oliviaspaghetti

nel Clan della libertà (per un attimo)


 Da sempre ne subisco l'affascinante timore e, mentre  stringo la borsa sottobraccio, inevitabile retaggio di una borghesia che nemmeno m'appartiene, cerco di seguirli discreta per carpirne uno sguardo, una parola, un gesto, ma non c'è nulla da fare: non c'è discrezione che tenga, la mia puzza di 'prigioniera' le raggiunge prima del mio passo silenzioso. M'accontento di osservarle da fuori, come un pescatore davanti a un vetro d'acquario, incastrata su un sedile di un treno in ritardo piuttosto pieno a parte quello scompartimento. Sono tre donne, quella accanto a me cerca di dormire ma il bambino che ha in braccio la sveglia in continuazione sgambettando e protestando senza piangere, lo mette per terra tenendolo appena per mano; il suo smalto fucsia si è consumato insieme alle unghie, il bambino è scalzo, ha dei boccoli biondi e il viso sporco di tutto, è vivo e non ha tempo per 'fare la nanna': così, mentre quella davanti a me guarda imperterrita fuori dal finestrino mangiando un pezzo di pane, prende una scarpa da uomo dentro alla sporta di plastica celeste piena di vestiti raccolti chissà dove e cerca di mettersela, la donna sorride ma non lo aiuta mentre lo guarda un'altra volta cadere su se stesso senza darsi per vinto.
Quella dall'altra parte del corridoio è più grande, non si afferrano subito le parentele, gli anni che separano le generazioni sono così pochi che tutte si confondono: madri, sorelle, nipoti. Il bambino ora è sulle sue ginocchia mezze ingombre da un altro figlio che nascerà di lì a poco. Ha la faccia magra e gesti colmi di calma, come se il tempo non fosse stato ancora inventato: gli infila la scarpa, la lega stretta e lo rimette sul pavimento del treno in corsa: è felice mentre zoppica buffo, ridono e si guardano, intorno a loro adesso è pieno di gente ma è come se non ci fosse nessuno.Sono arrivata, faccio per alzarmi quando quella davanti a me smette di guardare dal finestrino, si spolvera con inaspettata minuzia le briciole dal vestito e, finalmente, apre la bocca: 'Signora' mi dice e poi si tocca le labbra con un dito. La guardo, mi sento accettata, per un attimo faccio parte anch'io del Clan, di quella libertà che non si può imitare: ha due lunghe trecce e occhi enormi, neri come i miei ma più profondi, fieri. Io guardo quel piccolo dito e capisco: metto una mano nella borsa sigillata dalla mia misera stretta e cerco il rossetto. Lo prende rapida e lo fa sparire poi, come se non fosse successo nulla, torna a guardare fuori dal finestrino, dondolando i sandali rosa a mezz'aria.   Olivia