RUGIADA

IL CARNEVALE


C'era una volta il Carnevale, e nei ricordi della mia infanzia lui danza tra i giorni illuminati dalle risate della festa e del gioco.La mia famiglia era molto povera e la nostra povertà si rifletteva in ogni cosa che ci portavamo addosso, e non solo.Abitavamo in una casa vecchia, una delle tante in centro al paese, che il tempo aveva graffiato nei muri di pietra, sui pavimenti di cotto pallido e ammaccato, e tra le pareti nere di fumo che trasudavano l'odore stantio della solita minestra riscaldata.Una cucina e una camera da letto, questo era ciò che potevamo permetterci. Al gabinetto in fondo al cortile, uno per tutto il vicinato, specialmente di sera era faticoso arrivarci. Nel letto grande ci dormivano la mia mamma, il papà e l'ultima nata. Io e gli altri ci dividevamo il letto della povera nonna, tarlato e traballante. Bisognava prendere la rincorsa e fare un salto per sedersi sopra e quando ci sdraiavamo ci sentivamo pungere la schiena dal materasso imbottito di paglia. Dormivamo ugualmente perché eravamo bambini, e i bambini si addormentano dappertutto, se hanno sonno. Al mattino mi alzavo stropicciata e dolorante, c'erano loro, i due maschi che si sdraiavano dalla parte dei piedi, miei e di mia sorella e di notte lanciavano calci che lasciavano il segno violaceo delle botte; non parliamo delle coperte, se le tiravano fin sopra gli occhi e ogni sera c'era da combattere la guerra di trincea per riuscire a conquistarne quel poco che sarebbe bastato a coprirci. A pensarci, devo ammettere che eravamo proprio dei poveri disgraziati, ma nonostante le avversità della sorte   non ci lamentavamo e non provavamo invidia per chi viveva meglio di noi.  La mia mamma aveva partorito un figlio dopo l'altro, e solo l'ultima nata era arrivata che gli altri frequentavano la scuola elementare ed io già lavoravo come apprendista alla filanda.Cosa c'entra il Carnevale con tutto questo? E' vero, c'entra ben poco, ma ho voluto ricordare la mia famiglia e come vivevamo, perché le cose che ci appartengono si stringono a grappolo e se ne scegli una non riesci a chiudere gli occhi e fingere che le altre non esistano.Rievocando il Carnevale, rivedo le mascherine chiassose sui carri trainati dai cavalli. Partivano dalla piazzetta della fonte, scendevano lungo via Fontane, rallentavano in piazza Santa Maria, per poi riprendere il percorso fino al confine del paese, in fondo a via Ambaraga.Il parroco ben sapeva bussare al portone di chi, ogni anno, metteva puntualmente a disposizione della festa i suoi carri e i cavalli.I giovani dell'oratorio li abbellivano con nastri di carta colorata e rami intrecciati d'abete. Erano belli a vedersi, regalavano luce e risate festose. I bambini sorridevano orgogliosi dentro i loro costumi e si spingevano per prendere posto nei carri e lanciare coriandoli sui passanti che battevano le mani con entusiasmo. Faceva freddo nel giorno di Carnevale, e chi voleva mettersi in maschera doveva pensare di coprirsi bene per non prendere qualche malanno. Le maschere erano sempre le stesse: damine e fatine create dalla fantasia delle mamme che per far contente le loro figliole rovistavano nei cassoni e riesumavano un velo da sposa o un vecchio copriletto damascato, per farne un corpetto o un mantello.  C'erano i pirati con l'occhio bendato e i lunghi baffi disegnati col nero di un tappo di sughero bruciacchiato sulla fiamma del camino, gli arlecchini vestiti di pezze colorate, Gioppino dai tre gozzi, gli spaventapasseri e gli spazzacamini neri di fuliggine.Le vie profumavano di frittelle calde e lattughe. Tutti, giovani e anziani, avevano voglia di scherzare. "Nel giorno di Carnevale si dice che ogni scherzo vale!".Difatti la mia mamma pensò proprio questo quando, intenta a friggere in un po' di strutto una pastella di farina, uova e zucchero, si girò per ascoltare meglio ciò che mio fratello le stava chiedendo. Giovanni al tempo aveva otto anni e, come ogni bambino, il giorno di Carnevale desiderava salire sul carro delle maschere per attraversare il paese ed essere applaudito dalla gente, ma per avere il permesso di sedersi sul carro era indispensabile indossare un costume. Chi non si era messo in maschera poteva solo seguire a piedi il percorso dei carri e non era certo la stessa cosa!Mio fratello piagnucolava quando rivolse alla mamma queste parole: «Mama, voe na anche mé en maschera! Serca vergót de mitim endos!».La mamma lo guardò con l'aria severa di chi sa che non può esaudire un desiderio, nel niente non poteva cercare e forse era meglio chiudere subito il discorso, ma di fronte alle sue parole insistenti, e ai lacrimoni sinceri, tolse la pentola con lo strutto che friggeva sul fuoco e gli rispose: «Dim cosa g'hó de dat, che góm nient del töt! Come te piazerès vistìt? Chel te 'l lasse dì».«A mé…, me piazerès vistìm de poarèt!».La mamma, nel sentire ciò che desiderava il suo bambino, non seppe se ridere o mettersi a piangere. Giovanni se ne stava lì, davanti a lei, indossava i calzoni di tutti i giorni, rattoppati sulle tasche e con le pezze cucite sul sedere, la giacchetta di panno stropicciata mancava di due bottoni e i polsini pendevano sfilacciati come la sciarpa che gli aveva legato ben stretta al collo per ripararlo dal freddo. Abbassò sconsolata lo sguardo, si sedette su una seggiola, tirò a sé il suo bambino, lo strinse forte e gli disse: « Bel püpì de la to mama, te compagne mé sől car, al pret  ghe dizaròm che te set vistìt de poaret e t' edaret che te vensarét el prim premio!». Per chi non capisse il nostro dialetto: la mamma si stupisce del fatto che il bambino, già povero per nascita, volesse mascherarsi da povero per il carnevale.Commossa gli disse, ti accompagno io sul carro, diremo al prete che ti sei mascherato da povero e vincerai sicuramente il primo premio  Questa è una storia legata ad un passato lontano, quando in ogni paese del nord o del sud, la povertà era di casa.          Febrer  Só Febrér, el mès paiassoFó 'l mercat de carneàl:per tre chili de rididetöcc i gnari i pöl compràl. Gh'è i coriandoi che pitüratöt el mond che l'è issè gris,gh'è le stele che se slonga fino ai pe del paradis Gh'è le maschere 'ncantadeche fa bèi anche chei bröcc,gh'è quintai de schers, de 'mbròi…Chi che a compra? I vende töcc. Só 'n paiasso. Só Febrér.Sóo en po' cürt…sé…sé…l'è érama prepare i to pensérai culur de primaéra. Elena Alberti Nulli