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La Palestina di Sara

Post n°59 pubblicato il 23 Luglio 2014 da rebeldia.rossa

Ripropongo su queste pagine un articolo che la nostra amica e compagna Sara scrisse nel 2006, dopo essere tornata da uno dei suoi viaggi in Palestina.

Sara adesso non c'è più, se l'è portata via il cancro nel 2012, aveva solo 35 anni. Su questo blog e su quello dedicato al circolo di Rifondazione Comunista che c'era prima nella nostra zona, si firmava Playslow. Di lei ci restano tanti bellissimi ricordi, alcune immagini e le parole forti dei suoi articoli, che colpivano al cuore senza curarsi di infiocchettare il pacchetto. Anche allora la situazione palestinese era disperata, proprio come oggi e lei l'aveva vissuta in prima persona. Gli israeliani bombardavano le città uccidendo i civili senza bisogno di giustificazioni - situazione che dovrebbe farci riflettere, specialmente ora che si cerca di far passare quelli di Hamas come pericolosi terroristi islamici alla stregua di Bin Laden.

Se avrete la pazienza di leggere questo articolo fino in fondo sono certa che ne verrete toccati, esattamente com'è successo a noi nel 2006 ed esattamente come succede ora, nel riguardarlo. Ecco Sara, ecco le sue parole, preziose come non mai, proprio come se non fosse passato nemmeno un giorno.  

 

Diario di un viaggio

di Sara Chiarello (pubblicato sul periodico "Il Nuovo Municipio n°3, anno 2006)

Sto tentando in tutti i modi di spiegare alle persone che incontro che non c’è solo giusto o sbagliato, c’è anche chi sta nel mezzo.

Resto a bocca aperta quando trovo la completa indifferenza, o la condanna in toto del popolo israeliano e palestinese.

Non capisco come possa non nascere spontaneamente un sentimento di comunione, di solidarietà, un qualche legame con chi è del tutto simile a noi.

Non capisco come si possa vivere così isolati e non sentirsi parte di qualcosa di più grande, del mondo, degli uomini, della natura (senza arrivare allo spirituale, o al religioso, che per la verità sono temi che mi toccano ben poco).

Possiamo non sentirci parte dell’umanità e poi creare le reti telematiche nell’etere, ma per unire chi e che cosa poi, se la maggior parte delle persone vuol essere un’unità a sé stante?

Cerco allo stesso modo di spiegare a chi mi dice che la guerra è ingiusta e sbagliano tutti, che c’è anche chi la guerra non la vuole e chi la guerra non la fa!

Lo Stato è una cosa ed i civili un’altra.

Ci sono persone normali che chiedono solo una vita normale: lavoro, casa, studio, la possibilità di costruirsi un futuro, cibo, divertimento.

E’ come se all’epoca di Tangentopoli gli stranieri avessero detto che siamo tutti ladri in Italia. Vi sembra forse che io abbia la villa a Arcore?


Mi è venuto spontaneo, quando a Nablus siamo entrati in una casa occupata dai soldati, prendere quella ragazza per mano e non lasciarla finché non è uscita con me.

I soldati avevano riunito tutti gli abitanti della palazzina in una stanza al piano terra, una ventina di persone ed occupato il palazzo.

Uno dei soldati, il capitano era molto arrogante, urlava in continuazione e la ragazza era visibilmente terrorizzata.

Avrà avuto 17/18 anni, diceva di essere incinta e che doveva raggiungere suo marito, perché quella non era la sua casa.

Dopo lunghe trattative tra i soldati, medici del Medica Relief e volontari, ci hanno lasciato portar fuori la ragazza (forse ha influito la presenza di un osservatore ONU).

Mi è venuto spontaneo immedesimarmi in lei, quel che mi domando è chi al mio posto non l’avrebbe fatto?

E chi l’avrebbe lasciata lì, magari con la motivazione che “hanno torto tutti”?

Quando siamo tornati nella stessa casa io ed un altro volontario palestinese, a portare cibo e medicine ed il capitano ha preso il volontario per il collo e lo strattonava, mi è venuto altrettanto spontaneo urlargli di smetterla immediatamente e di lasciarlo (forse sbagliando, perché ho messo a repentaglio la sua di vita e la mia).

Non riuscivo nemmeno a staccare gli occhi dal bulldozer, che vedevo dal tetto di fronte, insieme alla proprietaria di quella che era la sua casa un tempo ed ora un mucchio di macerie.

Guardavo lei, le macerie, questo bulldozer alto come un palazzo di 6 piani e cercavo di sorriderle ogni tanto.

Altrettanto naturale mi è venuto il tentativo di giocare e dialogare (in un linguaggio tutto particolare, data la mia scarsa conoscenza dell’arabo) con i bambini che su quello stesso tetto mi hanno avvicinata.

Mi facevano vedere le figurine dell’Intifada, ma sono soltanto bambini, cos’hanno di diverso dai nostri che si scambiano le figurine dei calciatori? Sono forse “sbagliati” anche loro?

Ho sentito di lavorare insieme per un progetto comune, facendo forza d’interposizione con un gruppo di israeliani straordinari che si alzano alle 4 di mattina, aiutano i palestinesi ad entrare nei loro campi , li aiutano a raccogliere le loro olive (trattando con i soldati per il lasciapassare) e poi vanno ai loro posti abituali di lavoro come ricercatori, scienziati, professori ecc. ecc. Sono persone incredibili, che sono talmente attive ed energiche da non dormire la notte.

Ho provato la stessa ansia di tutti gli israeliani che erano con me a manifestare fuori dal tribunale di Jaffa per aspettare la sentenza del quinto processo ad un gruppo di refusnik (chi si rifiuta di fare la leva  militare obbligatoria, che in Israele è per uomini e donne e dura 3 anni) e la stessa loro delusione quando purtroppo sono stati condannati.

Queste sono situazioni che ho vissuto in prima persona e che mi hanno forse particolarmente toccata, ma penso la mia sensibilità non sia diversa quando si parla di molte altre situazioni, dei chapanechi, degli africani, dei profughi che sbarcano in Italia… Lo stessa indignazione e frustrazione mi colpisce nel sapere come stiamo trattando il nostro pianeta, partendo dall’inquinamento e arrivando alle leggi del mercato.

Sono fermamente convinta che ognuno personalmente debba fare qualcosa, anche poco, nell’ambito delle proprie possibilità.  Penso sia questa indifferenza una delle cause di tutte le guerre: se tutti dicessimo “No tu quella persona non la tocchi, perché se oggi spari a lui, domani spari a me”…

Ma è più facile pensare che tanto quella guerra è in un posto sperduto e chi li conosce, che tanto non ci possiamo fare niente, che se l’Italia va male è colpa del governo…                                

E noi cosa abbiamo fatto oggi per vivere meglio?

Sara

 

 

 
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