I due discepoli di Emmaus arrivano dalla loro incredibile esperienza e raccontano di come loro lo abbiano visto e riconosciuto; anche Pietro racconta un suo incontro con il Signore, ma quando Gesù arriva loro rimangono perplessi e stupiti. Non vi pare strano? Perché? Cosa ci vuol dire tutto questo? L’esperienza del Signore Risorto, cioè il sentirlo vivo, presente nella tua vita, è un’esperienza che ciascuno deve fare per sé. E infatti Gesù dice: “Toccatemi, guardate le mie mani, i miei piedi”. Si tratta cioè di toccare, di percepire, vedere con il cuore, di rendersi conto che davvero Lui è vivo, che Lui c’è, che Lui agisce.
Non basta che gli altri mi raccontino. Non basta che io sappia che alcune persone hanno rivoluzionato la propria vita. Non basta che io veda la luce negli occhi di chi lo sente vivo o la passione nell’anima di chi ce l’ha dentro. Non basta che io veda le persone guarite dalle loro malattie solo perché Gli hanno dato fiducia. Non basta che io veda la felicità negli occhi di chi non l’ha mai avuta dopo l’incontro con Lui. Non basta nulla se io non ho il coraggio di toccare, di lasciarmi coinvolgere, di mettermi in gioco io. Tutto non basta se io dubito. Perché la gente dubita? Perché non ne ha fatto esperienza, perché non l’ha incontrato, perché non l’ha toccato, perché non si è lasciata coinvolgere. Perché quando una cosa l’hai vista, sentita, quando ti ha cambiato la vita, ti ha fatto guarire, ti ha fatto riscoprire la tua bellezza, la gioia dell’amore, la felicità, quando tu torni a sentirti vivo e a sentire la vita dentro di te dopo aver vissuto come un morto e con la morte dentro, o peggio ancora con la disperazione, allora non ci sono più dubbi, tu lo sai per certo: “Lui è vivo”. La fede è un’esperienza e un incontro. Altrimenti rimane un’ipotesi, una possibilità, un dubbio. Il dubbio non nasce a caso. E’ come trovarsi per al prima volta di fronte al mare. Allora ci sono due possibilità: dubitare o sperimentarlo. Il dubbio inizia a dire: “E se poi è troppo freddo? E se è troppo caldo? E se non ti piace? E se ci sono le meduse? E se arriva un’onda anomala? E se viene un vortice? E poi non so nuotare. Chissà se mi piace! Ma cosa sarà poi di così eccezionale il mare!”. L’altra voce dice: “Ma buttati in acqua!”. Buttarsi in acqua vuol dire entrarci, sentirla, sentire l’effetto che ci fa, scoprire che il mare è bello, scoprirne i pericoli e le potenzialità, scoprire che ci piace; un po’ alla volta, andandoci io, passo dopo passo, ecc. Se vuoi sapere cos’è il mare ti devi bagnare! Se vuoi sapere cos’è la vita, devi vivere. Se vuoi sapere chi è Dio, lo devi toccare. Altrimenti hai idee su Dio, sulla vita e sul mare. Ma solo idee. E con l’idea del cibo non si mangia: si muore di fame!Il dubbio non si lascia coinvolgere. Il dubbio è la pigrizia (o la paura) che blocca. La fede è un cammino, una strada, un itinerario, una gradualità, un passo dopo passo, un divenire lento. Noi siamo quelli del “tutto e subito”, del “detto e fatto”. Ma non funziona così per le cose dell’anima o del cuore. Noi vorremmo essere come il telecomando della tv o il pulsante che accende il computer: basta schiacciarlo e in un secondo tutto si apre. Ma non funziona così! Tutto è graduale nell’anima. Ed è importante che sia così. Ma che motivazione ci sarebbe se in un attimo potessimo credere? La gradualità, la perseveranza, l’evolvere giorno dopo giorno, dice quanto vogliamo una cosa (quanto cioè siamo motivati) e ci permette di gustare giorno per giorno ogni cosa, ogni passaggio, ogni situazione. “Ma quanto tempo ci vorrà? Ma è difficile! Ma ci vuole tempo! Io vorrei essere già là!, già arrivato; ma io sono indietro! Io non ci arriverò mai! Ma, mi fa male! Ma, ho paura!”. Tutte frasi che dicono che non abbiamo tanto voglia di compiere questo cammino, che vorremmo evitarci la fatica e l’impegno personale del cammino. Le strade per arrivare al Signore. Il vangelo dice che “Gesù apparve in mezzo a loro”. Solo una volta, a Maria Maddalena, Gesù appare alla singola persona. Nelle altre apparizioni c’è sempre un contesto comunitario. Ci sono, cioè, più persone. Ciò che qui si descrive è ciò che dovrebbero essere le nostre comunità e le nostre famiglie. Per questo continua a richiamarci all’amore, all’amicizia … al rispetto verso i fratelli, all’altruismo … all’apertura! La prima strada è l’incontro con le proprie ferite. Gesù mostra ai discepoli le mani e i piedi feriti. Le mani e i piedi erano il segno della sofferenza (a Tommaso domenica scorsa aveva mostrato anche il costato, il cuore trafitto). Le mani rappresentano il fare, l’agire, il costruire, il realizzare. Molte persone credono che “non ci sia più niente da fare che tutto sia compromesso, ormai!”. Ma non è vero! Molte persone hanno delle cose che vorrebbero fare, ma dicono: “Come mi sarebbe piaciuto fare quella cosa lì nella mia vita!”. E cosa aspetti ad iniziare?Certo, se tu inizi a dire: “Ma che ci faccio in mezzo a tutti questi ventenni? Ma mi vergogno!”, allora è la fine. Perché se neppure io do voce ai miei desideri, alle mie aspirazioni, a ciò che mi piacerebbe fare o vivere, chi lo farà? Perché dovrebbero farlo gli altri? Perché lamentarmi che sono infelice, che il mondo fa schifo (tradotto: la mia vita) se non faccio nulla? Perché dire che “è troppo tardi” solo perché ho paura di iniziare, solo perché mi vergogno della mia età? Per me è una forza incredibile vedere che le mani ferite, che l’incapacità di realizzare, di costruire, di fare qualcosa, se mi fido del Signore, possono diventare mani gloriose, risorte, sanate. Io posso creare; io posso fare; io posso iniziare; io posso realizzare. I piedi feriti sono l’incapacità di stare in piedi con le proprie gambe, di camminare, di fare la propria strada, di diventare se stessi, di fare dei cammini dello spirito o dei viaggi interiori. Le tre frasi tipiche delle persone sono: “Se avessi tempo!; quanto tempo ci vuole?; ormai!”. Se ascolti il dubbio o la mente è la fine perché ti dice: “Ormai!; hai fallito!; vita sprecata”. Ma Iddio non ha paura: fidati e inizia a riprenderti la tua vita. E’ uscito di casa e adesso convive con una ragazza. Non tutto è semplice ma finalmente si sente protagonista della sua vita. Il cuore trafitto è l’amore che viene ferito. Molte persone si sentono in croce, impotenti di fronte alla loro situazione affettiva. C’è chi sente di non amare più il partner e ci sta insieme lo stesso perché ricominciare non è possibile, quindi meglio andare avanti. C’è chi sente di non amare più nessuno, di essere arido, di essere addirittura inacidito o di non credere più nell’amore e nella fiducia. Una donna mi ha detto: “L’amore non esiste, sono tutte balle che la gente si dice!”. Forse il tuo amore non esiste! Ma quanto soffrirà una persona così?C’è chi sente di avere il cuore legato, imprigionato dai fatti della vita. C’è chi sente che vorrebbe lasciarsi andare, amare, riprovare a innamorarsi, riprovare ad essere vivo o fare delle scelte. Se ascolti la mente e tutti i suoi fantasmi è la fine: “Alla tua età? Cosa dirà la gente? Ma non ti vergogni? E i tuoi figli, cosa penseranno di te? E se sbagli ancora? Ma se non ci sei mai riuscito?”. Il Risorto vuole che tocchiamo il suo cuore trafitto perché possiamo credere che anche il nostro cuore trafitto può guarire e da lui può sgorgare vita vera, intensa e luminosa. La seconda strada è l’amicizia, la donazione. Gesù mangia con gli apostoli. In vita aveva mangiato tante volte con loro e con tante altre persone. Enzo Bianchi ha intitolato un suo libro su Gesù: “Il Rabbì che amava i banchetti”. Gesù amava stare a tavola, non tanto per “riempirsi la pancia”, ma perché a tavola si creavano legami di amicizia, di confidenza, di intimità fra le persone. Adesso lo rifà come allora e gli apostoli lo ri-sentono vivo come allora.Possiamo sentire vivo e chiaro Il Risorto, percepirlo in maniera forte, quando noi tra amici, riusciamo ad aprirci e ad aprire il nostro cuore. Quando parliamo delle nostre cose più intime, quando riusciamo a raccontarci nelle nostre cose più profonde e siamo accolti. Allora ci sentiamo amati, sentiamo la forza della vita pulsare dentro di noi; allora iniziamo a non vergognarci più di quello che siamo; allora troviamo fiducia in noi e in ciò che siamo; allora ci sentiamo interiormente forti. Ma se ascolti la mente che inizia a dire: “Non gliene frega niente a nessuno!; chissà cosa penseranno di te; ma non ti vergogni a dire certe cose!; questa cosa non dirla: non vedi quanto è orribile; se gli altri sapessero; se sapranno questa cosa non ti considereranno più come prima, ecc”, allora è davvero la fine. Ma se noi riusciamo a costruire gruppi di persone dove ci si può spogliare, dove si può piangere, essere vulnerabili o semplicemente se stessi, dove si viene accolti non per quello che si nasconde e per quello che si mostra ma per quello che si è, allora noi sentiremo la forza del Risorto, la forza della Vita, la forza che le persone provavano in quei banchetti. In quei banchetti la gente cambiava vita: ma non per quello che mangiava, ma perché trovava la forza di essere se stessa e si sentiva accolta. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”: letteralmente è “dove due o tre cantano, sono in sintonia, io sono in mezzo a loro”. Quando noi ci possiamo liberamente aprire e lo stesso avviene dall’altra parte, allora sentiamo che le nostre anime si riconoscono, si uniscono, si incontrano. Allora possiamo percepire chiaramente che Dio è presente, qui, in mezzo a noi, con noi e fra di noi. Queste sono le comunità del Risorto, quelle che Lui vuole. La terza strada per incontrare il Risorto è la comprensione e la comprensione delle Scritture. Gesù spiega agli apostoli la sua vicenda, cos’è successo e cos’è accaduto. Noi abbiamo bisogno di comprendere la nostra storia, di comprendere il filo rosso che lega le nostre giornate, perché allora troviamo un significato, un senso, un collegamento. Trovare un senso al nostro vivere è fare esperienza del Signore Risorto: si scopre che nulla è per caso ma che tutto ha un senso ben preciso, che tutto avviene per un motivo e che ogni situazione ci parla e parla a noi. E quando si ha un senso per vivere qualunque situazione è affrontabile. Ma Gesù spiega agli apostoli anche le Scritture, la Legge, i Profeti e i Salmi. Noi abbiamo bisogno di capire il vangelo e la Bibbia. C’è molta ignoranza a riguardo. S. Girolamo diceva: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” e il cardinale Martini auspicava che il libro del terzo millennio fosse la Bibbia. Fino al concilio non si poteva neppure leggere!I miracoli di Gesù sono dovuti al suo potere soprannaturale perché se Lui voleva, poteva guariva tutti (e perché non l’ha fatto?); le apparizioni sono fisicamente degli incontri con il Signore. Dobbiamo costruire comunità fondate sul vangelo e non sulla creduloneria; dobbiamo costruire comunità dove la gente crede per adesione dell’anima e per ricerca personale; dobbiamo annunciare la storia di Gesù e dire che nei secoli è stata un po’ fraintesa e resa confusa. Non dobbiamo temere di scandalizzare qualcuno o che qualcuno ci dica: “Ma cosa ci avete insegnato finora?” (il che è anche vero!) perché dove c’è buio, ignoranza, ottusità, lì non si può costruire nulla. La verità vi farà liberi, anche se a volte vi farà male e vi mostrerà un mondo diverso da come lo pensavate. Tornare al vangelo e a Gesù è esperienza del Risorto. Perché il Gesù del vangelo ti infiamma l’anima, ti appassiona il profondo e ti riscalda il cuore. Perché il vangelo non è un libro da leggere ma una persona da incontrare e fa far entrare dentro di te.M.P.