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20 anni di MatrimonioOgni riferimento a fatti e personaggi e' puramente... VOLUTO! Angoli di vita
28 gennaio 2009 / 28 gennaio 1989
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Post n°13 pubblicato il 27 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Capitolo XIII All'ultimo banco Si spensero i riflettori di Teatro 10 e si riaccesero le luci delle aule scolastiche di Via Garigliano. La seconda media. Una classe che ricordo malvolentieri. La trovai molto piu’ impegnativa della prima e, a posteriori, anche della terza e in piu’ non sopportai molto la retrocessione all’ultimo banco. Non fu una punizione, non fu un castigo, semplicemente l’esigenza da parte di alcuni insegnanti di mescolare le carte e assortire i compagni di banco. A me tocco’ Gerardo Marotta, un bravo ragazzo dal punto di vista umano, ma dallo scarso rendimento scolastico, era stato gia’ bocciato tre volte per cui, visto che io ero un anno piu’ piccolo del normale, c’erano quattro anni di differenza tra me e lui. In fondo all’aula era facile distrarsi e con lui, sebbene tutto sommato mi divertissi, non riuscivo a stare piu’ attento come prima.
Mi raccontava del suo lavoro in tipografia, delle litografie, del metodo offset, era espertissimo, lui dava una mano nella bottega di un suo parente e quindi non aveva molto tempo per studiare. La mia attenzione precaria alle lezioni si ripercuoteva a casa, dove ero costretto a studiare piu’ del dovuto per recuperare il tempo perso a scuola. Un giorno, esasperato dal suo continuo distrarmi, lo richiamai ad alta voce, durante l’ora di italiano con il gia’ noto prof. Galardi, parafrasando il suo cognome Marotta e uscendomene con un sonoro: Marotto! Immaginatevi il boato delle risate dei nostri compagni… Del resto ero esasperato e non sopportavo piu’ il fatto di non poter seguire le lezioni come volevo. Di li’ a poco fui cambiato di posto varie volte riavvicinandomi verso i primi banchi. Ma lui volle rimanere mio amico e spesso veniva a trovarmi vicino casa nel primo pomeriggio, prima che io andassi a fare i compiti: meglio amico che compagno di banco. In quel periodo uscivo di casa dopo pranzo verso le 14 e rientravo alle 15 o alle 15.30 a seconda di quanto lavoro avessi da svolgere per la scuola.
Di solito andavo in giro per marciapiedi con la mia bicicletta da cross e mi soffermavo spesso a guardare una meravigliosa Alfa Spider 2000 grigia metallizzata, parcheggiata nel palazzo accanto al mio, di un certo Roberto Priami, che all’epoca era rappresentante della Star e che spesso si presentava anche con una Fiat 500 L gialla e verde, targata MI L53505, sponsorizzata dalla sua ditta: sembrava un giocattolo, sarei impazzito per averne un modellino in scala. Intanto iniziava il 1973 e ancora mio padre andava avanti con la sua 850, sempre piu’ affannata, piena di acciacchi, con un’ammaccatura nell’angolo posteriore destro, proprio sotto il fanalino rotondo, e ormai non era piu’ riparabile, perche’ era diventata… storica: era li’ da quando frequentavo la quarta elementare, c’eravamo tutti affezionati a quella rientranza della carrozzeria, era come una personalizzazione, potevamo dire “ce l’abbiamo solo noi!”.
Un colpo di scena in famiglia si ebbe nello stesso anno quando mio zio Franco, fratello di mio padre, cambio la sua 500 F grigio topo del 1965, targata FO 118019, con una nuova Fiat 128 bianca, seconda serie, quella con la mascherina nera, targata FO 335038.
Anche mia zia Venilia, quella di Roma con la 850 special rossa, qualche mese prima si era comprata una Fiat 128 Rally, rigorosamente rossa!
Mio zio, come avrete capito dalle targhe, abitava a Forli’, ma era toscanissimo, si trovava in Romagna solo perche’ era maresciallo dei carabinieri, come il padre, e spesso veniva a trovarci con la zia Carla e la figlia Bettina, nata nel 1968. Piu’ di una volta andammo in 128 da Grosseto a Ribolla, dove anche lui aveva vissuto da giovane, e un giorno mi fece guidare la sua nuova Fiat sulla strada VERA, non su quelle sterrate a cui ero abituato io. Fu un’emozione grandissima, la prima volta sull’asfalto, con una 128 nuova, scortato da un maresciallo dei Carabinieri, mi sentii cresciuto in un istante, percorsi quasi meta’ strada del viaggio di ritorno da Ribolla a Grosseto, una quindicina di chilometri carichi di adrenalina pura, e in un tratto rettilineo, la dritta di Montelattaia, effettuai anche il mio primo sorpasso. Da quel momento iniziai a tartassare mio padre per convincerlo a cambiare la vecchia 850, ma l’agonia dell’utilitaria si trascino’ ancora per diversi mesi. Intanto anche mia nonna Ariella stava peggiorando con la salute, il suo cuore era sempre piu’ debole e dal 16 maggio del 1973, dopo frequenti ricoveri in ospedale, si stabili’ definitivamente a casa con noi: la casa di Ribolla non la vide mai piu’.
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