ORGOGLIO SAMMARINESE

“Seconda stella a destra e poi…l’isola che non c’è…”


Fantastiche emozioni o denuncia “del vero”? Ancora sul ruolo di arte e letteratura - di Sara SantoliniUn tiepido raggio di sole che squarci la coltre di nubi della triste realtà, oun gelido specchio che ne rifletta la cupezza? Quale l’immagine che megliorappresenta arte e letteratura e il loro ruolo? Un dibattito artistico - letterariodagli esiti diversi, influenzato anche da fattori esterni quali circostanzestoriche e sociali.Verga, scrittore siciliano della seconda metà dell’’Ottocento, denunciale pessime circostanze in cui versa la sua terra, quasi ignara di essere parte di una neonata Italia.Una denuncia sociale dello sfruttamento minorile (sulla scia di un’inchiestadi Sonnino e Franchetti), delle condizioni di vitadei più umili, degli emarginati, ricche di particolari a volte agghiaccianti (vedi ilmassacro descritto in “Libertà”) che rimane però fine a se stessa, in accordo con la “morale dell’ostrica” verghiana.“Documenti umani” dunque, afferma Verga nella “Prefazione a L’amantedi Gramigna” che faranno “pensare sempre”, avranno “sempre l’efficaciadell’essere stato”. Altre le parole manzoniane perdescrivere lo stesso concetto: “il vero per oggetto” a cui vanno aggiunti“l’utile per scopo” e “l’interessante per mezzo” affinché “il vero storico e ilvero morale generino pure un diletto”, ulteriore proponimentodi poesia e letteratura, complementare dell’intento pedagogico –morale.Chissà se Orazio, che nell’”Ars Poetica” dichiara che riceveranno maggioreapprovazione da tutti quelle opere che uniranno l’utile al dilettevole (undilettevole verosimile, sottolinea), avrebbe gradito le opere di Verga e Manzoni?Non tanto quelle di Verga, probabilmente: un vero arido, simili a pagine di un libro di storia, ad articoli di giornali scritti da unao più voci del popolo. Un vero, TROPPO vero, forse. Che non lascia spazio ad evasione, sogno, fantasia:la storia è influenzata, sconvolta, investita dalla storia che non concedelieto fine. Perfino l’happy ending dei promessi sposi più famosi al mondo è offuscato da un velo di amarezza che non rende giustizia alle loro peripezie.Lieto fine immancabile, secondo il Tolkien – pensiero, espresso in “Alberoe Foglia”, nelle fiabe, quella forma di letteratura che, se scritta con arte,offre anche agli adulti la possibilità di rispolverare la Fantasia, chiusa inchissà quale baule da ormai troppo tempo, e il Ristoro “dalla tediosa opacitàdel banale” che convergono trovando il loro apice nell’ Evasione “dalla brutalitàe bruttezza della vita europea”.Non contadini e pescatori che si spaccano la schiena per soddisfare a malapenai bisogni primari, bambini sfruttati nelle solfatare, cadaveri dissacrati daimonatti, ma fate e draghi, principi azzurri ed unicorni: romanzi, poesie, novellema anche dipinti, canzoni, pellicole cinematografiche che permettanoa chi legge, ammira, ascolta, guarda di distogliere almeno per un momento lamente dai pensieri quotidiani, dalle ansie, dai turbamenti. Proprio per questo milionie milioni di persone in tutto il mondo si sono lasciate trasportare nella giunglamagica di Pandora dal regista James Cameroon dove, immersi fra una lussureggiantevegetazione considerata una madre dagli Avatar, indigeni dalla pelle blu, difendono il proprio pianeta da una violenta invasione degli esseri umani. Grafica spettacolare,effetti speciali mai visti ma anche e soprattutto una storia d’amore:l’amore fra un terrestre e un’ abitante di Pandora, l’amore per la natura,l’amore per la propria terra, qualcosa che, bombardati come siamo da continueimmagini e racconti di odio e violenza, ci scalda il cuore, ci fa volare con l’immaginazione… lontano,lontano … fino a laggiù …“seconda stella a destra epoi dritto fino all’isola che non c’è”: Cameroon come Peter Pan che aveva portatovia Wendy ed il fratellino da una Londra devastata dalla Guerra [Peter Pandella Walt Disney]. Quella stessa “isola che non c’è” in cui, tanto malinconicamente Edoardo Bennato ci consiglia di tornare a credere, anche se, a ben pensarci, qualche dubbio sull’esistenza di un luogoprivo di odio e violenza inizia ad averlo anche lui. Shakespeare scrisse chesiamo della stessa sostanza dei sogni. E allora perché farsi prendere la manodalla ragione e convincersi che non può esistere un’ “isola che non c’è”?Che la fantasia e la capacità di sognare siano inversamente proporzionaliall’età è, purtroppo, indubbio. Ma è certamente vero anche, come affermaTolkien, che queste facoltà sarebbero molto più utili agli adulti. Egli vededunque nella letteratura una cura al male che affligge i “grandi” non permettendopiù loro di inventare un racconto formidabile da un apparentementeinsignificante dettaglio, chiudendo la loro fabbrica dei sogni, inibendo la loroimmaginazione. La soluzione?Viaggiare con il Piccolo Principe, catapultarsi su un’ isola desertacon Gulliver, immaginarsi al cospetto di una capra enorme ed umanizzata comequella dipinta da Goya, entrare in punta di piedi nei più reconditi anfrattidell’animo umano insieme ai protagonisti di Inception e dividersi il bottinodell’ultima scorribanda con la ciurma del capitan Jack Sparrow [La maledizionedella prima luna].Certo, non deve mancare la consapevolezza della realtà in cui si vive, non sipossono chiudere gli occhi davanti a fatti storici come quelli narrati ne “Il bambinocon il pigiama a righe” o “Io non ho paura”. Ma il nostro cuore e la nostramente necessitano di qualche sollievo dall’aridità del vero: la lieve brezzadella fantasia, la timida pioggerellina dell’immaginazione ed il dolce naufragionel mare dell’eterno e dell’irraggiungibile. Da  LA TRIBUNA SAMMARINESE