Uno dei primi aneddoti che mi è venuto in mente di raccontare, riguarda ancora gli Stones (non me ne vogliano gli amici beatlesiani, ma arriverà anche il loro momento!).Tengo a precisare che il mio per gli Stones è un amore infantile; si, proprio così, nel senso che quando ero ancora in culla e per i primi tre, quattro anni della mia vita, il mio papà Enzo, grande appassionato di band britanniche che nei '60 suonavano rhythm ’n’ blues (Animals e Stones sopra tutte) la sera mi faceva cantare la ninna nanna da Mr. Jagger & Co., sicché parlavo appena e già canticchiavo “Cos A Cciuà” (tradotto: ‘Cause I Try’, da [I Can’t Get No] Satisfaction, il mio brano preferito in assoluto in quegli anni).Nel quinquennio fra il 1996 e il 2001, il mio girovagare nel mondo della musica mi aveva condotto proprio al rhythm ’n’ blues e alla musica soul. Tutto era cominciato un pigro pomeriggio di fine maggio del 1997, quando la visione del film The Commitments (ve lo consiglio: è una pellicola davvero gradevole, ricca di bella musica) mi aveva permesso di ascoltare brani tipo Mustang Sally e Chains Of Fool; non avevo resistito alla tentazione si riascoltarli, dando così il via ad un percorso di approfondimento di un genere caldo, coinvolgente, così tipicamente americano. Durante tutto il ‘97 e la prima metà del ‘98, vivendo a Firenze, avevo letteralmente razziato e divorato dischi di Otis Redding, Wilson Pickett, Joe Tex, Solomon Burke, Aretha Franklin e tanti altri minori, ampliando a dismisura la mia conoscenza musicale nel settore, ma non soltanto: da sempre, quando vengo in contatto con un musicista o un genere musicale, ad una prima fase di conoscenza dell'opera, faccio seguire un approfondimento sulla vita degli artisti. Trovai, quindi, nel libro Soul Music, dello scrittore Peter Guralnick (Editrice Arcana), una specie di Bibbia della black music e da esso appresi parecchie cose che oggi rendono ancor più ricco il mio bagaglio culturale musicale.Fra i musicisti di quel genere, uno di quelli che più mi affascinava (anche per la sua parabola terrena, della quale scriverò in seguito) era ed è Otis Redding, anche perché, fra i pezzi da lui registrati c’erano due cover delle mie band preferite: la beatlesiana Day Tripper e, appunto (I Can’t Get No) Satisfaction. Ed è proprio quest’ultima che, qualche anno dopo, ho appreso esser stata al centro di una sorta d’intrigo internazionale.
Quella volta che Otis e gli Stones
Uno dei primi aneddoti che mi è venuto in mente di raccontare, riguarda ancora gli Stones (non me ne vogliano gli amici beatlesiani, ma arriverà anche il loro momento!).Tengo a precisare che il mio per gli Stones è un amore infantile; si, proprio così, nel senso che quando ero ancora in culla e per i primi tre, quattro anni della mia vita, il mio papà Enzo, grande appassionato di band britanniche che nei '60 suonavano rhythm ’n’ blues (Animals e Stones sopra tutte) la sera mi faceva cantare la ninna nanna da Mr. Jagger & Co., sicché parlavo appena e già canticchiavo “Cos A Cciuà” (tradotto: ‘Cause I Try’, da [I Can’t Get No] Satisfaction, il mio brano preferito in assoluto in quegli anni).Nel quinquennio fra il 1996 e il 2001, il mio girovagare nel mondo della musica mi aveva condotto proprio al rhythm ’n’ blues e alla musica soul. Tutto era cominciato un pigro pomeriggio di fine maggio del 1997, quando la visione del film The Commitments (ve lo consiglio: è una pellicola davvero gradevole, ricca di bella musica) mi aveva permesso di ascoltare brani tipo Mustang Sally e Chains Of Fool; non avevo resistito alla tentazione si riascoltarli, dando così il via ad un percorso di approfondimento di un genere caldo, coinvolgente, così tipicamente americano. Durante tutto il ‘97 e la prima metà del ‘98, vivendo a Firenze, avevo letteralmente razziato e divorato dischi di Otis Redding, Wilson Pickett, Joe Tex, Solomon Burke, Aretha Franklin e tanti altri minori, ampliando a dismisura la mia conoscenza musicale nel settore, ma non soltanto: da sempre, quando vengo in contatto con un musicista o un genere musicale, ad una prima fase di conoscenza dell'opera, faccio seguire un approfondimento sulla vita degli artisti. Trovai, quindi, nel libro Soul Music, dello scrittore Peter Guralnick (Editrice Arcana), una specie di Bibbia della black music e da esso appresi parecchie cose che oggi rendono ancor più ricco il mio bagaglio culturale musicale.Fra i musicisti di quel genere, uno di quelli che più mi affascinava (anche per la sua parabola terrena, della quale scriverò in seguito) era ed è Otis Redding, anche perché, fra i pezzi da lui registrati c’erano due cover delle mie band preferite: la beatlesiana Day Tripper e, appunto (I Can’t Get No) Satisfaction. Ed è proprio quest’ultima che, qualche anno dopo, ho appreso esser stata al centro di una sorta d’intrigo internazionale.