QUER FATTACCIO

blog di politica, notizie curiose, amenità varie in ordine più o meno sparso, così come mi vengono nello Zibaldone della mia mente...

Creato da Quer_fattaccio il 03/02/2010

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

Ultime visite al Blog

niko56marziolauricellaa.zorgniottif.peracchionelubopoQuer_fattaccioLuke79TObrikoduefotosudafricamarisa.g0ibiscusrosasilvia1943Ra.In.Melatortaimperfettaenrico505
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi e commenti in questo Blog.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« IL CASO LUSILA GRANDE FUGA DALL'UNI... »

LA REPUBBLICA FONDATA SULL'INSICUREZZA

Post n°247 pubblicato il 13 Marzo 2012 da Quer_fattaccio

 

La Repubblica fondata sull'insicurezzaSempre più italiani si dichiarano preoccupati per il rischio di perdere il lavoro. E quasi 9 persone su 10 pensano che i giovani occuperanno una posizione sociale peggiore dei genitori. La crisi del lavoro costringe ad abituarsi all'incertezza. Ipotecando il futurodi ILVO DIAMANTI
È IL LAVORO la questione intorno a cui ruota il dibattito politico di questa fase. L'articolo 18, il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, il futuro dei giovani, il posto fisso, i mammoni.  Angelino Alfano ha indicato al governo tre priorità: "Lavoro, lavoro e lavoro". Apostrofato da Bersani: "L'ha scoperto solo ora (per non parlare delle frequenze tivù)". 

Il lavoro e il suo reciproco: il non-lavoro attraggono, dunque, l'interesse degli attori politici e del governo. Ma, forse, non abbastanza rispetto a quanto avviene nella società. La disoccupazione, infatti, è il problema più sentito dai cittadini, in Italia, da almeno due anni, come emerge dai dati dell'Osservatorio sulla sicurezza in Europa (curato da Demos 1, l'Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis), a cui facciamo riferimento in questa Mappa.

Per consultare i dati vedi il Rapporto della V Indagine sulla Sicurezza in Europa 2

Una persona su due, infatti, si definisce "frequentemente" preoccupata  -  per sé e i propri familiari - di perdere il lavoro (gennaio 2012). Circa dieci punti in più rispetto a un anno fa. D'altronde, nel campione rappresentativo della popolazione italiana, il 35% dichiara che, nell'ultimo anno, in famiglia, qualcuno ha cercato lavoro, senza trovarlo. Il 22%, che (in famiglia) qualcuno è stato messo in mobilità o in cassa integrazione. Il 19%, infine, che qualcuno, in famiglia, ha perduto il lavoro. In definitiva, quasi una famiglia su due sta sperimentando gli effetti della crisi sul piano dell'occupazione. 

Un problema comune al resto d'Europa, dove si rileva un grado di inquietudine analogo. Con una differenza significativa. L'85% degli italiani ritiene che i giovani, nel prossimo futuro, occuperanno una posizione sociale peggiore rispetto ai genitori. Quasi 10 punti in più rispetto a Francia e Gran Bretagna, ma circa 20 più che in Germania e Spagna.

In altri termini: l'incertezza e la precarietà del lavoro si riflettono nell'incertezza e nella precarietà del futuro dei giovani. Anzi, nell'incertezza del futuro, semplicemente. D'altronde, il 56% degli italiani non vede sbocco a questa crisi. Non riesce a immaginare quando finirà. Certamente non prima di due anni.

Il lavoro  -  incerto, precario e perduto  -  alimenta l'insicurezza economica. Un sentimento che contagia il 73% degli italiani e trascina le altre dimensioni dell'insicurezza. Non a caso le paure relative alla globalizzazione e alla criminalità risultano molto più elevate fra coloro che si sentono maggiormente minacciati dalla disoccupazione. 

È come se, insieme all'incertezza del lavoro, fosse cresciuto un diffuso e crescente senso di "insicurezza ontologica", per usare il linguaggio di Zygmunt Bauman. Che, cioè, scuote alle radici il nostro sistema di riferimenti sociali e personali. Mette in dubbio la nostra identità. E ci schiaccia nel presente, lasciandoci senza ancore né legami. Da ciò la differenza da un tempo, quando il lavoro ci forniva relazioni, prospettive, senso. Anche quando era una "materia scarsa", quanto e più di oggi. 

Basti pensare alla rappresentazione  -  cruda e disincantata - di Luigi Meneghello, in "Libera nos a Malo": "C'è invece l'espressione 'bisogna', nel senso in cui si dice che morire bisogna. Anche lavorare bisogna, per sé, per la 'dòna', per 'el me òmo', per i figli, per i vecchi che non possono più lavorare. Bisogna lavorare, non otto ore, o sette ore, o dieci ore, ma praticamente sempre....". Il lavoro, come necessità. Dura e senza fine. A cui affidare la propria condizione e quella della propria famiglia. Ma anche la propria identità, la propria immagine e il proprio riconoscimento, di fronte agli altri. 

Oggi, però, quel modello si è dissolto. Perché se è vero che "lavorare bisogna" occorre aggiungere: "Se possibile". Ma soprattutto "senza certezze e senza continuità". Il che scardina il fondamento stesso della nostra società "laburista". Dove se lavori esisti ed esisti se lavori. Dove le divisioni sociali e politiche si sono formate intorno alla posizione occupata nei rapporti di lavoro. Operai, impiegati, imprenditori. Lavoratori "dipendenti" e "autonomi". 

Non è un problema di "lavoro fisso", ma di "lavoro certo". E di professione, a cui si collegano il reddito e la posizione sociale. Ma se il mercato del lavoro e il welfare diventano "liquidi" (per echeggiare ancora Bauman), allora anche il futuro tende a liquefarsi. Allora le relazioni sociali, i valori e, a maggior ragione, i riferimenti politici e istituzionali: tutto diventa liquido e relativo. 

E  la sindrome dell'insicurezza si diffonde. Non tanto fra i giovani, ma soprattutto fra le generazioni adulte e anziane. I genitori e i nonni. Gli indici più bassi di insicurezza economica, infatti, emergono tra i giovani fra 15 e 25 anni. I più elevati: tra le persone intorno ai 30 anni e, soprattutto di età centrale (45-54 anni). I fratelli maggiori e genitori. Lo stesso si osserva in relazione al futuro dei  giovani. I più pessimisti sono gli adulti e gli anziani. I meno preoccupati proprio loro: i giovani più giovani. Anche se pochi a quell'età lavorano.

Non si tratta di incoscienza giovanile. È che ormai si sono abituati all'in-certezza. All'assenza di luoghi e riferimenti certi. Si sono abituati al lavoro intermittente, assente e perfino alla transizione infinita. Senza stazioni di passaggio e senza destinazioni. Si sono abituati a fare affidamento sui genitori e la famiglia  -  finché dura. E su se stessi. Si sono abituati a un'idea del futuro senza progetti e senza percorsi programmati. Idealisti con realismo. L'angoscia, invece, è tutta nostra. Colpisce la società adulta e anziana. Coloro che hanno impostato la loro vita sul  futuro. E l'idea stessa di futuro sui giovani. Sul passaggio da una generazione all'altra. E sul lavoro  -  e il suo complemento: lo sviluppo, anch'esso sinonimo di futuro. 

Ma se il lavoro diventa liquido e in-definito. Senza regole e senza prospettive. Insicuro: senza sicurezza del futuro. Senza "previdenza". Soprattutto per i giovani, intermittenti (nel lavoro) e imprevidenti (senza pensione). Allora, rischiamo di trovarci non solo senza lavoro e senza pensione. Ma senza futuro. E senza presente. 
Il problema può, forse, apparire astratto, dal punto di vista "tecnico".  Ma non dal punto di vista"politico". E dal punto di vista "personale" mi inquieta molto.  

 

(12 marzo 2012)

 

Commenti al Post:
pgmma
pgmma il 18/03/12 alle 07:47 via WEB
Secondo me è difficile individuare le cause e gli effetti....! Per es Monti non soddisfa, delude, vuole far presto, non può... Deve fare da TAPPO ad una bottiglia che sta per spandere lo spumante . (es voleva eliminare le Provincie, ma invece NO) Lui è la sua cerchia sono al sicuro!!! La gente ? Individualismo (anche nei consumi) , senso di colpa scomparso nel far i soldi scorrettamente, mancanza di futuro (e quindi di progetto) nei giovani con conseguente *depressione diffusa* (dati ufficili parlano di 5 volte) , necessità di apparire qualcosa, le GUERRE molto più lunghe che in passato (tranne eccezioni) , voler essere arbitri noi stessi di tutto (anche dove non si può), ed altro ancora, generano SOLITUDINE di vita (e inutilità) . Ecco anche il motivo del grande ricorso al WEB. E' una crisi NON ciclica, c'è qualcosa di diverso e irreversibile di cui si tende incolpare qualcos'altro.
 
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963