QUER FATTACCIO

IL DIFETTO GENETICO DELLA MONETA UNICA


IL DIFETTO GENETICO DELLA MONETA UNICARepubblica — 07 maggio 2010   pagina 38   sezione: COMMENTIL' Europa dei van Rompuy, dei Barroso e delle baronesse Ashton non può permettersi l' euro. Alla prima seria crisi, il difetto genetico della "moneta unica" - ossia della principale fra le dodici divise circolanti nei paesi euro - è venuto a galla, con conseguenze potenzialmente devastanti: senza un vero Stato alle spalle non esiste vera moneta. Il bluff può funzionare nelle giornate di sole, ma quando si scatena la tempesta non sappiamo più come proteggerci. La lezione di Atene, per chi vuole intenderla, è netta: o adeguiamo l' Europa all' euro, o rinunciamo all' euro. Storia e cronaca dell' Unione europea lasciano intuire che sceglieremo una terza via. Rinviare, rinviare, rinviare. Fra un tampone finanziario e l' altro. Fino a che il morbo non si sarà talmente diffuso e radicato in tutti i paesi dell' Eurozona e probabilmente oltre, da renderlo incurabile. A quel punto la politica non potrà nulla, salvo preoccuparsi dell' ordine pubblico. Perché è evidente che il collasso del nostro sistema monetario, in un contesto recessivo e con una disoccupazione a due cifre, produrrebbe rivolte sociali e crisi politico-istituzionali di dimensioni imprevedibili. L' europeismo classico di stampo federalista aveva scommesso sull' euro come pietra di paragone della sua strategia esoterica: procedere dall' economia alla moneta alla politica, in una paradossale riabilitazione delle teorie marxiste. Come se dal carbone e dall' acciaio, passando al mercato e poi alla moneta, potesse transustanziarsi lo Stato federale europeo. Senza che gli europei se ne accorgessero, perché in tal caso l' avrebbero impedito. Di qui la refrattarietà ad affrontare qualsiasi pubblico dibattito su fini e confini della costruzione europea, illustrata come un eterno work in progress. Ma un "progresso" senza mèta è un' avventura. Che con il tempo ha perso il suo lato fascinoso, eccitante, per dar luogo a una diffusa euronoia. Al limite dell' eurofobia. Clima ideale per i nemici dell' Europa e per chi alla democrazia liberale e alla società aperta antepone il richiamo delle piccole patrie, delle tecnocrazie autoritarie e dei razzismi. Quest' ultimo aspetto è centrale nella vicenda dell' euro. Dalla gestazione della moneta europea nel contesto del dopo-Muro alla crisi in corso, il fattore etnico è stato e resta fondamentale. Le attuali recriminazioni dei paesi "virtuosi" (le virgolette sono d' obbligo) contro il lassismo (senza virgolette) del "Club Med" o dei "Pigs" ricorrevano, negli stessi esatti termini, durante gli anni Novanta, quando si trattava di stabilire chi fosse abilitato e chi no a entrare nella famiglia della "moneta unica". Al di là dei vaghi criteri di Maastricht, interpretati in base alle congiunture e ai rapporti di forza, la classificazione era e resta antropologico-culturale. Sicché ai greci, ma anche ai portoghesi, agli spagnoli e agli italiani non si può dare fiducia nel lungo periodo, perché vocazionalmente tendenti a sforare o mascherare i bilanci. Mentre i tedeschi o gli olandesi sono per nascita rigorosi, puntuali, precisi. Poco importa che i fatti dimostrino spesso il contrario: i pregiudizi restano. E influenzano i nostri decisori politici quanto i mercati. Un giorno usciremo da questa crisi economica e monetaria. Speriamo in condizioni non troppo disastrose. Ciò che sembra destinato a sopravviverle è questo razzismo soft, che radicalizza le tesi schumpeteriane sul nesso fra "carattere nazionale" e politica monetaria. Se l' Europa non si fa, se l' euro traballa è perché nulla di condiviso e di duraturo si può costruire fra chi si considera geneticamente diverso. - LUCIO CARACCIOLO