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Volete sapere a che ora morirete?

Post n°9 pubblicato il 22 Novembre 2012 da MassaggioDolcemente

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Forse non sapremo mai con certezza e in anticipo il giorno della nostra morte, ma tenete sott’occhio l’orologio. Nei vostri geni, infatti, c’è già scritta l’ora precisa in cui lascerete questo mondo. Se siete abituati a svegliarvi presto, avrete molte probabilità di morire intorno alle 11. Se, invece, avete l’abitudine e la possibilità di restare a letto fino a tardi, il vostro addio dovrebbe scoccare intorno alle 6 del pomeriggio. E’ questo, in estrema sintesi, il sorprendente risultato di una ricerca del Beth Israel Deaconess Medical Center (Bidmc) di Boston. Lo studio, pubblicato sulla rivista Annals of Neurology, è partito dall’analisi di alcune mutazioni genetiche che regolano l’orologio biologico umano per associarle alla comparsa di malattie quali il Parkinson e l’Alzheimer. La scoperta di alcuni elementi congruenti nell’alternarsi del sonno e della veglia ha fatto virare la ricerca, guidata da Andrew Lim del Dipartimento di Neurologia dell’istituto americano, su un tema di maggiore interesse per l’opinione pubblica.

Come si è arrivati a conoscere l’ora della morte di ognuno di noi? Il lavoro degli scienziati di Boston è nato 15 anni fa, quando Lim, che stava lavorando presso il laboratorio del Bidmc di Clifford Saper, si unisce ad un progetto della Rush University di Chicago. L’intento è quello di spiegare perché le persone anziane hanno difficoltà a dormire. Per farlo sono state coinvolte 1.200 persone con un’età media di 65 anni e in salute. E’ stata effettuata un’attenta analisi dei loro comportamenti e abitudini. Soprattutto i soggetti sono stati sottoposti a varie analisi sonno-veglia utilizzando un braccialetto chiamato actigraph. Per approfondire la ricerca gli esperimenti sono stati estesi al cervello donato dai partecipanti entro un anno dalla loro morte.

Lo studio ha ricevuto una svolta decisiva quando Lim ha appreso che dello stesso gruppo di soggetti era disponibile anche il Dna. A quel punto, infatti, è stato confrontato il comportamento sonno-veglia di questi individui con i loro genotipi. I risultati, verificati anche su un gruppo di giovani volontari, sembrano non lasciare dubbi. I ricercatori americani hanno scoperto che un singolo nucleotide, insieme di molecole che formano i blocchi di acidi nucleici (Dna e Rna) e servono per trasportare pacchetti di energia all’interno della cellula, chiamato “Period 1” variava fra due gruppi di soggetti che avevano differenti comportamenti veglia-sonno. Gli studiosi hanno capito che, in quel particolare punto del genoma, il 60 per cento degli individui avevano l’adenina e il 40 per cento avevano la guanina. Queste due base azotate, che si uniscono in coppia perché ogni individuo ha due copie di ciascun cromosoma, sono il fulcro della scoperta scientifica. “Questo particolare genotipo influenza il pattern veglia-sonno di praticamente ogni individuo – spiega James Putnam, che ha partecipato allo studio - le persone che hanno il genotipo AA (doppia adenina) tendono a svegliarsi presto la mattina, esattamente l’opposto di quelle che hanno il genotipo GG (doppia guanina)”. Questo determina abitudini di vita diverse con effetti sulla pressione sanguigna, l’efficienza cardiaca e la capacità di socializzazione. La conclusione è che con il genotipo AA o AG (adenina-guanina) si tende a morire alle 11 del mattino, come la maggior parte della popolazione, mentre col genotipo GG si muore mediamente poco prima delle 6 del pomeriggio. “L’orologio biologico interno regola ogni aspetto della biologia umana e del nostro comportamento, come il picco delle performance cognitive oppure il tempo in cui si preferisce dormire – afferma Lim - questo influenza anche il momento in cui si possono verificare eventi di salute acuti come ictus oppure un attacco cardiaco”.

La validità di questa ricerca americana deve ricevere ancora ulteriori conferme. Il tema delle varianti genetiche che influenzano l’orologio biologico del corpo è, comunque, molto ampio e di estrema attualità. In particolare il ritmo circadiano, quello caratterizzato da un periodo di circa 24 ore, caratterizza fattori importanti come il ritmo veglia-sonno, il ritmo di secrezione di varie sostanze biologiche, il ritmo di variazione della temperatura corporea e di altri parametri legati al sistema circolatorio. L’approfondimento di questo argomento, legato a una sorta di complesso “orologio interno” all’organismo che si mantiene sincronizzato con il ciclo naturale del giorno e della notte mediante stimoli naturali come la luce solare e la temperatura ambientale, potrebbe essere decisivo anche per la cura di diffusi disturbi come il jet lag o il lavoro di notte e a turni.

L’abbinamento tra lo studio dei geni e la morte è in pieno sviluppo. Ad accendere i riflettori su questo argomento è stato anche il recente caso della morte improvvisa del giovane calciatore del Livorno, Piermario Morosini. “Nel 40 per cento delle famiglie di persone tra i 16 ed i 40 anni decedute per morte cardiaca improvvisa senza cause apparenti è stata dimostrata una predisposizione genetica, dovuta a modificazioni della sequenza del Dna di alcuni geni” spiega Gian Antonio Danieli, Accademico dei Lincei e Biologo all’Università di Padova. L’attenzione è soprattutto sul gene responsabile della codifica del recettore rianodinico, che nelle cellule cardiache ha un ruolo fondamentale nella regolazione della contrazione. “Alterazioni di tale gene possono predisporre all’insorgenza di tachicardie ventricolari polimorfe da sforzo e, purtroppo, a fibrillazione ventricolare – continua Danieli -  analizzando il Dna di una trentina di geni, alla ricerca di modificazioni patogene, si riesce spesso ad identificare la possibile causa genetica di una morte improvvisa, ma qualora tale ricerca dia esito negativo non si può escludere che la modificazione patogena esista in un altro gene, non considerato dallo studio”. 

Le ricerche sui fattori che possono allungare l’aspettativa di vita sono sempre più numerose. E, in questo ambito, da un lato c’è chi si sofferma sugli effetti di quello che ingeriamo. E’ il caso dello studio dell'Università olandese di Leida che mostra come livelli bassi di vitamina D, che promuove l’assorbimento del calcio da parte dell’organismo, allungano la speranza di vita. Dall’altro c’è chi si dedica all’analisi dell’importanza dell’attività sportiva. Un esempio è la ricerca del Birgham and Women’s Hospital di Boston in collaborazione con il National Cancer Institute. La tesi degli scienziati americani è che un’ora di camminata al giorno allunga la vita di 4 anni e mezzo. Fare uno sport, paragonabile a un massimo di 75 minuti di camminata veloce a settimana, secondo i risultati ottenuti, è associato a una riduzione del 19 per cento del rischio di mortalità rispetto a chi non fa nulla. Per chi si dedica a circa 150 minuti di camminata veloce a settimana, invece, l’aumento di speranza di vita è di 3,4 anni. Insomma pare proprio che rimandare l’appuntamento con la morte dipenda sempre di più da noi. A meno che una noce di cocco ci crolli in testa e ci ammazzi mentre siamo distesi su una spiaggia delle isole Fiji.

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