Makron Blog

Post N° 390


Tra i sentieri ramificati della nostra esistenza, a volte ne percorriamo uno che porta alla scoperta di passioni prima ignote e che diventano morbose con lo scorrere del tempo. Uno di questi sentieri a volte ci conduce a sedere sulla sella di una moto, senza porci troppe domande o troppi limiti, senza che una cosa così grande possa disturbare il nostro equilibrio mentale. Quando arriva il momento si sale in moto e basta. Qualche mese di apprendistato (mentale) dove i pensieri sfuggono senza che si abbia il tempo di capirne l'essenza, e poi il dubbio ci assale. Perché ? Mi manca qualcosa ? Devo dimostrare qualcosa ? Ho bisogno di fugare le incertezze e di confermare le mie qualità? Domande che mi sono posto anche io, umilmente e sempre alla ricerca di una spiegazione, di un perché agli strani percorsi che la vita ci offre, anni di stasi, un latente desiderio di due ruote e poi all'improvviso l'esplosione delle sensazioni più desiderate. Ora mi chiedo perché MOTO significhi per forza una spasmodica ricerca di un perché, un continuo ondeggiare tra realtà e finzione, un continuo susseguirsi di emozioni positive, travolte improvvisamente da crisi mistiche di rigetto. Moto, una passione non troppo diversa da tutte le passioni che ci rendono vivi, la passione per una donna, per un tramonto, per una carezza al nostro gatto o al nostro cane. Ma allora perché la moto a volte diventa immagine di morte e distruzione ? Perché la moto rappresenta a chi non la vive uno strumento di morte? Credo che la passione che rende vivo un uomo debba essere accettata per quello che è, nel bene e nel male, una passione che ci fa sentire vivi non può essere qualcosa di negativo. Girare la chiave una mattina d'estate, ai più può sembrare un gesto insano e rischioso, come lo sono del resto tutte le scelte che facciamo nella nostra vita, alcune portano alla distruzione dell'anima, alla distruzione della dignità, altre possono portare alla morte. Ma non vi è differenza tra la morte dell'anima e la morte del corpo, troppo semplice pensarlo. C'è invece differenza tra chi coltiva le proprie passioni per sentirsi vivo e chi invece rifiuta ogni rischio per paura di soffrire. La vita è un rischio per la sua stessa essenza, tutte le cose che fanno parte della vita sono un rischio nella stessa proporzione. Quattro curve con il gas spalancato o la salita al passo di montagna scrutando il panorama, una staccata al limite dell'imprevisto o una dolce carezza alla leva del freno, una torsione improvvisa della manopola del gas o un dolce movimento del polso. Che differenza c'è tra chi riempie le vene di adrenalina per una derapata o chi le riempie di adrenalina per un tramonto raggiunto grazie alla propria moto ? Nessuna..... In entrambi i casi una grande passione ci fa sentire vivi, e senza le nostre passioni siamo persone finite ancor prima di vivere la vita. Il confine tra la vita e la morte è sempre talmente labile che nessuno credo possa solamente tentare di comprenderlo e capirlo, ma non c'entra la moto, la vita stessa è un insieme di sensazioni ed emozioni che si esprimo in gesti, comportamenti e azioni. Quando la mattina di un week end estivo giro la chiave della mia moto, non si accendono solo le spie, si accendono anche le emozioni che mi accompagneranno lungo il mio viaggio verso una meta che non conosco e che non mi interessa, come non conosco e non mi interessa la meta del più grande viaggio che sto affrontando, la mia vita. Da una parte c'è la realtà, la quotidianità, la sveglia la mattina, il lavoro, il pranzo e la cena, dall'altra c'è la mia moto e il mio viaggio alla ricerca di me stesso e alla ricerca delle sensazioni che mi fanno sentire vivo. Io ho scelto le mie passioni, e non potrei mai rinunciarvi. Quindi non chiediamoci "perché la moto?" ma viviamola fino in fondo, ad ogni costo. La moto quale metafora della vita, un desiderio a volte inspiegabile che si accompagna al pensiero che forse a volte giunge l'ora di smettere di chiedersi "perché".