Pablo Di Lorenzo

MANTENIMENTO 3


3) Come reiteratamente stabilito dalla Cassazione, presupposti per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del 1) coniuge cui non sia addebitabile la separazione, sono la 2) non titolarità di redditi propri, ossia di redditi che permettano di mantenere un tenore di vita analogo al precedente, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. Appare opportuno ricostruire la posizione della giurisprudenza in ordine al problema dell’ addebitabilità della separazione. Si ritiene, pacificamente, che il giudice debba accertare la sussistenza di 2 presupposti : l’ esistenza di un comportamento oggettivamente trasgressivo dei doveri nascenti dal matrimonio e la ricollegabilità della separazione a detto comportamento, sicchè possa dirsi esistere un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’ intollerabilità della convivenza ( Cass. 1999, n. 1933; 2000 n. 279). Il tutto , si badi, sempre che si sia in presenza di una condotta imputabile. La giurisprudenza ha affermato che, ai fini dell’ addebitabilità della convivenza deve essere svolta in base della valutazione globale e procedendo ad una comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’ uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’ altro. E ciò perché, si dice, solo operando tale comparazione è dato riscontrare l’ incidenza delle condotte , nel loro reciproco interferire, sul verificarsi della crisi matrimoniale ( Cass 2001, n 14162, in Fam e dir, 2002, 190 ). E’ applicando tale principio che Cass. 2001 , n. 14462, ha confermato la pronunzia della corte territoriale la quale aveva escluso ai fini dell’ addebito che l’ allontanamento del coniuge dalla casa coniugale, in presenza di una stabile relazione extraconiugale dell’ altro coniuge, avesse avuto incidenza sulla crisi matrimoniale. Peraltro , se ( in virtù di queste esigenza di raffronto tra le condotte) il comportamento riprovevole di uno dei coniugi può a volte essere giustificato ove costituisca reazione immediata e proporzionata al torto subito, esso è sempre ingiustificabile ove si traduca nella violazione di regole di condotta imperative ed inderogabili o di norme morali di particolare rilevanza, non suscettibili di eccezioni o deroghe ( Cass. 1988, n. 6976) Si è detto della necessità di operare un raffronto tra le reciproche condotte, e però occorre evitare che il giudice di merito si faccia tentare dall’ emettere una facile sentenza di non addebitabilità “ per pareggio”. In questo senso Cass. 2000, n.279 ( in Fam. E dir. 2000, 471), ha affermato che una trasgressione grave dei doveri coniugali, pur se determinata dal comportamento dell’ altro coniuge, dovrà dal giudice essere valutata come autonoma violazione dei doveri e causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, con conseguente dichiarazione di addebito ( se richiesto) a carico di entrambi. ( Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva rigettato le reciproche richieste di dichiarazione d’ addebito per l’ impossibilità di stabilire con certezza quali delle due condotte coniugali si fosse posta come antecedente causale dell’ altra). In caso di addebito della separazione ad entrambi, la giurisprudenza non ammette alcun ulteriore distinguo, esclude, cioè, che il giudice debba individuare chi dei due coniugi sia “ più in colpa” e chi invece abbia meno influito sull’ insorgere della crisi: anche il meno colpevole è da ritenere “ coniugato addebitato” e , come tale, non avente diritto al mantenimento ( Cass. 1988, n. 5698, in Giuri t, 1989, 1,1,450. L’ orientamento in tema di nesso causale tra la violazione dei doveri e la crisi coniugale porta ad indagare se all’ epoca dei fatti fosse già maturata la situazione di intollerabilità. Tuttavia, per ritenere la violazione ininfluente, secondo una tesi ristrettiva, il giudice deve accertare in modo rigoroso e PUNTUALE il carattere meramente formale della convivenza. A tal fine è, peraltro, irrilevante l’ eventuale tolleranza di un coniuge rispetto alla violazione di tali doveri da pare dell’ altro, vertendosi in materia in cui diritti e doveri sono indisponibili ( CASS 1997, n. 5762). Sembra andare di diverso avviso tuttavia, Cass 2001, n. 12130, che ritiene doversi pronunciare la separazione senza addebito quando, pur provata la violazione dei doveri, non sia data la prova che tale comportamento sia stato causa del fallimento della convivenza. Si reputano ininfluenti sull’ addebito i comportamenti successivi alla sentenza. In questo senso Cass. 1994, n.10512, secondo cui la responsabilità della cessazione dell’ unità familiare può essere accertata solo contestualmente alla pronuncia di separazione ed i comportamenti dei coniugi successivi a tale pronuncia potranno eventualmente rilevare solo ai fini del mutamento delle condizioni della separazione o per la richiesta di inibitoria dell’ uso del cognome ai sensi dell’ art. 156 bis c.c ( o in sede penale), ma non potranno costituire fondamento di una sentenza di addebito successiva alla separazione, trattandosi di comportamenti ormai intrinsecamente privi di ogni influenza in ordine ad una già accertata impossibilità di prosecuzione della convivenza. Tuttavia, avverte la recente Cass . 2005, n. 17710, anche i comportamenti successivi verificatisi cioè dopo la cessazione della convivenza ( seppure inidonei da soli a giustificare una dichiarazione di addebitabilità) possono costituire una conferma del passato e quindi illuminare sulla condotta pregressa , questa si rilevante ai fini del giudizio sull’ addebito. Tra i comportamenti costituenti motivo di addebito un ruolo principe ( se non altro dal punto di vista statistico) spetta all’ infedeltà coniugale. La valutazione di tale condotta con riferimento all’ addebito costituisce un emblematico banco di prova dei principi giurisprudenziali in materia. Così, ad esempio, proprio applicando il detto principio della valutazione globale e comparativa dei comportamenti di entrambi i coniugi, Cass. 1987, n.4767, ha affermato che la violazione del dovere di fedeltà non legittima automaticamente una pronuncia di addebito. Sicchè, si legge nella sentenza, una trasgressione ai doveri familiari da parte di un coniuge non può essere considerata apoditticamente come assorbente, sì da rendere influenti nella genesi della separazione le trasgressioni ai propri doveri da parte dell’ altro coniuge , ove non siano precisati gli elementi che in concreto abbiano dato sostegno a detta decisione. Se un singolo episodio di tradimento può non avere rilevanza causale ai fini dell’ addebito, diverso è il caso della violazione dell’ obbligo di fedeltà attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, essa, infatti,afferma CASS. 2003, n. 3747, costituisce violazione particolarmente grave, che , determinando normalmente l’ intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola causa della separazione personale dei coniugi e quindi circostanza sufficiente a giustificare l’ addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati LA MANCANCA DI NESSO CAUSALE TRA INFEDELTà E CRISI CONIUGALE ( essendovi la prova di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale). Pablo Arturo Di Lorenzo Telefono•3334971040(cellulare) ________________________________________Sito Web• •http://blog.libero.it/PabloDiLorenzo ________________________________________E-mail•padilor@libero.itCONTATTO FACEBOOK : http://www.facebook.com/profile.php?id=100000523622280FAN PAGE FACEBOOK : http://www.facebook.com/pages/Pablo-Arturo-Di-Lorenzo-fan-page-/284871541509CONTATTO TWITTER : http://twitter.com/pablo2dilorenzoContatto SKYPE: pabloarturodilorenzo