Odeporica

Per un imprevisto


Dal giorno dopo sarei andata in ferie. Due settimane di totale relax. I nuovi campionari avevano assorbito tutto il mio tempo e le mie energie. Ero veramente stanca. Quell'ultimo giorno in ufficio sembrava non dover finire mai. Continuavo a guardare l'orologio mentre finivo di sistemare documenti e contratti. Carla si sarebbe occupata di tutto durante la mia assenza, era una collaboratrice eccezionale. La prima volta che la vidi mi sembrò di avere davanti una ragazza venuta da qualche paesotto sperso fuori dal mondo. Pensai di dovermi rimboccare le maniche e aggiungere alla mole di lavoro che mi opprimeva anche il compito di fare da mentore a questa ragazzina spaurita e terribilmente timida. Vestiva in modo anonimo e non si truccava. La prima cosa che pensai fu che i clienti sarebbero scappati vedendola. Il suo curriculum però era di tutto rispetto, aveva ottime referenze e parlava tre lingue. A vederla non sembrava neanche in grado di proferir parola. Avevo insistito per avere una donna al mio fianco e m'avevano mandato il brutto anatroccolo. Il ricordo di quei giorni mi rubò un sorriso. Guardai fuori dal mio ufficio e la vidi seduta alla scrivania con i capelli raccolti, gli immancabili occhiali, il naso nelle carte e  come al solito mordicchiava una matita. La guardai compiaciuta quando si alzò, indossava un completo verde e si muoveva sicura sui suoi tacchi, mi vide e mi sorrise, denti bianchissimi e un trucco impeccabile. Il brutto anatroccolo era diventato un cigno. Ricambiai il sorriso e le feci cenno di chiudere la porta del mio ufficio.Volevo godermi quell'ultimo quarto d'ora, ormai era tutto in ordine, le commesse erano pronte e avevo firmato tutti i documenti. Non mi sembrava vero, finalmente una vacanza. Non avevo progettato niente, nessuna prenotazione, ogni volta che organizzavo anche solo un week end per un motivo o per un altro andava tutto a monte. Così vivevo d'improvvisazione. Pregustavo già quei giorni di ozio con un sorriso sornione e lo sguardo perso in un sogno ad occhi aperti.Il suono dell'interfono mi distolse dai miei pensieri. Un brivido corse lungo la schiena. Era arrivato, immancabile, l'imprevisto."Dimmi Carla""Il dottor Carbone la cerca""Passamelo" dissi gettando con stizza la penna sulla scrivania."Roberta devi aiutarmi, lo so che stavi andando via e che da domani sei in ferie, ma devi assolutamente sostituirmi""Federico stavo andando via""Roberta il dottor Michele Paglieri mi sta aspettando al Marlot cafè per presentargli la nostra proposta e io non posso andare, devi andare tu al posto mio"Devi andare tu al posto mio. Il tono del mio capo non ammetteva repliche."Ok, ma da domani sono in ferie, non farmi scherzi""Da domani e per due settimane mi dimenticherò che esisti."Mise giù senza darmi neanche il tempo di replicare. Faceva sempre così. Ma era il capo e poteva permetterselo.Chiamai Carla e mi feci portare il fascicolo del dottor Paglieri. Lo conoscevo di fama, era un uomo d'affari conosciuto nell'ambiente, ma si sapeva ben poco della sua vita privata. Era un potenziale investitore e io avevo un quarto d'ora per studiare la strategia giusta e i dettagli dell'acquisizione. Dissi a Carla di telefonargli e avvisarlo che per un contrattempo del dottor Carbone l'appuntamento era per l'aperitivo.Il dottor Paglieri era già al tavolino del bar, era sempre in anticipo e non gli piacevano i ritardatari. Approfittò di quei minuti per studiare una proposta presentatagli per far concorrenza a quella del dottor Carbone. Il solo fatto che fosse in ritardo contribuiva a sminuirne la validità. Era seduto sulla terrazza esterna e non riusciva a distogliere lo sguardo dal tramonto sul mare che donava alla città un colore tra il rosa e il rosso. Ripensò alle lunghe passeggiate con sua moglie, scomparsa ormai da qualche anno, di cui sentiva ancora la mancanza. Il suono di un clacson rapì la sua attenzione e volse lo sguardo verso la strada e la vide, incedere sicura e incurante di ciò che la circondava, aveva una valigetta in una mano e con l'altra parlava al cellulare. Poteva percepirne la forza e la bellezza, che esplosero in un brivido che gli percorse la schiena. Si voltò verso il cameriere che gli si era avvicinato e quando ritornò con lo sguardo alla strada lei non c'era più. Scosse il capo chinando lo sguardo e sorrise dandosi dello sciocco.Era impeccabile nel suo completo grigio scuro, le mani curate, gli occhi di un colore indefinito tra il grigio e l'azzurro, e un sorriso disarmante, vacillai e per la prima volta i miei pensieri sempre indirizzati sul mio lavoro e la sua riuscita furono eclissati dal carisma dell'uomo che avevo di fronte. Ripresi il controllo con un lungo respiro e mi presentai."Scusi per il ritardo dottor Paglieri, sono la dottoressa Giardini, Roberta Giardini, il dottor Carbone ha avuto un contrattempo, le esporrò io i dettagli dell'acquisizione"Restò a fissarla senza riuscire a parlare, era lei, vista, persa e ritrovata in una manciata di secondi. Fu rapito dalla sua fierezza e il brivido gli si ripresentò. Si impose di riprendere il controllo, si alzò e si presentò. Fece un cenno al cameriere che portò da bere e svariati stuzzichini.Fu così che iniziò la nostra storia, fra un bicchiere di prosecco ghiacciato, un vassoio di rustici e un piatto di grosse e sugose olive, in una serata di maggio, quando il tepore della sera permette di godersi le prime avvisaglie dell'estate che si avvicina. Per i successivi dieci minuti parlai ininterrottamente attenendomi alle direttive che Federico m'aveva dato pochi minuti prima al telefono. Un tassista m'aveva suonato contro perchè stava per mettermi sotto, distratta e concentrata sulla telefonata avevo attraversato la strada senza neanche guardare. Ma non ci avevo badato più di tanto. Adesso ero seduta al tavolino del Marlot e svolgevo il mio lavoro. Parlavo e pensavo alla sveglia che non avrebbe suonato l'indomani. Parlavo e pensavo da domani sono in ferie e Federico si occuperà di te. "Ma lei va sempre così di corsa, veloce come un treno? Mi auguro che ogni tanto riprenda fiato"Lo guardai sbigottita, ero incredula e attonita, mai nessuno aveva interrotto il mio incedere con tanta insolenza. Di solito pendevano tutti dalle mie labbra e i miei discorsi finivano con una stretta di mano e una firma. Sentii le guance avvamparsi, per la rabbia e l'imbarazzo. Mi guardava insistentemente ed io non riuscivo a parlare. Riuscii a tener testa al suo sguardo imponendo a me stessa tutta la freddezza di questo mondo. Un minuto di interminabile silenzio e poi scoppiammo a ridere."Il contratto è vostro, mi ha convinto. Gli avvocati penseranno ai dettagli"Finiva così la mia ultima giornata di lavoro. Cominciava così la mia nuova vita.L'appuntamento proseguì, era palese che nessuno dei due aveva voglia di andar via. Restammo per un tempo indefinito a parlare, era come se entrambi non aspettassimo altro che incontrare qualcuno con cui parlare, con cui poter dismettere la veste  di persone efficaci e perfette. Lui si era sfilato la cravatta facendola scivolare lentamente dal colletto della camicia, io avevo sciolto i capelli.Seduti al bar avevamo scoperto mille cose l'uno dell'altra e mai mi ero sentita così a mio agio con un uomo.La serata proseguì a casa mia e dal giorno dopo e per le due settimane successive, fummo irreperibili.Vittime di un colpo di fulmine sotto un cielo di stelle.*...e voi, ci credete nel colpo di fulmine?