SU OLIVIERO DILIBERTO E LA "COSTITUENTE DEI COMUNISTI"Oliviero Diliberto e il gruppo dirigente del PDCI hanno ispirato il recente appello per la "Costituente Unitaria dei Comunisti": un appello che rivendica la ricomposizione di PRC e PDCI e, attorno ad essa, di "tutti i comunisti", come risposta al tracollo dell'Arcobaleno. E' del tutto comprensibile, oltre che legittimo, il tentativo del PDCI e del suo segretario di capitalizzare a proprio vantaggio la crisi verticale del PRC offrendosi come sponda a sue minoranze interne. E trasparente oltretutto è il tentativo di fuggire, con questa mossa, dalle proprie responsabilità (disinnescando contenziosi interni al suo partito). Ma la domanda è: come si può fuggire dal tracollo ricomponendo l'unità di quei gruppi dirigenti che ne sono responsabili e che l'hanno prodotto? Davvero basta la riesumazione simbolica della falce e martello per offrire una prospettiva politica a decine di migliaia di comunisti e al mondo del lavoro? Davvero si può rimuovere la lezione e il bilancio dell'esperienza Rifondazione, come se nulla fosse accaduto, semplicemente riportando le lancette al PRC del '96? Questa proposta, in realtà, è l'ennesimo inganno senza futuro da parte di un gruppo dirigente pienamente corresponsabile della disfatta e che cerca semplicemente di salvare se stesso. Partiamo dai fatti. Il PRC del '96 cui Diliberto vorrebbe tornare è il PRC che per oltre due anni, sotto la guida congiunta di Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Ferrero, Grassi, sostenne il primo governo Prodi: votando l'introduzione del lavoro interinale (pacchetto Treu), il record delle privatizzazioni in Europa, una pesantissima legge finanziaria di 80mila miliardi di lire, la detassazione di rendite e profitti, l'introduzione dei CPT contro gli immigrati. In altri termini, le più pesanti politiche antioperaie e antipopolari degli anni novanta. L'unica differenza tra Bertinotti-Ferrero-Grassi da un lato e Cossutta-Diliberto dall'altro, fu che mentre i primi scelsero strumentalmente nel '98 di ritirare il sostegno a Prodi con l'intento iniziale di ricomporre un' "alleanza più avanzata" con D'Alema (salvo fallire e finire per una fase all'opposizione), i secondi scelsero di proseguire in modo lineare il proprio sostegno al Centrosinistra, entrando organicamente nel governo D'Alema-Cossiga (con Diliberto ministro di Giustizia) e partecipando al criminale bombardamento di Belgrado (oltre che alla continuità delle politiche confindustriali). Di più: quando il Centrosinistra crollò, spianando la strada al ritorno di Berlusconi, Bertinotti e Diliberto ricominciarono a collaborare (a partire dal 2004) nella prospettiva di governo dell'Unione, a braccetto con tutto il personale politico antioperaio e anticomunista dei DS e della Margherita: con lo scopo di portare in dote all'Unione la subordinazione della grande stagione dei movimenti di lotta antiberlusconiani del 2001-2003. E quando l'Unione di Prodi, col sostegno dei poteri forti, "vinse" (seppur di poco) le elezioni del 2006, Bertinotti e Diliberto ripresero a votare insieme quelle stesse politiche confindustriali che insieme avevano votato nel '96-'98. Non è forse questo che milioni di lavoratori hanno osservato esterrefatti in questi anni? I cosiddetti partiti "comunisti" hanno votato le missioni di guerra, l'aumento del 17% delle spese militari, 10 miliardi di regalie a grandi imprese e banche, la truffa sul TFR, l'aumento dell'età pensionabile a 62 anni a regime, e per finire in bellezza la continuità della legge 30 di Berlusconi. Sino alla nuova sconfitta del Centrosinistra, il secondo tragico ritorno di Berlusconi, e il tracollo elettorale e politico delle sinistre di governo (Arcobaleno), con l'estromissione dal Parlamento. Insomma, un totale disastro. E ora Diliberto, senza alcun bilancio di tutto questo, e come se nulla fosse accaduto, chiede..."l'unità dei comunisti"? Ma "comunisti" quali? Usando lo stesso codice terminologico di Diliberto, potremmo dire che "l'unità dei comunisti" l'abbiamo già vissuta, di fatto, per 15 anni: quando ciclicamente gli stati maggiori di PRC e PDCI, al gran completo, hanno votato "unitariamente" tutte le peggiori politiche della borghesia contro il mondo del lavoro. E ora Diliberto vorrebbe formalizzare e sigillare questa unità recuperando il simbolo di falce e martello? Ma proprio quel simbolo - simbolo del lavoro e del socialismo - è stato prostituito e piegato per tanti anni a ragioni opposte a quelle per cui nacque. Dovremmo quindi restaurare una finzione e celebrare una doppiezza? La lezione di fondo di questi 15 anni è la bancarotta, senza ritorno, dei gruppi dirigenti della sinistra italiana. Senza prendere atto di questa realtà, senza andare alla radice del problema, non si ricostruisce alcun futuro e si preparano nuove sconfitte. Dire questo non significa affatto, per parte nostra, ignorare la naturale aspirazione all'unità che tanti comunisti onesti oggi esprimono da collocazioni politiche e organizzative diverse. Al contrario: la consideriamo non solo comprensibile e naturale, ma anche l'espressione di una positiva volontà di reagire al disastro, di non rassegnarsi, di non darla vinta all'odiosa campagna anticomunista delle classi dominanti e alla deriva culturale parallela di tanta parte della sinistra. Ma proprio perchè rispettiamo profondamente questo sentimento; proprio perchè vogliamo raccoglierlo e dialogare con esso nel modo più serio e più aperto, vogliamo evitare che venga usato e tradotto dal gruppo dirigente del PDCI nell'ennesimo equivoco, con l'ennesima dispersione di tante attese, energie, generosità. La vera unità dei comunisti, capace di durare e di reggere alle dure prove della lotta politica di classe, è quella che si fonda sui principi. E innanzitutto sul recupero di quel principio di fondo che la lunga storia della socialdemocrazia e dello stalinismo ha rimosso, e che i gruppi dirigenti della Rifondazione hanno tradito: il principio dell'autonomia e dell'alternatività dei comunisti alle forze della borghesia; il principio dell'opposizione dei comunisti, sul piano nazionale e locale, ai governi della borghesia e ai loro comitati d'affari, di Centrodestra come di Centrosinistra. Perchè solo così è possibile sviluppare nelle lotte quella politica di indipendenza di classe che è condizione stessa di un'alternativa anticapitalistica. E perché in caso contrario i partiti "comunisti" finiscono non solo col tradire il socialismo, ma col subordinare i lavoratori alle politiche dell'avversario in cambio di ruoli politici e istituzionali. Il Partito Comunista dei Lavoratori è nato nel nome innanzitutto di questo principio di autonomia e del programma che lo fonda: quello di un'alternativa di società e di potere, di un governo dei lavoratori per i lavoratori. Non a caso siamo l'unico partito della sinistra italiana che non si è compromesso col governo Prodi, né in tutto (PRC e PDCI), né in parte (Sinistra Critica). Nel nostro piccolo, siamo l'unico partito che - controcorrente - ha retto alla prova di questi anni. Per questo tanto più oggi, di fronte al disastro prodotto e al dramma di migliaia di comunisti, riproponiamo ostinatamente il cammino che abbiamo scelto: unire tutti gli onesti e sinceri comunisti, indipendentemente dalle diverse storie e provenienze, attorno a un quadro certo e chiaro di principi di classe e anticapitalisti. Perché questa è l'unica vera via di uscita. E non solo per i comunisti. Ma per un mondo del lavoro che più che mai ha bisogno di ritrovare un proprio partito indipendente, contrapposto all'ordine dominante. Per questo, con molta semplicità, diciamo a tutti i sinceri comunisti che ancora si collocano nel PRC, nel PDCI, in altre formazioni, o che sono fuori da ogni partito: sviluppiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori, che già si va espandendo in tutta Italia. Questo è il progetto che non verrà mai tradito e disperso.
Post N° 47
SU OLIVIERO DILIBERTO E LA "COSTITUENTE DEI COMUNISTI"Oliviero Diliberto e il gruppo dirigente del PDCI hanno ispirato il recente appello per la "Costituente Unitaria dei Comunisti": un appello che rivendica la ricomposizione di PRC e PDCI e, attorno ad essa, di "tutti i comunisti", come risposta al tracollo dell'Arcobaleno. E' del tutto comprensibile, oltre che legittimo, il tentativo del PDCI e del suo segretario di capitalizzare a proprio vantaggio la crisi verticale del PRC offrendosi come sponda a sue minoranze interne. E trasparente oltretutto è il tentativo di fuggire, con questa mossa, dalle proprie responsabilità (disinnescando contenziosi interni al suo partito). Ma la domanda è: come si può fuggire dal tracollo ricomponendo l'unità di quei gruppi dirigenti che ne sono responsabili e che l'hanno prodotto? Davvero basta la riesumazione simbolica della falce e martello per offrire una prospettiva politica a decine di migliaia di comunisti e al mondo del lavoro? Davvero si può rimuovere la lezione e il bilancio dell'esperienza Rifondazione, come se nulla fosse accaduto, semplicemente riportando le lancette al PRC del '96? Questa proposta, in realtà, è l'ennesimo inganno senza futuro da parte di un gruppo dirigente pienamente corresponsabile della disfatta e che cerca semplicemente di salvare se stesso. Partiamo dai fatti. Il PRC del '96 cui Diliberto vorrebbe tornare è il PRC che per oltre due anni, sotto la guida congiunta di Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Ferrero, Grassi, sostenne il primo governo Prodi: votando l'introduzione del lavoro interinale (pacchetto Treu), il record delle privatizzazioni in Europa, una pesantissima legge finanziaria di 80mila miliardi di lire, la detassazione di rendite e profitti, l'introduzione dei CPT contro gli immigrati. In altri termini, le più pesanti politiche antioperaie e antipopolari degli anni novanta. L'unica differenza tra Bertinotti-Ferrero-Grassi da un lato e Cossutta-Diliberto dall'altro, fu che mentre i primi scelsero strumentalmente nel '98 di ritirare il sostegno a Prodi con l'intento iniziale di ricomporre un' "alleanza più avanzata" con D'Alema (salvo fallire e finire per una fase all'opposizione), i secondi scelsero di proseguire in modo lineare il proprio sostegno al Centrosinistra, entrando organicamente nel governo D'Alema-Cossiga (con Diliberto ministro di Giustizia) e partecipando al criminale bombardamento di Belgrado (oltre che alla continuità delle politiche confindustriali). Di più: quando il Centrosinistra crollò, spianando la strada al ritorno di Berlusconi, Bertinotti e Diliberto ricominciarono a collaborare (a partire dal 2004) nella prospettiva di governo dell'Unione, a braccetto con tutto il personale politico antioperaio e anticomunista dei DS e della Margherita: con lo scopo di portare in dote all'Unione la subordinazione della grande stagione dei movimenti di lotta antiberlusconiani del 2001-2003. E quando l'Unione di Prodi, col sostegno dei poteri forti, "vinse" (seppur di poco) le elezioni del 2006, Bertinotti e Diliberto ripresero a votare insieme quelle stesse politiche confindustriali che insieme avevano votato nel '96-'98. Non è forse questo che milioni di lavoratori hanno osservato esterrefatti in questi anni? I cosiddetti partiti "comunisti" hanno votato le missioni di guerra, l'aumento del 17% delle spese militari, 10 miliardi di regalie a grandi imprese e banche, la truffa sul TFR, l'aumento dell'età pensionabile a 62 anni a regime, e per finire in bellezza la continuità della legge 30 di Berlusconi. Sino alla nuova sconfitta del Centrosinistra, il secondo tragico ritorno di Berlusconi, e il tracollo elettorale e politico delle sinistre di governo (Arcobaleno), con l'estromissione dal Parlamento. Insomma, un totale disastro. E ora Diliberto, senza alcun bilancio di tutto questo, e come se nulla fosse accaduto, chiede..."l'unità dei comunisti"? Ma "comunisti" quali? Usando lo stesso codice terminologico di Diliberto, potremmo dire che "l'unità dei comunisti" l'abbiamo già vissuta, di fatto, per 15 anni: quando ciclicamente gli stati maggiori di PRC e PDCI, al gran completo, hanno votato "unitariamente" tutte le peggiori politiche della borghesia contro il mondo del lavoro. E ora Diliberto vorrebbe formalizzare e sigillare questa unità recuperando il simbolo di falce e martello? Ma proprio quel simbolo - simbolo del lavoro e del socialismo - è stato prostituito e piegato per tanti anni a ragioni opposte a quelle per cui nacque. Dovremmo quindi restaurare una finzione e celebrare una doppiezza? La lezione di fondo di questi 15 anni è la bancarotta, senza ritorno, dei gruppi dirigenti della sinistra italiana. Senza prendere atto di questa realtà, senza andare alla radice del problema, non si ricostruisce alcun futuro e si preparano nuove sconfitte. Dire questo non significa affatto, per parte nostra, ignorare la naturale aspirazione all'unità che tanti comunisti onesti oggi esprimono da collocazioni politiche e organizzative diverse. Al contrario: la consideriamo non solo comprensibile e naturale, ma anche l'espressione di una positiva volontà di reagire al disastro, di non rassegnarsi, di non darla vinta all'odiosa campagna anticomunista delle classi dominanti e alla deriva culturale parallela di tanta parte della sinistra. Ma proprio perchè rispettiamo profondamente questo sentimento; proprio perchè vogliamo raccoglierlo e dialogare con esso nel modo più serio e più aperto, vogliamo evitare che venga usato e tradotto dal gruppo dirigente del PDCI nell'ennesimo equivoco, con l'ennesima dispersione di tante attese, energie, generosità. La vera unità dei comunisti, capace di durare e di reggere alle dure prove della lotta politica di classe, è quella che si fonda sui principi. E innanzitutto sul recupero di quel principio di fondo che la lunga storia della socialdemocrazia e dello stalinismo ha rimosso, e che i gruppi dirigenti della Rifondazione hanno tradito: il principio dell'autonomia e dell'alternatività dei comunisti alle forze della borghesia; il principio dell'opposizione dei comunisti, sul piano nazionale e locale, ai governi della borghesia e ai loro comitati d'affari, di Centrodestra come di Centrosinistra. Perchè solo così è possibile sviluppare nelle lotte quella politica di indipendenza di classe che è condizione stessa di un'alternativa anticapitalistica. E perché in caso contrario i partiti "comunisti" finiscono non solo col tradire il socialismo, ma col subordinare i lavoratori alle politiche dell'avversario in cambio di ruoli politici e istituzionali. Il Partito Comunista dei Lavoratori è nato nel nome innanzitutto di questo principio di autonomia e del programma che lo fonda: quello di un'alternativa di società e di potere, di un governo dei lavoratori per i lavoratori. Non a caso siamo l'unico partito della sinistra italiana che non si è compromesso col governo Prodi, né in tutto (PRC e PDCI), né in parte (Sinistra Critica). Nel nostro piccolo, siamo l'unico partito che - controcorrente - ha retto alla prova di questi anni. Per questo tanto più oggi, di fronte al disastro prodotto e al dramma di migliaia di comunisti, riproponiamo ostinatamente il cammino che abbiamo scelto: unire tutti gli onesti e sinceri comunisti, indipendentemente dalle diverse storie e provenienze, attorno a un quadro certo e chiaro di principi di classe e anticapitalisti. Perché questa è l'unica vera via di uscita. E non solo per i comunisti. Ma per un mondo del lavoro che più che mai ha bisogno di ritrovare un proprio partito indipendente, contrapposto all'ordine dominante. Per questo, con molta semplicità, diciamo a tutti i sinceri comunisti che ancora si collocano nel PRC, nel PDCI, in altre formazioni, o che sono fuori da ogni partito: sviluppiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori, che già si va espandendo in tutta Italia. Questo è il progetto che non verrà mai tradito e disperso.