PASSIONE E BATTERIA

...L'ESSERE IO CON BACCHETTE, PIATTI E TAMBURI..LA VITA VISTA CON OCCHI DI UN BATTERISTA CHE HA FATTO DELLA BATTERIA LA SUA ESISTENZA DI VITA...

 

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YAMAHA MAPLE CUSTOM 2007

Post n°41 pubblicato il 26 Ottobre 2007 da schio
 





 
untitled
 







Quando la Maple Custom apparve per la prima volta con i suoi blocchetti
dorati di piccole dimensioni e la finitura vintage color miele (una
finitura che richiede da quattro a sei mesi di invecchiamento) tutto il
mondo delle batterie rimase senza parole. Era semplicemente una delle
più belle batterie mai realizzate prima ed ha dato il via ad una nuova
era nelle batterie acustiche. Dopo il successo della Recording Custom è
la volta della Maple Custom.

L'acero offre un suono caldo, aperto e con
una notevole proiezione. La Maple Custom è costruita con 7 strati per i
tom-tom e 10 strati per le casse. Gli strati aggiuntivi nei fusti delle
casse offrono attacchi vigorosi e accentuano i toni bassi contrastando
e compensando la brillantezza del legno d'acero.

Le pareti
dei fusti sono perfettamente diritte, garantendo così una proiezione
del suono senza ostacoli. I fusti sono realizzati con i nostro Air Seal
System per cui gli strati di legno d'acero vengono collegati con
giunture diagonali disposte in modo sfalsato, quindi vengono uniti con
aria compressa distribuita in modo omogeneo. In questo modo i fusti
sono resitenti e durevoli. I fusti Maple Custom sono dotati di una
finitura esterna lucida e di una finitura interna opaca, ad eccezione
delle batterie Vintage che hanno invece una speciale finitura sia
all'interno che all'esterno.Un'altra caratteristica sorprendente
delle batterie Maple Custom è il design ridotto e la forma a cubo dei
blocchetti. Si tratta di blocchetti con meccanica di precisione fissati
con un unico bullone al nodo di oscillazione* del fusto in modo che il
fusto possa vibrare liberamente. Uno speciale inserto in nylon
impedisce che le viti di tensione si allentino durante le esecuzioni.Tutte
le batterie sono dotate del sistema Enhanced Sustain System Yamaha
(YESS) che riduce al minimo il contatto tra fusto e supporto, aumenta
la risonanza della batteria e migliora la dinamica e il sustain. Infine
i cerchi laminati Dyna-Hoop da 2.3 mm garantiscono un tocco chiaro, una
risposta pronta e la possibilità di eseguire rim-shot.


 
 
 

LA NASCITA DELLE BACCHETTE E DEI TAMBURI Un pò di Storia...(2a Parte)

Post n°39 pubblicato il 18 Ottobre 2007 da schio
 

La Storia delle Bacchette
Parenti distanti degli “attrezzi” costruiti in osso e in legno, usati nella preistoria come utensili domestici o armi, le bacchette iniziano ad essere usate nei villaggi primitivi. In quel periodo però avevano una funzione diversa da quella odierna, percuotendo i tam-tam ricavati dai tronchi svuotati internamente, seguiendo determinati codici, servivano per trasmettere messaggi da un villaggio ad un altro (...provate a pensare da dove deriva il codice Morse).
Alcuni studi dimostrano che in Africa, gli indigeni Katu usavano le bacchette per accentuare il ritmo dei rituali religiosi percuotendo la pelle delle percussioni. D’altra parte, gli indigeni Bantu usavano le mani per percuotere la pelle e bacchette per suonare il fusto dei tamburi. In Europa venivano usate per suonare le percussioni da parata militare, in questo tipo di “scuola” si svilupparono tecniche di esecuzione diffuse sino ad oggi. Il continente americano ha ereditato le bacchette sia dai suoi antenati africani, arrivati come schiavi durante la colonizzazione, sia dai colonizzatori europei. Mentre nel nord America l’uso degli strumenti africani fu vietato (visto che temevano la possibilità che gli schiavi comunicassero a distanza organizzando così ribellioni), nel centro-sud America questo tipo di repressione non esisteva e la musica africana si sviluppò ampiamente.
Con la creazione della batteria agli inizi del XX secolo, le bacchette divennero il fulcro di costanti studi e miglioramenti. Si ebbe così una maggiore diversificazione dei modelli stessi.
Negli anni a seguire fino ad oggi le misure delle bacchette hanno subito innumerevoli mutazioni, migliorie e cambiamenti cercando di garantire maggior velocità e precisione nei colpi. Per quanto riguarda la scelta del legno, sono state effettuate numerose ricerche per trovare quello più appropriato. Le ricerche si basarono soprattutto sul il peso, la densità ed il senso e l’omogeneità delle fibre.
Il legno che rispose maggiormente a questi requisiti fu l’hickory americano.
Ovviamente non conta solo la qualità delle materie prime. Un ruolo importante è attribuito infatti ai macchinari necessari alla fabbricazione che devono essere costantemente modernizzati in modo da garantire uniformità e perfezione di ogni singolo paio di bacchette prodotte.

Storia dei Tamburi
Tamburo: è il termine generico di una grande varietà di strumenti musicali che consistono in una pelle tesa su un vaso o su una struttura internamente vuota, e produce suono quando percossa. Il suono è prodotto dalla vibrazione della membrana (pelle), classificandosi così come membrafono, insieme ad una vasta categoria di strumenti a percussione.
- Le prime scoperte
I primi tamburi sono stati scoperti negli scavi archeologici del periodo Neolitico. Un tamburo scoperto in uno scavo archeologico in Moravia, risale a circa 6000 anni prima di Cristo. Altri tamburi sono stai scoperti nell’antica Sumeria datati circa 3000 anni prima di Cristo.In Mesopotamia sono stati trovato piccoli tamburi (che venivano suonati sia in posizione verticale che orizzontale) datati 3000 anni prima di Cristo. Tamburi con pelli tese sono stati scoperti nelle opere artistiche Egizie datati circa 4000 anni prima di Cristo.
- Caratteristiche dei primi tamburi
I primi tamburi consistevano probabilmente in un pezzo di tronco d’albero con l’interno scavato. Questi tronchi avevano i bordi ricoperti in pelle di rettili o anfibi e venivano percossi con le mani. Successivamente, si iniziò ad usare pelli più resistenti e apparvero i primi “modelli” di bacchette. Il tamburo con due pelli compare successivamente così come la varietà di misure.
Sono stati usati molti metodi per fissare le pelli, nei tamburi ad una sola pelle vennero usati chiodi, colla ed altri materiali. Nei tamburi a due pelli vennero invece usate corde passanti per fori fatti direttamente nelle pelli, tendendo così le pelli stesse. I tamburi europei più moderni montavano le pelli tra due cerchi in modo da pressare la pelle e renderla tesa.
- Rullante
Il primo modello di tamburo comprendente una “cordiera” costruita in pelle e montata sulla pelle inferiore è stato adattato probabilmente dagli arabi. Questi tipo di tamburo era generalmente usato come strumento folcloristico e solo intorno al secolo XIV venne utilizzato per scopi militari. I tamburi in generale hanno avuto da sempre una funzione extra-musicale, come trasmettere messaggi a distanza e principalmente durante le funzioni religiose. Ai tamburi sono stati conferiti poteri soprannaturali ed erano custoditi come oggetti sacri.

 
 
 

DALLE ORIGINI AL DRUMSET MODERNO Un pò di Storia...

Post n°38 pubblicato il 18 Ottobre 2007 da schio
 

Dalle Origini al Drumset Moderno
Il drumset moderno si è evoluto durante la prima parte del ventesimo secolo, attraverso il contributo sia dei musicisti sia dei creatori/costruttori dello strumento.
Intorno al 1890, i batteristi a New Orleans (ed altrove) adattarono, in un primo momento, i fusti tradizionali della marcia militare, in modo tale da disporre la grancassa e il rullante così che entrambi potessero essere suonati da un unico musicista. Allo stesso tempo, i musicisti di New Orleans stavano sviluppando uno stile del “suonare”, basato sull’improvvisazione collettiva, successivamente conosciuto come jazz.
Nel 1909 il batterista creatore/costruttore William F. Ludwig creò uno dei primi pedali per grancassa. Anche se altri meccanismi, controllati dal piede o a mano, erano stati creati precedentemente, il pedale Ludwig ha permesso che la grancassa fosse suonata più rapidamente e facilmente con il piede, liberando così le mani del batterista per concentrarsi sul rullante e su altri strumenti.
Intorno al 1920, un batterista di New Orleans (Baby Dodds o Zutty Singleton) suonava su un drumset composto da grancassa (probabilmente con un piatto annesso), rullante, tom-tom cinese (con le pelli  “inchiodate” ai fusti), woodblock, cowbells e piccoli piatti cinesi. Simili drumsets (spesso con l'aggiunta delle sirene, dei fischietti, dei richiami per uccelli, ecc.) sono stati utilizzati dai batteristi che suonavano per il circo ed altre prestazioni teatrali.
Nella prima parte degli anni 20, "lo snowshoe" o il “pedale Charleston” fece una delle sue prime apparizioni nel drumset. Questa invenzione consisteva in una coppia di piastre foot sized (della forma del piede) provviste di cardini con piccoli piatti fissati ad essi. Intorno al 1925 i batteristi cominciarono ad usare il "low boy" o "il sock cymbal", un accoppiamento di piccoli piatti montato su un’asta bassa dotata di molla azionata dal piede.
Intorno al 1927 comparvero i primi "high boys" o, "high hat", che permisero al batterista di suonare i piatti con il piede o le mani, oppure combinandoli entrambi.
Entro il 1930, il drumset era composto generalmente da una grancassa, rullante, uno o più tom-toms, i piatti "turchi" di Zildjian (più grandi e più sonori dei piatti cinesi), il cowbell ed il woodblock. Naturalmente ogni batterista poteva personalizzare il drumset a suo piacimento. Sonny Greer, per esempio, suonava un drumset personalizzato con l’aggiunta di timpani, il vibrafono, i chimes ed i gong.
Tra il 1930 e il 1940, i costruttori sviluppano strumenti innovativi e raffinati per fare fronte alle richieste dei batteristi popolari quali Jo Jones e Gene Krupa, producendo tom-toms più grandi, il “floor tom” (tom a terra), aste e meccaniche per piatti e rullanti più robusti ed i pedali per grancassa più veloci.
A metà degli anni ‘40, l'avvento del bebop ha reso necessari cambiamenti nel drumming se non nel drumset in sé. I pionieri di questo drumming più fluido e melodico sono Dizzy Gillespie e Charlie Parker, mentre quasi contemporaneamente Kenny Clarke, Max Roach e Art Blakey sviluppano una concezione ritmica più melodica e indipendente (intesa come indipendenza ritmica). La grancassa era leggermente più piccola, i piatti più grandi, ma il drumset dell'era Swing è rimasto essenzialmente immutato.
Il drumset ha cominciato a crescere ancora nell'inizio degli anni ‘50 con l'aggiunta di una seconda grancassa da Louie Bellson ed altri.
Verso la fine degli anni 50, "Chick" Evans e Remo Belli, sviluppano un nuovo tipo di pelli in materiale “plastico” liberando così i batteristi dai capricci delle pelli di vitello molto sensibili alle variazioni di temperatura e umidità.
Per sostenere (o competere) il suono amplificato delle chitarre degli anni 60, i batteristi Rock si sono mossi ancora una volta verso tamburi più grandi, profondi e pesanti.
La tendenza verso drumsets più grandi sfocia negli anni ‘70 mentre i batteristi continuavano ad aggiungere toms e piatti in misura esagerata al “limite” delle possibilità umane!!

 
 
 

Pearl Reference Series

Post n°37 pubblicato il 17 Ottobre 2007 da schio
 

Verso la metà degli anni '90, la nota casa produttrice di batterie, percussioni ed affini, la Pearl, lanciò una serie di batterie che in breve si mise ai vertici del mercato, ovvero la serie Masters, serie che comprendeva diversi modelli, costruiti con diversi legni e con diverse strutture dei fusti, con una qualità costruttiva elevatissima che in breve si guadagnò il plauso del pubblico. Fu a partire dalle Masters, che nel 1999 furono successivamente create le Masterworks, serie di batterie totalmente custom, dai legni alle finiture, dalle misure alle meccaniche. L’utente tramite questo modello poteva così tranquillamente inventare e creare un suo set, personalizzato fino in fondo, dai legni alle meccaniche... Quindi assolutamente unico.

Verso la metà degli anni '90, la nota casa produttrice di batterie, percussioni ed affini, la Pearl, lanciò una serie di batterie che in breve si mise ai vertici del mercato, ovvero la serie Masters, serie che comprendeva diversi modelli, costruiti con diversi legni e con diverse strutture dei fusti, con una qualità costruttiva elevatissima che in breve si guadagnò il plauso del pubblico. Fu a partire dalle Masters, che nel 1999 furono successivamente create le Masterworks, serie di batterie totalmente custom, dai legni alle finiture, dalle misure alle meccaniche. L’utente tramite questo modello poteva così tranquillamente inventare e creare un suo set, personalizzato fino in fondo, dai legni alle meccaniche... Quindi assolutamente unico. 

Tuttavia la casa produttrice prese a cuore due fattori problematici:
1. Quanta utenza può permettersi una batteria dal tanto elevato costo se non endorsers e pochi privilegiati con un alto reddito?
2. Quanti utenti hanno la competenza necessaria per progettare mescole di legni da applicare alla batteria, al fine di garantire un buon suono?

La Pearl così iniziò lo sviluppo di una batteria che fosse basata sulla serie Masterworks ma che avesse dei fusti appositamente studiati per ottenere il massimo da ogni singolo tamburo, che condividesse le meccaniche della serie madre e la qualità costruttiva superba che la caratterizza: la Reference Series.
La nuova serie doveva partire da un principio fondamentale, ovvero quello secondo il quale una batteria costruita in un solo legno è un semplice compromesso. Occorreva quindi individuare diversi legni dalle diverse caratteristiche sonore e abbinarli secondo l’esigenza. I legni furono individuati nell’acero, la betulla ed il mogano africano.

Dopo diversi studi si sono combinati i legni con uno schema abbastanza semplice:
Acero/Betulla: per rullanti e toms da 8” e 10”. Questa combinazione da grande enfasi all’attacco ed al volume dei piccoli fusti.
Acero: solo il tom da 12” è costruito con un singolo legno, poiché l’acero in questo caso fornisce la risposta e l’equalizzazione necessaria per questo fusto.
Acero/Mogano Africano: dal tom da 13” in poi, troviamo questo miscuglio di legni, volto ad enfatizzare le basse frequenze dei grandi tamburi.

Aggiungiamo inoltre uno studio approfondito persino sul bordo del fusto, per sfruttare la diversa conformazione (45° tagliato diritto - 45° smussato e arrotondato – arrotondato completo) al fine di enfatizzare e controllare meglio certe frequenze su determinate misure di tamburo.

Ora guardiamo la batteria come si presenta ai nostri occhi.
La fattura è ineccepibile sin dalla prima occhiata, e allo sguardo si mostrano subito le finiture delicate ed in certi casi sgargianti, troviamo sia colorazioni molto vintage (granite/copperfire sparkle), altre che si incentrano su colorazioni normali con qualche sfumatura (root beer fade/twilight fade/scarlet fade) ed abbinamenti di colori che puntano verso il “tamarro” (purple craze/crystal rain sparkle). In ogni caso, sono curate alla perfezione e degne di lode.

Ricordiamo inoltre che questa serie di batterie utilizza esclusivamente finiture dipinte e poi verniciate, non ci sono coperture adesive. Questo conferisce gran valore allo strumento dal punto di vista estetico e della qualità della lavorazione.

La seconda cosa che inevitabilmente ci cattura sono le meccaniche. Troviamo i nuovi Optimount, ridisegnati per l’occasione, dal look delicato, e totalmente cromate. L’impatto visivo è ottimo.

Inoltre verremo sicuramente incuriositi anche dai nuovi tiranti BRL-55, che oltre al look gradevole hanno una funzione di “accomodamento” dell’accordatura, inclinando il tirante a seconda della tensione che gli viene imposta, evitando così qualsiasi tensione tra fusto e tirante. Ispirati dallo stesso principio, anche sulla cassa troviamo il medesimo sistema, con i tiranti BRL-300.

Rivisti in linea con l’hardware anche i blocchetti per le gambe dei floor tom, con un raffinato intarsio del logo Pearl.

Come nelle normali Masters, sono d’obbligo i cerchi Mastercast Die-Cast, che oltre a dare un look più aggressivo, contribuiscono alla buona tenuta dell’accordatura.

È simpaticamente in evidenza anche il vedere colori diversi negli interni di un fusto rispetto all’altro!
Provate a montarci delle pelli battenti trasparenti e vedrete!!

Analizziamone ora le capacità sonore.
I toms sono veramente capaci, il volume è ottimo e la timbrica altrettanto.

Sembra che il principio sopra ampiamente descritto sia stato sfruttato appieno, giacché non solo si ottiene un volume sbalorditivo da fusti di piccola e media taglia, ma il controllo delle dinamiche ed il sustain dei fusti sono stupefacenti.

Nonostante le dimensioni ridotte, un tom da 8” si fa sentire...eccome! Se siete appassionati dei toms che cantano all’infinito o quasi, beh certamente non vi deluderà... Una buona accordatura vi permetterà di dare loro un decay secondo l’esigenza ed il vostro personale gusto.

Passiamo ora ai timpani. La prima volta che ho messo mano, o meglio bacchetta sul timpano da 16”, sono rimasto molto colpito. Ottimo attacco, bassi sorprendenti senza però esagerare nei volumi e nel sustain, ed il decay è graduale e senza sbalzi eccessivi. Evidentemente lo studio dei legni si è fatto valere, tendo a precisare che effettivamente nonostante le diverse mescole di legni la timbrica è perfetta su tutti gli elementi del drumset, dal minuscolo 8” al maestoso 18”.

Cosa che nei toms e nei timpani si può notare appena si comincia a batterci un po’ è la delicatezza e la sensibilità nell’accordatura. Basta 1/8 di giro di chiavetta e le differenze si sentono. Possiede un ''range'' di accordature veramente enorme.

La cassa è una vera perla. La risposta al battente è fenomenale, il suono è caldo, corposo e ricco.
Tra le altre cose è di una carica di volume assolutamente fenomenale.

Vera perla è il rullante Reference. Una vera belva in cui troviamo 20, no dico, 20 strati di legno!! 14 strati di acero più 6 di betulla, mescolati secondo un criterio di 2:1 e così via. Sensibile, livello sonoro spaventoso, preciso.
Personalmente ritengo che questo rullante sia tra i migliori attualmente in commercio.

Tra l’altro monta le nuove cordiere ultrasound della Pearl in bronzo, che danno una sensibilità veramente pazzesca sulle ghost notes e sulle dinamiche più leggere.
Troviamo anche il nuovo meccanismo tendicordiera “Glide Lock”, sistema che permette di sbloccare la cordiera solo premendo un bottone situato nella levetta che tende e rilascia la cordiera. E’ tecnicamente impossibile quindi che durante le nostre performances, la cordiera si sblocchi, una bella e utile innovazione.

Inoltre la tensione della cordiera viene regolata tramite un blocchetto che deve essere spinto verso il basso per poter effettuare la regolazione. Questo appena lasciato andare torna su bloccandosi, in modo che la tensione resta costante nel tempo.

I rullanti sono disponibili in 3 versioni, dalla 13”x 6.5”, alla 14”x 5” fino alla famigerata 14”x 6.5” che a mio avviso è una vera bomba, in quanto solo questa altezza sfrutta appieno la camera del fusto, già ristretta a causa dello spessore del fusto stesso. Ovviamente anche il rullante monta di serie i cerchi die cast ma credetemi, il tiro cerchio/pelle andrà molto ben dosato, sempre se avete pietà dei musicisti con voi sul palco.

Tirando delle conclusioni possiamo tranquillamente annoverare questa batteria tra le migliori batterie prodotte in serie attualmente in commercio, curata fino ai minimi dettagli, con una precisione assoluta nel suono. La Pearl ha sicuramente fatto centro con questo progetto, l’unica pecca, sempre se si può chiamare tale, è il fatto che non ne saranno più costruiti drumkits già preassemblati, ma verrà realizzata SOLO su ordinazione. Questo implicherà un’attesa che andrà dai 6 ai 9 mesi anche per un semplice tom da 8”.

Tuttavia questo è sinonimo anche di qualità e della quantità di lavoro che la circonda, virtù che la Reference Series esibisce in tutto il suo splendore.

Per ulteriori informazioni: http://www.pearldrum.com/

 

 
 
 

TAMA SUPERSTAR

Post n°36 pubblicato il 16 Ottobre 2007 da schio
 

Da sempre, il mercato delle batterie semi professionali richiama l’attenzione dell’utenza quasi più che quello delle batterie di prima scelta. Non è un’esagerazione, infatti, affermare che sia questo il terreno in cui avvengono gli scontri di mercato più accaniti, volti a trovare il prodotto migliore e più ricco d’accessori al miglior prezzo. La Tama è sicuramente una delle aziende leader del settore, come dimostrano le migliaia di batterie semi professionali e da principianti che ha venduto negli anni passati. La filosofia vincente che unisce ad un prodotto dal buon valore di mercato, una manifattura ottima, sfornando i cosiddetti set “da battaglia”, batterie che in primis devono vantare una resistenza meccanica alla fatica ...decisamente di serie A.
Ma di questi tempi la sfida si gioca anche su altri terreni... la clientela semi-professionista vuole anche finiture, legni adeguati, insomma, prestazioni di buon livello.

Nei tardi anni '80 e nei più recenti anni '90, Tama si è imposta nel mercato con la serie basilare SWINGSTAR e la serie intermedia ROCKSTAR. Batterie che vantano una costruzione eccellente, una durabilità al di sopra della media ed una cura dei dettagli molto buona. Tuttavia, la differenza tra le 2, soprattutto negli ultimi anni andava assottigliandosi... Se da un lato la Swingstar andava bene, basilare così com’è, la rockstar faceva sempre più sentire il bisogno di un qualcosa che la differenziasse in maniera più accentuata dalla sua controparte più povera, e questo qualcosa doveva far “sentire l’odore” di professionalità, a ragion del maggiore costo. Arriviamo quindi ai giorni nostri.

Il 2006 è cominciato all’insegna delle novità per quanto riguarda l’azienda in questione. Arrivano le nuove STARCLASSIC BUBINGA e STARCLASSIC PERFORMER B\B. Se da una parte la Starclassic bubinga si rifà molto alla Starclassic Maple, cambiandone solo il legno, la Performer è stata decisamente rivoluzionata. Aggiungendo la bubinga alla betulla, è nata una batteria completamente nuova, sia nelle sonorità che nell’estetica... Sparisce quindi la batteria in betulla nel listino Tama? Assolutamente No.
E’ la Rockstar ad ereditare molte delle caratteristiche che avevano fatto grande la Starclassic Performer: cerchi die cast, fusti in betulla, Star Cast Mounting System... è nata la nuova SUPERSTAR!

La superstar non è una rockstar. Tenetelo ben presente quando vi capiterà di salire in sella! Il suono è ben distante dal mogano filippino della rockstar, pieno ed equalizzato. La timbrica è davvero ben dosata nelle medie ed alte frequenze ma i toms e la cassa fanno comunque sentire una sfilza di bassi notevole. Scendiamo nei dettagli.

Sono disponibili tre modelli della batteria in questione:

Cominciamo ad analizzare anche i pregi meccanici di questo strumento: le lugs sono ricavate dalla vecchia rockstar quasi in tutto, un semplice particolare però le differenzia. Le lugs della rockstar erano appoggiate sul fusto in tutta la loro lunghezza, separate dal legno da una sottile gomma trasparente. Al fine di garantire maggior libertà, e quindi miglior risonanza, queste sono diventate le cosiddette bridge lugs, ovvero a ponte, in quanto esse poggiano sul fusto solo agli estremi, vicino ai tiranti dei vari fusti, e si estendono per la lunghezza completamente isolate.

I cerchi die cast che ormai spopolano nelle Starclassic ed in molte altre batterie professionali, oltre a dare quel tocco di aggressività estetica, sono utili al fine del mantenimento dell’accordatura, e danno un leggero arrotondamento del suono da armonici incontrollati. Da apprezzare anche il fatto che il rullante superstar ne trae notevole giovamento, i rimshots escono molto potenti grazie ai suddetti cerchi.

Lo starcast mounting system grazie ai sopracitati cerchi die cast ora rispecchia in tutto e per tutto quello delle Starclassic, andando ad avvitarsi sul cerchio stesso, mentre nelle Rockstar che montavano cerchi a tripla flangia, esso era “appeso” al cerchio, con una leggera instabilità. Il sistema della superstar è invece fermo, marmoreo, solido al 100%.

E’ stato anche ampliato il campo di scelta delle misure, sono ora disponibili le casse da 24” e da 20”, e diverse misure e profondità per toms e timpani.

La superstar viene quasi sempre corredata di hardware tama Roadpro, il top della casa giapponese, qualitativamente ottimo e meccanicamente funzionale, una scelta non di poco conto. Tama ha sempre fatto della robustezza e della durabilità i suoi cavalli di battaglia.

La Superstar monta di serie le pelli Tama Powercraft, anche se ritengo che queste siano pelli da cambiare al più presto, in quanto non esprimono il suono che questo buon strumento può dare... Restano in ogni caso una scelta azzeccata, in quanto sono delle pelli extra durabili, ottime all’inizio per batteristi dalla mano pesante o comunque per chi sulla batteria ci passa ore ed ore. Difficilmente riuscirete a romperne una, e quindi mentre raffinate la vostra “arte” sono una scelta più che consona ed economica.

Tirando le somme, a batteria provata ed osservata sotto ogni punto di vista, mi sento di poter dire in tutta sicurezza che la Superstar è il miglior set semiprofessionale in circolazione. La qualità costruttiva, la cura del dettaglio, la dotazione d’accessori e la resa sonora di questo strumento sono di primissimo ordine. Se consideriamo anche il prezzo, che si assesta nettamente sotto i 1000 euro, beh... la Superstar arriva veramente a far gola al batterista che vuole fare un “salto di qualità” notevole senza sborsare una cifra di grosso calibro. Ma anche al professionista in cerca di una batteria dignitosa da portare qua e là senza troppi pensieri.
Una batteria che certamente farà la fortuna della casa giapponese negli anni a venire, questo è certo.

Per ulteriori informazioni: www.tama.com

 

 
 
 

NOMINATION

Post n°35 pubblicato il 14 Ottobre 2007 da schio
 
Tag: AVVISO

salve a tutti :sono stato nominato dalla mia amica sandra709395 perf un gioco molto interessante

dite 5 date piu importanti della vostra vita e il gioco è fatto

08-02-1969 la mia nascita

11-07-1977 conosciuto il mitico tullio de piscopo

18-11-1997 primo ai campionati europei di batteria

08-09-1998 ho conosciuto la mia ragazza sonia

21-05-2007 la bellissima amicizia con la splendida rosa e giulio,proprietaria del blog insieme a me tic re chat

          

ciao grazie a tutti in particolare a sandra709395.

  cercate nei vostri profili 5 persone per far partecipare al gioco ciao a tutti grazie della cortese attenzione.             

 
 
 

TIC E CHAT:IL NUOVO BLOG BASATO SULL'AMICIZIA IN CHAT.

Post n°32 pubblicato il 13 Ottobre 2007 da schio
 
Tag: avvisi

http://blog.libero.it/ticechat/

INTERVENITE NUMEROSI IN QUESTO MERAVIGLIOSO BLOG CREATO DA DUE VERI AMICI.

 
 
 

RACCONTETE LE VOSTRE ESPERIENZE DI VITA LIVE CON LA BATTERIA

Post n°31 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da schio
 

....salve a tutti raccontatemi le vostre esperienze di vita con questo strumento,raccontate le vostre serate live,insomma dite la vostra raccontatemi del vostro drum set che marca è ecc..... 

 
 
 

Dream Theater | Systematic Chaos

Post n°30 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da schio
 

E rieccoci! Dopo due anni tornano i Signori del Prog, questa volta ci rifilano un titolo adatto alla nuova Etichetta: “Systematic Chaos”.
Dopo il criticatissimo "Train of Thought” e l’altalenante "Octavarium” tutti noi ci aspettavamo un disco in vecchio stile ed invece l’album si rivela ancora un disco vario, con canzoni commerciali, canzoni prog, ecc…
Ma analizziamo il Cd: SYSTEMATIC CHAOS (voto: 82)


01 - IN THE PRESENCE OF ENEMIES (voto: 90)
L’inizio è davvero promettente, 5 minuti strumentali che ci anticipano sopratutto un Petrucci in netta ripresa! Buone le melodie, anche LaBrie qui colpisce in positivo. Finale molto bello chiude la prima parte della Suite.

02 - FORSAKEN (voto: 82)
Canzone piuttosto semplice e commerciale, ricorda un po’ gli Evanescence. Tuttavia è comunque un buon pezzo, molto piacevole e ben suonato. Qui finalmente Petrucci ci regala un grande assolo, breve ma intenso.

03 - CONSTANT MOTION (voto: 74)
Primo singolo. Molto difficile da giudicare... la mia prima impressione non è stata certo positiva. Adesso la ascolto volentieri ma rimane un brano poco adatto ai Dream e soprattutto a James… Nella prima parte si sente un Portnoy davvero inspirato... è praticamente lui a cantarla... bello il duello con James. Anche questa volta hanno voluto troppo fare i cattivi e riprendere lo stile Metallica. Carina, ma preferirei che mettessero da parte questo tipo di song nei prossimi album.

04 - THE DARK ETERNAL NIGHT (voto: 71)
Pezzo davvero strano! Vale più o meno lo stesso discorso di Constant Motion, questi riffs alla Pantera cominciano a diventare un pò troppo banali... Il cantato nella strofa è decisamente insolito e insignificante, per fortuna il ritornello si salva un pò. Parte centrale con qualche spunto interessante, ma nulla di eclatante.

05 - REPENTANCE (voto: 80)
Mi aspettavo fosse una seconda Metropolis ed invece qui si fanno sentire le influenza dei vari Opeth, Porcupine Tree, ecc... L’inizio che riprende l’arpeggio ci ricorda che è la continuazione della saga di Mike. Bella la parte cantata, qui James mi piace davvero! Anche le tastiere iniziali sono apprezzabili... si prosegue con un bel assolo di John. Poi 5 minuti di parti vocali e cori che sicuramente risultano troppo lunghi e noiosi. Un pezzo che lascia l’amaro in bocca...

06 - PROPHETS OF WAR (voto: 82)
L’inizio in stile Muse mi aveva sconcertato un tantino. In seguito la canzone si rivela abbastanza riuscita, il riff è abbastanza accettabile, poi la strofa strana (quasi "disco") ci porta al ritornello che è davvero il punto di forza di questa canzone. Mi piace anche molto la parte rappata seguita dal ritornello dove rimane solo chitarra e voce. Non sarà un brano originale o in stile Dream, ma almeno si fa cantare.

07 - THE MINISTRY OF LOST SOULS (voto: 88)
Introduzione molto bella ed intensa. La strofa ricorda un pò le atmosfere di Octavarium, molto belle anche le linee vocali con un James impegnato e espressivo. Il ritornello è abbastanza buono e melodico. La parte strumentale è un pò fuori luogo, comunque in pieno stile Dream. Finale commovente.

08 - IN THE PRESENCE OF ENEMIES (voto: 90)
Qui l’atmosfera è dark. Un piano quasi da film horror porta al bellissimo ritornello: "Angels fall...". La parte strumentale è affidata al duo Petrucci/Rudess. Anche qui finale molto bello che chiude i 25 minuti complessivi della Suite.

In conclusione posso affermare che i DT fino a Six Degrees hanno dato il massimo mentre negli ultimi 3 album sono calati un pò. Ammetto che un po’ sono rimasto deluso da questa nuova uscita, forse perché mi aspettavo un album in stile I&W o un concept del calibro di SFAM... vabbè, pazienza ci accontentiamo dell’ennesimo ottimo album dei 5 Americani, sperando che in futuro riescano a tirare fuori un album da accostare ai vecchi capolavori...

 
 
 

King Crimson | In The Court Of The Crimson KingIsland (1969)

Post n°29 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da schio
 

Che dire lo Schizoid Man urla ancora ed è arrivato alla veneranda età di quasi quarantanni annoverandosi fra i classici della musica di tutti i tempi, fra Sgt.Peppers e Androidi Paranoici senza peraltro soffrire degli anni passati, anzi il suo urlo è tutt'ora vivo e incute timore... Un disco di importanza seminale per il progressive in quanto primo esempio di vera sperimentazione originale, mettendo da parte inutili pretenziosità classiche di Procol Harum e compagni; e per la musica tutta esempio di invidiabile originalità, a partire dall' inquietante copertina diventata simbolo del genere e canto del cigno non solo del gruppo ma anche dell'artista che l'ha composta (morto di infarto a 26 anni).
Formazione d'elitè con l'onnipresente Robert Fripp (chitarra e mellotron), Greg Lake (basso e voce) prima degli Emerson, Lake & Palmer, Ian McDonald (fiatista polistrumentista), Michael Giles (batteria, percussioni e voce), e Peter Sinfield autore dei testi e direttore artistico.
Appena piazzata la puntina o inserito il CD si viene da subito immersi in una delle più famose composizioni del gruppo "21st Century schizoid man", con voce filtrata di Lake, distorsioni all'epoca addirittura sovversive e una batteria da far paura, il tutto al limite fra improvvisazione tipicamente jazzistica e rigide strutture, Giles fa un ottimo lavoro di contrappunto alla chitarra di Fripp e al sax di McDonald insieme alla ritmica pulsante del basso di Lake risultando di una fluididà invidiabile e mai invasiva. Il caos che pone fine a uno dei capisaldi del rock, che porta a "I talk to the wind" una ballata romantica sull'alienazione dell'uomo sostenuta da flauto e voce in un ostinata tranquillità che presagisce l'arrivo della drammatica "Epitaph" che si apre con rullo su timpano di Giles e mellotron a enfatizzare l'angoscia della composizione; gli 8min e mezzo scorrono veloci e lasciano la piazza a "Moonchild" a mio parere il pezzo più sottovalutato del disco che contiene nel mezzo perle di pura maestria di Giles e Fripp ad una dinamica bassissima e quasi inudibile, un brano tenerissimo e di perfetta introduzione alla title track, la maestosa "In The Court Of The Crimson King" con eccessi di mellotron e sonorità antiche quasi barocche, come se veramente ci fosse una corte in onore del Re Cremisi, quando il pezzo sembra finito si cela la parte forse più divertente del brano e del disco "The Dance Of The Puppets", letteralmente la danza dei pupazzi, intermezzo scherzoso per mellotron e flauto, in cui prendono posto anche batteria e basso, che portano al trionfante finale. Michael Giles impeccabile in ogni pezzo raggiunge punte di lirismo innarrivate tutt'oggi anche dalla formazione successiva dei Crimson con il grande Bill Bruford dietro i tamburi, ma questa e tutt'altra storia.

 
 
 

Jojo Mayer solo 1

Post n°28 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da schio
 
Tag: VIDEO

 
 
 

Jojo Mayer solo 2

Post n°27 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da schio
 
Tag: VIDEO

 
 
 

LA MIA BATTERIA

Post n°25 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da schio
 

 
 
 

LA MIA BATTERIA YAMAHA 10000 MAPLE CUSTOM ABSOLUTE

Post n°24 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da schio
 

 
 
 

intervista a franz di cioccio

Post n°23 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da schio

Intervista a Franz Di Cioccio
a cura di Mario Riggio

BIOGRAFIA
Franz, milanese di origine abruzzese, è il più importante batterista rock italiano ed il più conosciuto all’estero, tanto conosciuto da essere chiamato a sostituire John Bonham nei Led Zeppelin.
Inizia a suonare come turnista nelle sale milanesi, registra con Battisti, Equipe 84, De André, Mina, i Camaleonti, Claudio Villa.
Nel 1970 forma la Premiata Forneria Marconi, gruppo storico del rock italiano con cui raggiunge il successo internazionale nella prima metà degli anni ‘70. Negli anni ‘80 diventa il cantante del gruppo lasciando spazio a Walter Calloni.
Ha al suo attivo un album da solista e diverse colonne sonore televisive e cinematografiche. La sua più grande caratteristica è la fantasia, mezzo attraverso cui riesce ad aver successo nelle più disparate attività, suona, canta, compone per cinema, tv e pubblicità, presenta programmi televisivi, fa l’attore e lo scrittore.

DISCOGRAFIA DA BATTERISTA
LUCIO BATTISTI, 1969
LUCIO BATTISTI * EMOZIONI, 1970
LUCIO BATTISTI * VOLUME IV, 1971
LUCIO BATTISTI * AMORE E NON AMORE, 1971
LUCIO BATTISTI * IL MIO CANTO LIBERO, 1972
LUCIO BATTISTI * ANIMA LATINA, 1974
FABRIZIO DE ANDRE' * LA BUONA NOVELLA, 1970
FABRIZIO DE ANDRE' * IN CONCERTO, 1979
FABRIZIO DE ANDRE' * IN CONCERTO VOL II, 1980
FRANZ DI CIOCCIO & FRANCO MUSSIDA * ATTILA, 1983
FRANZ DI CIOCCIO * LUPUS IN FABULA, 1992
ALBERTO FORTIS * LA SEDIA DI LILLA', 1979
GENOVA CANTA DE ANDRE’ * AIA DA RESPIA, 1999
MAURO PAGANI, 1978
GIGI PANCIERI * A 100 METRI DA CASA, 1983
RON * UNA CITTA' PER CANTARE, 1980
PFM * STORIA DI UN MINUTO, 1971
PFM * PER UN AMICO, 1972
PFM * PHOTOS OF GHOSTS, 1972
PFM * THE WORD BECAME THE WORD, 1974
PFM * L'ISOLA DI NIENTE, 1974
PFM * LIVE IN USA, 1974
PFM * CHOCOLATE KINGS, 1975
PFM * JET LAG, 1977
PFM * PASSPARTU', 1978
PFM * SUONARE SUONARE, 1980
PFM * COME TI VA IN RIVA ALLA CITTA', 1981
PFM * PERFORMANCE, 1982
PFM * 10 ANNI LIVE 71/81
PFM * ULISSE, 1997
PFM * WWW.PFMPFM.IT, 1998
PFM * SERENDIPITY, 2000
PFM * LIVE IN JAPAN, 2002

LA TECNICA
di Mario A. Riggio
Franz Di Cioccio è un batterista fantasioso e creativo, capace di interpretare con personalità molti generi musicali, dal rock al jazz, al reggae, alla classica canzone italiana. Segni distintivi sono la musicalità dell'accompagnamento, il grande uso dei tom e di percussività africane, l'utilizzo molto curato del charleston.
Per uno studio esemplificativo abbiamo scelto tre brani in contesti diversi: "Chi ha paura della notte?", dall'album della Pfm "Come ti va in riva alla città" del 1981, "La canzone di Marinella" dallo storico album "Fabrizio De Andrè in concerto" del 1979 e "Tutti cuori viaggianti" dal disco di Ron, "Una città per cantare" del 1980.

"Chi ha paura della notte?" fa parte dell'album più "urbano" della Pfm, dove la batteria si fa secca, scattante, per interpretare la durezza e la frenesia del ritmo di vita cittadino. L'introduzione, di 16 battute, è decisamente di ispirazione afro, e rappresenta la città-giungla. Franz, porta avanti un tempo in 12/8 con la cassa fissa in quarti (puntati), creando un tappeto ritmico con il timpano ed accentando con il tom alto sul quarto e sul secondo movimento di ogni misura. Il blocco delle prime quattro battute riportato sullo spartito si ripete con qualche piccola variazione per quattro volte. La parte del timpano, tenuta con la destra, può essere doppiata sul tom basso con la sinistra. Da notare che nella versione dal vivo, suonata contemporaneamente a Walter Calloni nel disco "Performance", l'introduzione è differente ed è arricchita con flam sui tom.

Stesso il tempo, 12/8, ma diverso è il contesto de "La canzone di Marinella", dall'arrangiamento ricchissimo e curato nei minimi particolari. La struttura, di cui riportiamo i patterns principali è di tipo ABCABC, e vede un'avvio dolce con charleston e tamburello (pattern A), lungo otto battute, di cui l'ultima è in 6/8 per dare spazio a un lancio che introduce la parte B. I patterns B, ricchi e di difficile esecuzione, seguono molto la musicalità del pezzo, sono fitti nella prima parte della battuta per poi svuotarsi nella seconda, in modo da dar respiro all'andamento melodico. Le sei battute della parte B mantengono immutato il disegno di cassa, rullante e ride, variando il charleston, suonato in apertura con la sinistra mentre la destra tiene il tempo sul ride. Anche qui l'ultima battuta è in 6/8 e precede il lancio. La strofa C è simile alla A con aggiunta di cassa e bordo rullante, il tempo è di nuovo tenuto sul charleston. Il rullante, per seguire il cantato, non suona nella quarta battuta lasciando spazio ad una sottolineatura anticipata con cassa.

Ultimo pezzo, "Tutti cuori viaggianti", è tratto da un turno fatto da alcuni musicisti della Premiata per lanciare il primo album di Ron. Lo studio dei patterns è interessante per l'uso del charleston, molto curato nell'apertura, in modo da dare alla canzone un effetto di lento ondeggiamento. L'introduzione, è di quattro battute, così come la prima strofa, ogni battuta inizia con il crash. Nella seconda strofa il pezzo prende corpo con cassa e rullante e varia il disegno del charleston. Il crash ritorna all'inizio della prima e della terza battuta. Nell'inciso, di 16 misure, raddoppia il tempo e la cassa segue sempre il basso tenendo il tempo in quarti sulla campana del ride; l'ultima battuta è di 6/4 con tamburello e charleston suonati contemporaneamente.

INTERVISTA
Intervista raccolta da Mario A. Riggio
La Pfm è di nuovo sulla cresta dell’onda: due tour mondiali in un anno, la partecipazione ai più importanti progfest internazionali, un DVD e un doppio live registrati in Giappone. La più famosa rock band italiana, girata la boa dei 30 anni di attività, è pronta per tornare nel gotha della musica internazionale. La formula è semplice: riprendere il discorso lasciato in piedi 25 anni orsono.
Il successo non si è fatto attendere e per aprile è atteso lo sbarco in Inghilterra, per andare a suonare nel tempio della musica in compagnia di un vecchio leone del rock progressivo, Peter Hammill, cantante dei Van der Graaf Generator, uno dei gruppi più creativi della storia del rock.
La Pfm si presenta con gran parte della formazione che spopolava negli anni ’70: Franz Di Cioccio a batteria e voce, Flavio Premoli a tastiere e voce, Patrick Dijvas al basso, Franco Mussida alle chitarre e alla voce, accompagnati da Lucio Fabbri a violino e tastiere e Roberto Gualdi che suona le percussioni e la batteria quando Franz canta.
La Pfm versione internazionale ha già incassato i complimenti di colleghi famosi come Adrian Belew, il geniale chitarrsta/cantante dei King Crimson, e prova ad arrivare laddove nessun gruppo italiano è mai riuscito ad andare.
Ne parliamo con il frontman Franz Di Cioccio, alla vigilia della partenza di un nuovo tour che li vede protagonisti nell’America centrosettentrionale e in Inghilterra.

DRUMSPORTAL: Una formazione all’antica e un repertorio primi anni ’70. Cosa succede alla Premiata?
FRANZ DI CIOCCIO: Nel 2002 abbiamo celebrato il trentennale del nostro debutto discografico. Noi siamo nati nel ’70, ci siamo fatti le ossa con un miliardo di concerti in giro, poi abbiamo fatto il 45 giri “Impressioni di settembre” (1971) e l’album “Storia di un minuto” (1972).
Abbiamo pensato che la nostra musica dovesse essere ripresa e fatta riascoltare, vogliamo che il nostro patrimonio possa testimoniare che l’Italia è stata ed è tuttora un paese estremamente vitale dal punto di vista musicale.

RUMSPORTAL: Infatti mantenete viva la vostra identità. E il concerto ha una buona dose di improvvisazione strumentale…
FRANZ DI CIOCCIO: Pfm ha come caratteristica il non avere mai pezzi chiusi. I nostri pezzi sono sempre aperti alle improvvisazioni, in un modo di suonare più vicino al jazz che al pop.

DRUMSPORTAL: Come riuscite a improvvisare dal vivo?
FRANZ DI CIOCCIO: Nei nostri brani ci sono delle porte di entrata e di uscita e poi suoniamo a vista: a un certo punto uno parte, e gli altri lo seguono. Questa è la cosa bella, il nostro modo mediterraneo, latino di essere felici sul palco. Noi ci divertiamo, la gente ci vede e si entusiasma.

DRUMSPORTAL: So che rifiutate l’etichetta di “progressive band”…
FRANZ DI CIOCCIO: Una volta potevi chiamarlo “progressive”, adesso lo devi definire “regressive”. Preferisco definire la nostra come “musica immaginifica”.

DRUMSPORTAL: E il pubblico straniero come reagisce alla vostra musica immaginifica?
FRANZ DI CIOCCIO: Benissimo. La maggior parte del pubblico che ci ha sempre amato non aspetta altro che vederci suonare. Suoniamo i pezzi di “Photos of Ghosts”, un album di trent’anni fa.
La gente ci ama ancora: al Baja Prog festival di Mexicali abbiamo fatto sold out nei primi tre giorni di prevendita.

DRUMSPORTAL: Questo vostro successo è uno schiaffo nei confronti di tutta la musica di facile consumo…
FRANZ DI CIOCCIO: A differenza dei gruppi che vanno di moda adesso, noi non abbiamo un bel sedere da mostrare, ma abbiamo belle dita che corrono e belle gambe che suonano le grancasse.

DRUMSPORTAL: Pfm ha anche un ottimo rapporto con Internet: basta vedere il vostro sito www.pfmpfm.it…
FRANZ DI CIOCCIO: Internet è un mezzo odiato dai discografici e amato dai musicisti: se fai un buon concerto il giorno dopo lo sa tutto il mondo. Noi abbiamo fatto sette concerti a Tokio, questo ha creato un’onda lunga su Internet e quando siamo arrivati in Messico, a Panama e in Venezuela abbiamo avuto un grandissimo successo.

DRUMSPORTAL: In aprile, a Londra, incontrerete di nuovo Peter Hammill, che avete ospitato nel vostro ultimo disco “Live in Japan 2002”. Com’è nata questa collaborazione?
FRANZ DI CIOCCIO: Volevamo scrivere un pezzo con il sapore di 30 anni fa, con lo spirito di “Photos of ghosts”, un album in cui si vede più la squadra del solista. E’ una trama molto ricca, in cui ognuno fa piccole parti che creano un bellissimo mosaico. Ci piaceva avere un pezzo in inglese, abbiamo chiesto a Hammill di scrivere il testo del nostro brano e lui ci ha mandato anche un nastro in cui ci faceva ascoltare il timbro e la pronuncia delle sue parole. Così abbiamo deciso di farglielo cantare. Hammill è venuto e l’ha cantato alla prima, in non più di mezzora. A Londra suoneremo anche dei pezzi suoi.

DRUMSPORTAL: Hai una nuova batteria, una bella Tama Starclassic in acero. Come ti trovi?
FRANZ DI CIOCCIO: Sono molto soddisfatto, credo che queste batterie abbiano raggiunto un’ottima qualità. Per me è importante anche l’affidabilità di una batteria: io la picchio forte.

DRUMSPORTAL: E con i piatti come ti trovi?
FRANZ DI CIOCCIO: Lo standard del materiale con cui fanno i piatti è cambiato in tutto il mondo: durano troppo poco, quando riesco a farci due tournée è già tanto. Una volta non era così. Gli Zildjian erano tirati e fatti a mano, ne ho un paio che uso dai tempi di “Live in Usa” (1974), quello chiodato che tengo sulla sinistra e il ride.

 
 
 
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Un blog di: schio
Data di creazione: 08/10/2007
 

FOTO RULLANTE GRETSCH

questo splendido rullante
lo possiedo anche io dedicato alla tragedia delle torri gemelle 11-09-2001
 

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