RUGIADA

LUCE D'ERBA

 

 

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Dove volevamo andare...

Post n°63 pubblicato il 06 Aprile 2008 da aidanred

 

Il mio primo anno alla scuola superiore si arricchì col tempo di nuove e impensate emozioni. Nessuno di noi poteva prevedere quali strade si sarebbero aperte ai giovani, stanchi di respirare l’aria pesante dell’immobilità.

Dall’America e dall’Inghilterra ci arrivavano messaggi di pace e di libertà: i testi di Bob Dylan, I Beatles e i Rolling Stones ci insegnavano ad osservare e a giudicare con occhi più critici la nostra società. Un mondo nuovo di speranze sarebbe stato il domani che noi avremmo costruito.

Mettete dei fiori nei vostri cannoni’, ‘Fate l’amore, non fate la guerra’, ‘Sai cos’è/l’isola di Wight,/è per noi l’isola di chi/ha negli occhi il blu/della gioventù…’: i testi dei grandi gruppi stranieri erano tradotti dai nostri cantanti e a ‘Bandiera Gialla’ o nelle ‘Hit Parade’ occupavano i primi posti. Li imparavamo presto e li cantavamo con l’orgoglio di appartenere e quella generazione che le cose le avrebbe davvero cambiate.

A morte l’ipocrisia, il perbenismo, la società borghese -  immobile nei suoi schemi di vita. Basta con la guerra! Cosa ci faceva L’America nel Vietnam? La parola ‘pace’ sventolava nelle grandi manifestazioni; che mondo avevano costruito i nostri padri, quali ideali avevano rincorso? Noi avevamo un sogno nuovo da inseguire ed i nostri cantanti ce lo suggerivano nei testi dei loro brani musicali.

Io stavo imparando a comprendere, ad aprire gli occhi sulla realtà, ed ora potevo spiegare perché ‘Dio era morto/in stanze da pastiglie trasformate’… Il conformismo ci spaventava e non volevamo essere pecoroni di un gregge che si muove uniforme e ordinato: tutti insieme, nella stessa direzione, tutti uguali… Mai!

Sentivamo il bisogno di respirare in piena libertà e a fondo il profumo della speranza: noi quel mondo di ipocriti lo avremmo cambiato. Non ci saremmo lasciati intrappolare dagli ingranaggi della normalità non-pensante. L’alba di un giorno nuovo ci attendeva mentre seduti su un prato ci perdevamo nella luce rossa di un tramonto.

 Crescevano i capelli insieme ai sogni di lontani orizzonti. Chi l’avrebbe mai immaginato allora dove saremmo arrivati? Era ancora troppo presto per trovare risposte. La Storia di un periodo si può leggere e comprendere meglio in ogni suo aspetto quando il presente diventa un passato lontano. Mentre si vive sul percorso della vita spesso non si sa perché ci siamo e che ruolo assumeremo.

Nella storia dei miei quindici anni io mi trovavo a vivere senza piena coscienza degli eventi; mi sentivo spinta dall’euforia, dall’ansia, dai messaggi che vibravano nell’aria che respiravamo e di cui ci nutrivamo. La Storia è un cocktail di piccoli, innumerevoli, invisibili ed apparentemente insignificanti elementi che nel destino trovano una combinazione magica per cui a sorpresa esplodono… E poi chi li ferma più?

     

Quell’anno a scuola si alimentava tra gli studenti il desiderio di ribellione nei confronti della società e di un’istruzione retrograda, paralizzata in schemi mentali lontani dalla realtà del mondo che al contrario aveva iniziato ad intraprendere nuove strade inesplorate. Il malcontento cresceva e si presentarono tante buone occasioni per organizzare iniziative di protesta.   

Io mi informavo, e nei cortei delle manifestazioni   studentesche volevo esserci. Seguivo la massa e mi sentivo importante nello sfilare per le vie della città urlando le parole d’ordine che nascevano spontanee nelle assemblee degli studenti o sui muri della città. Probabilmente era nel mio DNA il desiderio di partecipare alle proteste.

Le mie prime fotografie da bambina le avevano scattate i compagni di partito di mio padre, durante le feste dell’Unità o nei cortei organizzati per ricordare la Liberazione e la fine della guerra, ed io in quel clima che sapeva di rivoluzione ci ero cresciuta.

Il papà in fabbrica era capo commissione, aveva il compito di organizzare le assemblee e di stabilire con il sindacato il programma degli scioperi. Come avrei potuto entrare in classe se fuori i miei compagni scioperavano? Non volevo apparire diversa da quel che ero, mi dispiaceva solo perdere le lezioni di Italiano e di Tedesco; ma loro, i miei insegnanti, avrebbero capito, dovevano capire!

Crumiri – così venivano chiamati in famiglia quelli che scavalcavano i picchetti ed entravano a lavorare mentre gli altri ci rimettevano la paga. Tutti avevano una famiglia da mantenere, però gli aumenti ottenuti grazie alle assemblee di fabbrica e alle manifestazioni degli altri non gli facevano schifo, e se li portavano a casa quei due soldi in più, in silenzio e senza nemmeno dire grazie.

Io sfilavo anche per quei vigliacchi che non volevano fare brutta figura con i professori per non rischiare la bocciatura. Vigliacchi - sì, lo ripetevo con convinzione; ci avrebbero guadagnato anche loro da una scuola diversa. Se avessimo ottenuto i rappresentanti di classe, libere assemblee in cui esprimere i nostri pareri, se i nostri pensieri fossero stati anche solo presi in considerazione allora gli insegnanti ci avrebbero ascoltato, e il preside avrebbe dovuto demolire le barricate del dissenso che si era eratto davanti alla presidenza.

Una scuola fossilizzata, ancorata ad un sapere immobile, sorda ai richiami del tempo storico e della vita che cresceva fuori dai suoi cancelli, vita che prima di tutto richiedeva anime pensanti. Insegnanti robotici, manichini di un ben misero potere che la cattedra aveva loro garantito; mentre si cullavano ingenuamente nell’illusione di non poter essere toccati, venivano sbriciolati dalla fragilità stessa di un sapere d’argilla, e sembravano non comprendere la necessità di un cambiamento che li avrebbe indotti a riflettere, a rompere il muro dell’individualismo e del perbenismo.

Cultura per tutti! Pari opportunità! Quanto profondo dovesse essere il significato racchiuso in quelle parole non era semplice spiegarlo, ma sapevano di buono, di innovazione, di taglio netto con il passato. Era giunta l’ora di leggere il vero libro della Storia, dove chi è sottomesso si chiede ‘perché’ e cerca risposte convincenti.

Loro, i professori, avevano studiato… Perché si ostinavano a non capire? Li aveva ben plasmati il potere che cresceva nel silenzio delle anime non-pensanti? Non potevano negare l’evidenza di un mondo che voleva spogliarsi di un abito liso dal tempo, per spezzare le catene della mediocrità e dell’inferiorità.

 

Le cose accadono e a volte non sai nemmeno spiegarne il perché, come se nell’essere umano nascesse a sua insaputa un’idea, una convinzione che si costruisce in silenzio una  strada fin quando esplode in una travolgente reazione a catena; e tu ti ritrovi lì, stretto tra esseri come te che pensano e parlano la stessa lingua, e sai già cosa fare perché è così che deve essere.

Si erano accesi i primi fuochi ricchi di speranze ed io mi alimentavo di ideali e di grandi illusioni:

‘Aboliamo gli applausi, lo spettacolo è dappertutto

Guardatevi, siete tristi

Ho qualche cosa da dire ma non so che cosa

Non mi liberare me ne occupo io…

Studenti, operai, uniti nella lotta

Fine alla guerra

Vietnam libero

No al razzismo’

Italian graffiti, fuori dalle scuole, dentro le aule, sui muri delle strade: erano i nuovi messaggi che diventavano slogan da urlare nei nostri cortei

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