Frammenti

Serial Killer


Nella compulsiva visione di film che in certi giorni mi assale, c'è stata una accoppiata davvero frizzante, ovviamente non cercata, ma trovata."Vengeance is mine" di Shohei Imamura, del 1979 e "Elephant" di Alan Clarke, del 1989.Il film di Imamura si snoda attraverso il percorso di un serial killer, che parte da un classico complesso edipico. Il disprezzo del figlio per il padre culmina con un'amore incompiuto tra la nuora ed il suocero, che aspetteranno tutto il tempo, ovvero il nostro film, per vedere il protagonista e sua madre, già gravemente malata, morire per far posto al loro amore.Lo stile di imamura è semplice, con la camera sempre pronta a cogliere gli sguardi e i dettagli densi che esprimono i sentimenti di queste anime dannate. Tra truffe e assassini il protagonista finisce sulla forca, finale già preannunciato, dato che il film inizia con la sua cattura, ma la scena chiave è l'ultimo dialogo col padre, dove si chiarisce in qualche modo il suo assurdo agire. L'odio per il padre."Elephant" è invece un cortometraggio di circa 37 minuti dove non c'è niente da chiarire.18 Esecuzioni seguite in steadycam si susseguono attraverso l'ambientazione di un inghilterra industriale, di periferia, sporca, nascosta, vuota, deserta, che accoglie reietti e innocenti, assassini e figli, ma tutti rigorosamente maschi. Una violenza non spiegata perchè inutile da spiegare quando ormai arriva a questo punto. Una violenza maschile. Clarke crea un frammento grezzo di diamante che poi van sant riprenderà nel suo lavoro, ma senza la stessa potenza e purezza.Dalla violenza scaturita da un complesso edipico alla violenza data, la violenza a priori ormai scontata del vivere quotidiano. Ed è passato solo un decennio da un capolavoro all'altro.