Un blog creato da zenit_76 il 28/02/2007

Emozioni senza voce

Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare. Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei più uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di lasciarle alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualunque soluzione tu scelga ti cambia, e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male. (G. Faletti)

 
 
 
 
 
 

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25 ANNI FA....

Post n°50 pubblicato il 03 Settembre 2007 da zenit_76

“Finché una tessera di partito conterà più dello Stato, non riusciremo mai a battere la mafia. Ci sono cose che non si fanno per coraggio, si fanno per poter continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli”.

Queste sono frasi pronunciate dal generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa nel 1982, poco prima di essere ucciso dalla mafia a Palermo. Parole che, sommate ai fatti da lui compiuti nella sua vita di fedele servitore dello Stato, danno la misura, e più precisamente la grandezza, di un vero e proprio eroe italiano. Egli ebbe un profondissimo senso delle Istituzioni che difese a prezzo della vita. La sua era devozione per lo Stato, intendendo quest’ultimo non come un’entità astratta ma come popolo italiano. Carlo Alberto dalla Chiesa fu sempre dalla parte giusta: lottò contro il nazifascismo, contro il terrorismo e contro la mafia. Nel 1943 organizzò la Resistenza nelle Marche; negli anni Settanta, alla guida del Nucleo speciale antiterrorismo, decapitò le Brigate rosse con la cattura di terroristi come Renato Curcio e Alberto Franceschini.

Definirà la sua vita “un’esperienza duramente vissuta”, una vita caratterizzata da molte rinunce anche verso gli affetti più cari. Alla fine degli anni Quaranta scende per la prima volta in Sicilia, a Corleone, come volontario contro il banditismo e sarà costretto a vedere per la prima volta il suo primogenito Nando solo alcuni mesi dopo la nascita. Nell’isola torna per la seconda volta anni dopo, nel 1966, per comandare la Legione carabinieri di Palermo fino al 1973. Ed è qui che escogita, da abile investigatore, strumenti preziosi per combattere Cosa nostra: costruisce schede che tracciano compiutamente la genealogia del mafioso, considerando anche le parentele e le alleanze del criminale nel tempo e sul territorio; in particolare, concentra l’attenzione sulle società imprenditoriali che possono essere il terreno di contatto privilegiato tra mafia e politica. Nel 1981 diventa vicecomandante generale dell’Arma. Poi, nel 1982 è chiamato dal governo a ricoprire la carica di prefetto di Palermo per fronteggiare l’emergenza mafia. Con spirito di sacrificio il generale non si tira indietro. Sebbene venga catapultato a Palermo senza poteri e senza mezzi. Per lui è la terza e fatale discesa in Sicilia. La criminalità organizzata miete vittime con frequenza impressionante. Sono assassinati magistrati, politici, forze dell’ordine, giornalisti. E scoppia anche la guerra fra le cosche mafiose per il controllo del traffico di stupefacenti. Una mattanza. L’assassinio del segretario siciliano del Pci Pio La Torre (30 aprile 1982), grande sostenitore della nomina di dalla Chiesa a prefetto di Palermo, costituisce un chiaro avvertimento al generale. L’omicidio fa anticipare al 30 aprile l’insediamento, nella prefettura del capoluogo siciliano, di dalla Chiesa che quel giorno scriverà profeticamente sul suo diario, riferendosi ai partiti: “Pronti a buttarmi al vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere toccati, pronti a lasciarmi solo nelle responsabilità che indubbiamente deriveranno ed anche nei pericoli fisici che dovrò affrontare”. Il governo, infatti, lo lasciò solo, isolato.

Dalla Chiesa scrive al presidente del consiglio Spadolini. Pretende che la lotta alla mafia sia esplicita, non vuole leggi speciali ma un appoggio dichiarato e codificato. E fa intendere che esiste una precisa corrente politica (verosimilmente quella andreottiana) inquinata dalla mafia. Il governo promette e rassicura il generale, ma non agisce. Dalla Chiesa avrebbe voluto coordinare da Palermo su scala nazionale un’azione contro Cosa nostra ma non gli sono concessi effettivi poteri antimafia. I rappresentanti delle istituzioni lo tengono, di fatto, con le mani legate. L’intervista che il prefetto rilascia al giornalista Giorgio Bocca del quotidiano Repubblica, pubblicata il 10 agosto 1982, è l’estremo tentativo di indurre il governo ad uscire dall’immobilismo. Ma non sortirà l’effetto sperato. Di contro, quell’intervista segnerà il destino di Dalla Chiesa perché comunica alla mafia la solitudine istituzionale del prefetto, la sua maggiore vulnerabilità. Le polemiche sui poteri da concedere a dalla Chiesa crescono, in un vile teatrino di polemiche e di boicottaggi da parte di settori dello Stato. Carlo Alberto dalla Chiesa alle 16,30 del 3 settembre 1982 confida al telefono ad un suo collaboratore di essere rimasto solo, come don Chisciotte contro i mulini a vento.

Poco dopo le 21 del 3 settembre, a Palermo, in via Isidoro Carini, a bordo di una A 112 è ucciso a colpi di kalashnikov. Muoiono anche la sua seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, che era alla guida della vettura e, dopo giorni di coma, il poliziotto Domenico Russo, al seguito dell’auto del generale. E’ chiaro che quella di Dalla Chiesa fu una morte annunciata. Per il delitto sono stati condannati la cupola mafiosa e gli esecutori materiali. Ombre enormi gravano però ancora sui mandanti. Ed è evidente che in questa vicenda vi è stata una responsabilità storica e politica dei rappresentanti delle istituzioni. Quale convergenza di interessi ci fu?Dal 1980 giaceva nei cassetti del Parlamento una proposta di legge di La Torre contro la mafia. Rimane vergognoso il fatto che ci volle l’omicidio di La Torre e di dalla Chiesa perché fosse con urgenza approvata la legge (n.646/1982) sull’introduzione del reato di associazione mafiosa.

Ricordare Carlo Alberto Dalla Chiesa, rendere omaggio alla sua memoria, è non solo importante ma doveroso, perché un po’ di questa democrazia e di questa libertà, delle quali noi possiamo godere, è anche merito suo. L’esempio di chi, come lui, ha onorato la divisa ed il Paese non deve essere dimenticato ma difeso. Come cittadini italiani abbiamo nei confronti del Generale un grande debito di riconoscenza. Inestinguibile.
Marco Scipolo

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Commenti al Post:
gaiadgl0
gaiadgl0 il 05/09/07 alle 09:10 via WEB
hai detto giusto, un grande debito di riconoscenza verso tutti questi uomini importanti che hanno in qualche modo cambiato la nostra storia..bel post, buona giornata
 
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