivo o sghembo il suo ricciolino posto in base. Non importa se non coglie bene i margini delle linee poste sopra e sotto. Una “a” resta una “a” nel suo pieno significato. Sorrise, ma solo un attimo. Quale poteva essere allora, pensò, il significato di quella vita che le scorreva addosso apparentemente simile, in una forma che avresti potuto dire immobile, come un calco, come un sudario? Era lì allora, in quel preciso momento, a coltivar lo sguardo verso le foglie che si muovevano e dentro lei, era attorno alla sua pelle che  tutto restava fermo. Un attimo, un sorriso, ecco cosa avrebbe voluto, ma non di circostanza, no, e nemmeno da uno di quei volti che sai ti avrebbero comunque sorriso. No, avrebbe voluto un sorriso nuovo, inaspettato, come lo scoiattolo colto a far provvista in un albero del parco, come un camoscio o uno stambecco visti ma per caso, sopra uno spuntone sul declivio del monte. Perché la vita va così a volte, come la vela dentro la bonaccia, e tutti a dirti che devi solo aspettare, che il vento arriva magari mentre dormi, o mentre sei sospesa dentro ad un pensiero, o magari soltanto dentro ad un bar mentre ti bevi un caffè e lo scopri, o forse solo immagini  quel vento, dentro ad un paio d’occhi che mescolano il loro cappuccino appena mezzo metro di bancone più in là. E non hai la forza di fermarli o forse è solo il tuo pudore che non ti fa mai dire “ciao” con lo sguardo avvolto del tuo sorriso dei giorni migliori e poi via a conoscere e ad esplorare quella porta, quella  svincolo inatteso. Come quella volta che sarebbe bastato un attimo ed invece l’attimo non era arrivato come tutte quelle volte in cui s’era intravvisto qualcuno che avrebbe potuto essere e non era stato per un vezzo del fato o un montar di timidezza. Ed erano rimasti così estranei quei cuori che avrebbero invece potuto mischiarsi e battere, magari, all’unisono se non per sempre, almeno per un po’. Perchè la vita è un’attesa a volte, e quando attendi non la puoi quasi sopportare, come una coperta d’estate,  un rombo di motore che squarcia la notte mentre vuoi dormire. O il ronzare di una  zanzara in una stanza chiusa da cui non puoi scappare. Se ne stava così, dietro ad una finestra chiusa, muta, a guardar quel pezzo di niente che pure era il suo paesaggio usuale, che avrebbe potuto dipingere, fosse stata capace di usar tela e pennello, nei suoi minuti dettagli. Tutti quegli spazi perfettamente mappati, ordinati, dentro la sua immagine impressa nella memoria. Perché la vita è così a volte, pare un auto in folle che va in pianura, e rallenta, rallenta dopo la sua discesa proseguendo piano nell’attesa incerta che il selciato poi scollini ancora e le ridia l’ebbrezza, se non della velocità impazzita, almeno del viaggio. Perché la vita quando rallenta inciampa in certe parole che son poi quelle che ritrovi ai margini di un libro  che qualcun altro ha scritto ma in cui tu ti ci rivedi, o nelle poesie che fanno piangere gli occhi di commozione e trattenere il fiato come una svolta a cento all’ora sopra il carrello di un ottovolante che vuoi che non finisca, anche se ti tocca quasi di sentirti soffocare. Perché la vita quando rallenta lo fa sussultando, come sussultano i singhiozzi che lasci, a volte,  lì sul bianco di quel cuscino che abbracci dentro alla penombra della tua stanza dove le tapparelle abbassate fanno filtrare appena il sole. E lì, su quel raggio di giorno che disegna una riga di luce su quel tuo guanciale, dovresti cogliere, e a volte succede, che la vita è comunque un foglio, bianco come la federa immacolata, che solo devi aver la forza e a volte persino il coraggio, di scrivere anche a costo di sbagliare. Ed allora capisci, come d’incanto intuisci, che i sorrisi che attendi non sono soltanto un dono da aspettare, ma un destino da cercare. Perché dove manca, a volte, un sorriso da ricevere, quello è il momento in cui sei tu che per prima lo devi donare. Ed esci, come il rondone esci, a cercar lo stormo perché è solo con lo stormo che puoi volare  quando i tempi si fanno d’autunno, prima che l’inverno colga e arrivare dove il sole coccola e scalda proprio come un bacio o infinita carezza. Dove il sole illumina la tua voglia di amare.