Creato da lorimarsi il 06/01/2012

l'età conta

anziani: esigenze e benessere

 

ancora sulla scrittura creativa

Post n°13 pubblicato il 22 Marzo 2012 da lorimarsi
 

Per consolare Lucia (64 anni), la “nostra Liala” (da La letteratura rosa, di Eugenia Roccella): “Liala sposta l’accento dalla vocazione alla maternità e al sacrificio verso la seduzione e il narcisismo.” In Liala il piacere femminile (non solo quello sessuale) è dato per scontato. Nei suoi romanzi le donne sono finalmente intensamente consapevoli della felicità sessuale, e la vivono senza sensi di colpa. “Dietro al suo cinguettio rosa, al suo linguaggio dannunziano, ai suoi atteggiamenti iperfemminili, c’è una lady di ferro. (…) Del potere domestico non sa che farsene, quello che cerca è un potere individuale (…) che le garantisca uno spazio per se stessa.

 

Per far riflettere Aldo (68 anni), che sente di essere stato “estromesso” dal ruolo che si era guadagnato all’interno del mondo dell’associazionismo (ancora da Renzo Scortegagna):

L’identità dell’anziano va ridefinita continuamente. “Invecchiare richiede la disponibilità a cercare continuamente la propria identità

 

 

Nella scrittura possiamo sperimentarci in vari ruoli e capire quello che più fa per noi

 

Ricordiamo sempre di scrivere in terza persona, “inventando” personaggi e ruoli in cui “infondere” i nostri vissuti. Narrando in terza persona ci aiuta a guardarci “dal di fuori”, prendendo un certo distacco da noi stessi, e questa distanza ci permette di essere un po’ meno soggettivi e un po’ più obiettivi.   

 
 
 

contributo di nelly, 77 anni

Post n°12 pubblicato il 21 Marzo 2012 da lorimarsi
 

così ci scrive l'amica nelly alle soglie degli 80 anni: ho paura. non ho chiesto io di diventare vecchia, e io odio ciò che mi viene imposto. la vecchiaia mi viene imposta, mentre io amo la libertà. eppure bisogna accettare. ma io non so accettare. so che dovre abbracciare la mia vecchiaia, colmarla di baci e carezze, ma non ce la faccio. la vecchiaia, con i suoi continui assillanti piccoli acciacchi mi è intollerabile

 
 
 

amare fa bene: stralcio da una novella sull'amore anziano

Post n°11 pubblicato il 09 Marzo 2012 da lorimarsi
 

Lui settant’anni, io sessantasette.  Oltre un secolo di esperienze. Non condivise, però, almeno fino al meraviglioso giorno in cui i nostri sguardi si sono incrociati.

Giovanni e io ci eravamo conosciuti nell’associazione alla quale entrambi ci eravamo iscritti qualche tempo dopo essere rimasti prematuramente vedovi. Fu al pranzo organizzato in occasione dell’arrivo della primavera che mi trovai seduta di fronte a un affascinante signore che non avevo mai incontrato prima. Alto, con un fisico ancora prestante, i capelli brizzolati e due incredibili occhi azzurri, mi colpì subito, non solo per la sua indiscutibile matura avvenenza ma anche perché si capiva benissimo che lì, in mezzo a tutta quella gente, si sentiva spaesato come il classico pesce fuor d’acqua.

Accorgendosi che lo stavo osservando con una certa curiosità, l’uomo mi fece un mezzo sorriso imbarazzato e, dopo essersi schiarito la voce, disse: _ Quanta gente. E’ sempre così affollato?

Sorrisi a mia volta. _ Be’, sa com’è, quando si ha una certa età e non si hanno più tanti obblighi ogni occasione è buona per festeggiare.

L’uomo, poco convinto, accennò un assenso guardandosi intorno con i suoi splendidi occhi color fiordaliso, poi abbassò lo sguardo sul suo piatto ancora vuoto.

Decisi di dedicargli un po’ della mia attenzione, raccontandomi che uno degli scopi primari della nostra associazione era proprio mettere i nuovi arrivati a loro agio Così, fra una portata e l’altra, venni a sapere che si chiamava Giovanni, che aveva settant’anni e che era da poco andato in pensione dopo aver lavorato per molti anni alla direzione della filiale cittadina di un’importante banca. E che era vedovo da quasi tre anni.

_ Con gli occhi che si ritrova, non dovrebbe guardare sempre in basso! _ buttai lì, fra il serio e il faceto.

Giovanni sollevò immediatamente lo sguardo, inondandomi d’azzurro. _ Oh, grazie, lei è troppo gentile. Mi scusi, non volevo essere scortese, ma… Be’, la verità è che ho un brutto carattere, come mi rimproverava sempre mia moglie, e ho difficoltà a entrare in sintonia con gli altri.

Nel frattempo, l’orchestrina aveva attaccato un valzer lento.

Per nulla scoraggiata dalla sua fuggevolezza, posai il tovagliolo sul tavolo. _ A proposito di sintonia _ dissi alzandomi per prima. _ Le va di ballare?

Accettò, e un attimo dopo mi ritrovai fra le sue braccia in mezzo alla pista da ballo, fra altre coppie di anziani ballerini. Dopo le prime incertezze, ingranammo e danzammo in perfetta sintonia non solo il valzer lento, ma anche quello viennese e il tango che seguirono.

Quando tornammo al tavolo, Giovanni si deterse la fronte con un fazzoletto immacolato e sospirò profondamente.

_ Caspita! _ disse, affannato. _ Si vede che non sono più abituato a muovermi: ho già il fiatone.

Approfittai di quel suo momento di stanchezza e mi c’infilai con la grazia di un elefante.  _ Che ne dice d’iscriversi al corso di ginnastica dolce? Io lo frequento regolarmente e le assicuro che dopo ogni lezione mi sento come rinata! Più giovane, più energica.

Sorprendendomi, Giovanni scoppiò a ridere. _ Ah, questo è certo _ disse, divertito. _ L’energia non le manca!

Questa volta mi guardò dritto negli occhi e i nostri sguardi rimasero allacciati per un lungo momento, inclinando l’asse dell’imbarazzo decisamente dalla mia parte. Non riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi di mare, e lui, adesso, pareva non avere alcuna intenzione di abbassare il suo.

_ E se ci dessimo del tu? _ propose. _ Dopotutto, l’hai detto tu che siamo adulti e vaccinati!

Fu così che cominciò la nostra amicizia. Col passare dei mesi, in qualche modo iniziammo a “fare coppia”. O almeno così eravamo considerati dal resto del gruppo, per il quale ogni volta che si trattava di organizzare qualcosa,  “Giovanni e Renata” erano diventati quasi un nome solo.

Quanto a noi, be’, credo che sebbene facessimo finta di non accorgercene, la cosa facesse piacere a entrambi. Per quanto mi riguardava, poi, non avevo difficoltà ad ammettere che la presenza di un amico così aitante e premuroso al mio fianco mi dava una marcia in più. Di sicuro il ricordo di mio marito, col quale avevo condiviso un matrimonio felice sotto tutti i punti di vista non mi abbandonava mai, ma, come ho detto, avere una presenza maschile di nuovo accanto a me mi faceva sentire più fresca, più attiva e perfino più utile, visto che Giovanni aveva la tendenza a lasciar fare tutto a me. Ero io a spingerlo a iscriversi al torneo di ramino piuttosto che al corso di ballo, ed ero sempre io a trascinarlo a tutte le gite, visite guidate e conferenze che la nostra associazione non mancava di proporre. Insomma, ci compensavamo bene, Giovanni e io, ed entrambi ricavavamo dalla nostra amicizia quello stimolo in più che tante persone perdono una volta perduto per sempre il loro compagno di vita.

Col passare del tempo, le attenzioni di Giovanni si fecero via via più intime. Se lo guardavo con aria stupita, o di velato rimprovero, mi diceva subito: _ Siamo adulti e vaccinati, ricordi?

Non che le sue avances mi dessero fastidio, tutt’altro, ma avevo… paura. Paura di essere giudicata male, paura che qualcuno potesse pensare che non avessi sofferto abbastanza per la morte di mio marito, paura di soffrire… ma, soprattutto, avevo paura di essere di nuovo felice. Pienamente felice nella mia femminilità. I cliché che vogliono la donna matura estranea a certe pulsioni mi condizionavano fortemente, nonostante il mio corpo e il mio cuore anelassero ad aprirsi e a donarsi completamente a Giovanni.

Perciò una sera decisi di parlargli chiaramente e di confidargli il conflitto che stavo vivendo. Una parte di me mi diceva che non stava bene che una donna, figuriamoci di una certa età, parlasse esplicitamente di sesso con l’uomo che la stava corteggiando, ma… eravamo adulti e vaccinati, giusto?

Giovanni mi ascoltò e disse che anche lui condivideva i miei stessi timori, con un’aggravante.

_ Già che hai tirato fuori tu il discorso, _ disse, _ non credere che per me sia più facile solo perché sono un uomo. Anzi…

Fece una pausa e parve cercare le parole giuste. Vedi _ proseguì dopo qualche secondo. _ Io ho una figlia e…_ S’interruppe di nuovo scuotendo la testa con aria sconsolata.

_ Lo so _  dissi per riempire il silenzio. _ Sara.

Giovanni sospirò posandosi le mani sulle ginocchia, distogliendo lo sguardo dal mio. _ Sì, Sara…

Lo guardai senza capire. _ Allora?

_ Allora, allora! _ sbottò Giovanni fra lo spazientito e lo sconsolato. _ Allora guai se Sara dovesse venire a sapere che fra noi c’è qualcosa di più che una semplice conoscenza. Già non le va giù che siamo  amici, figuriamoci se diventassimo amanti.

_ Ma… mio figlio sa tutto di noi, e sembra felice che io abbia trovato un’amici…

Giovanni non mi lasciò il tempo di terminare la frase.

_ Con i maschi è diverso. Sara non tollera che qualcuno si avvicini anche solo lontanamente al posto che è stato di sua madre. E poi lei mi considera una mummia. _ Si passò una mano sulla fronte. _ Sai cosa mi ha detto una sera che ho accennato alla possibilità di rifarmi una vita accanto a una donna? Che le fa schifo che un vecchio come me pensi ancora a certe porcherie!

_ Schifo? Porcherie? _ ripetei, allibita e indignata.

_ Te l’ho detto. Sotto questo punto di vista è di un’intolleranza assoluta.

Lo vidi così scoraggiato, così desolato, così abbattuto che, anziché continuare ad allibire e ad indignarmi, presi una sedia, mi sedetti accanto a lui e presi ancora una volta io in mano la situazione.

_ E noi non le diremo niente. Sarà ancora più divertente, vederci di nascosto! _ dissi stupendo me stessa per prima.

_Ma è umiliante, alla nostra età, doverci nascondere come ragazzini…_ replicò Giovanni, esasperato.

_ I ragazzini di una volta, vuoi dire, perché quelli di oggi non hanno certo bisogno di nascondersi. Non vedi che nei reality fanno l’amore tranquillamente davanti alle telecamere, pur sapendo che da casa li vedono tutti, genitori e nonni compresi? Ma insomma, tutti fanno quello che vogliono, e noi dovremmo negarci questi ultimi sprazzi di felicità? _ Abbassai il tono di voce, e sussurrai carezzevole accostando le labbra al suo volto: _  Ma siamo impazziti?

E, così dicendo, mi gettai dietro le spalle tutte le mie paure, gli presi il volto fra le mani e lo baciai profondamente e a lungo sulla bocca.

Fu l’inizio della nostra avventura clandestina... 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 
 
 

ho iniziato un corso di scrittura per anziani presso un'azienda di servizi alla persona!

Post n°10 pubblicato il 09 Marzo 2012 da lorimarsi
 

Scrivere può far emergere la parte più nascosta di noi, l’inconscio, si potrebbe dire. Succede che l’inconscio emerga spontaneamente quando ci facciamo prendere dalla scrittura. Quando scriviamo una poesia, abbandonandoci alle sensazioni, ce ne rendiamo conto più facilmente: le emozioni danno vita a “immagini”  che sorprendono per primi noi stessi, che pure le abbiamo dentro.   Queste immagini poetiche sono simboli, ovvero la sintesi di una gamma di sensazioni ed emozioni astratte che trovano espressione nella concretezza delle parole. Questo processo si realizza anche nella scrittura creativa, ovvero nella narrazione delle nostre emozioni inserite in un racconto in terza persona, in cui l’autore narra se stesso (perché ogni autore, qualunque storia narri, narra sempre se stesso) narrando di sé sotto forma di alter ego e di altri. Tutti possono farlo, è un esercizio di scavo dentro se stessi. Lo scopo di questo lavoro è conoscere meglio se stessi, riconoscere i propri conflitti, le proprie paure, i propri sogni inconfessati ( se la protagonista  del vostro racconto soffoca il marito nel sonno è probabile che dentro di voi ci sia una certa aggressività verso il vostro consorte!…)

Risolvere un conflitto, una paura, realizzare un sogno sulla carta è una forma di compensazione della realtà. Non si tratta di vivere di fantasia, quanto di dare spazio alle nostre emozioni.

Non siamo qui per imparare a scrivere bensì per avere il coraggio di abbandonarci, ascoltarci ed esprimerci, di buttare fuori quello che abbiamo dentro liberandocene se ci pesa o godendone se ci rallegra, versandolo sulla carta, dove tutto è possibile e dove ogni cosa può trovare una soluzione, una soddisfazione, una vendetta, perfino un crimine.

Il fine ultimo non è certo diventare scrittori bensì rinforzare la nostra autostima perché romanzare i propri vissuti significa anche scoprire e realizzare, seppur virtualmente, le proprie potenzialità, anche quelle che per motivi di cultura o “di educazione” non abbiamo mai avuto il coraggio di concretizzare nella vita vissuta. 

 

Al primo incontro,al quale ho distribuito quanto sopra, sono intervenute una ventina di signore, dai 60 ai 90 anni, alcune molto motivate, alcune per niente. Fra le più interessate Alda, sulla sessantina, alla fine dell’incontro mi ha detto che si sentiva commossa: aveva la sensazione che il nostro fosse un incontro in qualche modo “predestinato”. A quanto pare la mia proposta di avviare un laboratorio di scrittura creativa era arrivato nel momento giusto, e rispondeva esattamente alle sue esigenze di vita. Qualcuna, invece, ha dimostrato una certa forma di ostilità, neanche le fosse stata chiesto di fare qualcosa contro la sua volontà! Ho pensato che forse era una forma di difesa. Se così fosse (ma chissà? Io non sono una psicologa, ma solo una giornalista, e come tale posso solo osservare, rilevare e pormi delle domande!), ne sarei felice perché vorrebbe dire che la mia proposta ha inciso in qualche modo sulla zona più intima ed  emotiva delle persone, che è quella che mi auguro che le partecipanti riescano a raggiungere con questo lavoro.

 

Alla prima lezione partecipano

Alda, Lucia, Nives, Lidia, Aldo, Daniela, Nelly e Vittorina. (aggiungi età e professione)

Riprendo in mano il foglio distribuito al primo incontro, tutte sono molto attente e interessate. Poi distribuisco un altro foglio:

 

CERCHIAMO FRA LE NOSTRE EMOZIONI UNA IN PARTICOLARE, SU CUI CI PIACEREBBE IMPERNARE UNA STORIA

 

DIAMO UN TITOLO (provvisorio) A QUESTA IPOTETICA STORIA PARTENDO DA QUESTA EMOZIONE

 

INDIVIDUAMO DENTRO DI NOI IL PERSONAGGIO CHE CI RAPPRESENTERA’ NELLA NOSTRA NARRAZIONE IN TERZA PERSONA (potrà essere assolutamente corrispondente  a noi, o un alter ego che compensa le nostre mancanze, o un personaggio assolutamente “nuovo” in cui ricrearsi)

 

CON LO STESSO CRITERIO, SCEGLIAMO GLI ALTRI PERSONAGGI DELLA NOSTRA NARRAZIONE

 

TENIAMO SEMPRE PRESENTE CHE LA NOSTRA NARRAZIONE SARA MASSIMAMENTE DINAMICA, E NON LASCIAMOCI INTRAPPOLARE DA UNO SCHEMA PRESTABILITO, BENSI’ LASCIAMO CHE I PERSONAGGI AGISCANO E PARLINO “DA SOLI”.

 

Individuare un’emozione è il primo passo.

Nelly: claustrofobia

Daniela : paura

Nives: solitudine

Lidia: amarezza

Aldo:  amarezza

Lucia: curiosità del domani

Alda:  ottimismo

(Vittorina si innervosisce, dice di non sapere quale emozione stia caratterizzando questo periodo della sua vita e si chiude in se stessa, salvo tirar fuori degli appunti scritti su un tovagliolo di carta usato. Sono le sue riflessioni, dice, scritte durante un ricovero in ospedale. Una parte di me vorrebbe lasciarla leggere ma non siamo qui per questo ed è corretto attenersi al programma, almeno a un programma di massima, perciò le dico che non è quello il momento per parlarne. Bofonchia che solo lei sa cosa ha patito. Le suggeriamo tutte insieme di concentrasi su quella sensazione di sofferenza, ma lei non vuole e dice che non ha intenzione di continuare col laboratorio. Le spiego che la sua è una difesa, che sarebbe più utile se condividesse con il gruppo la sua emozione sfruttando il binario che stiamo costruendo assieme, ma… niente da fare! Vittorina non è disposta ad andare oltre il bofonchiamento, il dire non dire. Credo sia una di quelle donne semplici, che ritengono che a tenerle su e a dar loro la forza di combattere sia il loro “morbin”. Penso che per questo tipo di donne (Mirta ne è l’emblema) ammettere chiaramente e apertamente una loro defaillance in termini di allegria e spensieratezza a dispetto dell’età e degli acciacchi, rppresenti un colpo troppo duro per la loro autostima. Ripeto: non sono uno psicologo, ma dopo 10 anni di lavoro con gli anziani ho imparato a riconoscerne le caratteristiche comportamentali. Non saprò interpretarle a fondo, però riesco a vederle e a distinguerle.)

 

Poi abbiniamo a ogni emozione una canzone:

Nelly claustrofobia: vento

Daniela paura: chiaicoski

Nives: solitudine: aggiungi un posto a tavola

Lidia: amarezza: i giardini di marzo

Lucia: curiosità del domani : tiziano ferro

Alda: ottimismo: uno su mille ce la fa

Aldo: amarezza

 

Personaggio che ci rappresenta

Nelly: sandra bambina di 3 anni chiusa in stanza buia

Daniela: angelica  10 anni

Nives: silvia 12 anni

Lidia:  lotti 36 anni

Lucia:  Charlotte 80 anni

Alda:   Lucia  37 anni?      

Aldo:   Aldous 40 anni

 

Aggiungiamo il setting:

 

 

Romanzare sentimenti ed emozioni rientra nel genere “rosa” (Liala, Luciana Peverelli, Brunella Gasperini, Maria Venturi, Sveva Casati Modigliani, ecc ecc), genere che, in un modo o nell’altro, “traduce” quasi sempre i dubbi e le incertezze di donne a cui nessuno risponde nel momento in cui si trovano strette nelle loro contraddizioni. Contraddizioni che, spesso, si creano quando la realtà dell’ “esterno” (società, famiglia, coppia)  si scontrano con il loro mondo interiore. Nella scrittura delle proprie emozioni, è possibile trasgredire a quelle regole che sentiamo come imposte, dalla società, dalla nostra età, dai limiti del nostro corpo.

Perciò, mentre scriviamo cerchiamo di:

                                                                                            

- liberarci dai pregiudizi e dagli stereotipi imposti da modelli dati per scontati (per cogliere le nuove opportunità e realizzarle nella nostra narrazione)

 

- creare, nella nostra narrazione, situazioni nuove e originali in cui mettersi in gioco (ascoltando con mente aperta le proposte della nostra immaginazione)

 

- prefiggerci nuove mete (finali) che rispondano alle nostre esigenze (anche alle più inconfessabili!!!)

 
 
 

sarà un caso?

Post n°9 pubblicato il 07 Febbraio 2012 da lorimarsi
 

a proposito di modelli massmediatici: sarà un caso che nelle trattative per il rinnovo dei contratti presso la tivù alla quale collaboravo da 11 anni (di cui al primo post) siamo rimaste fuori in tre: Caterina, Viviana e io, rispettivamente di 52, 64 e 54 anni...?

 
 
 
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