Pablo Di Lorenzo

MANTENIMENTO 8


6) Legge 1 dicembre 1970, n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio Articolo 1. 1. Il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3. Articolo 2. 1.Nei casi in cui il matrimonio sia stato celebrato con rito religioso e regolarmente trascritto, il giudice, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3, pronuncia la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio. Articolo 4. 2.La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata. 6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate. Articolo 5. 9. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria. Il comma 9 dell’art. 5 dispone che “i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. quindi, sono le parti, in rispetto del principio di leale collaborazione, a dover fornire al tribunale gli elementi reddituali necessari per poter determinare correttamente il quantum dell’assegno divorzile. la prova del reddito può essere data, oltre che con la documentazione prevista dalla norma stessa, con qualsiasi mezzo, compresa la presunzione (cass. civ. 23.01.1996 n. 496). la dichiarazione dei redditi, quindi, costituisce solo uno degli strumenti attraverso i quali il giudice può determinare il proprio convincimento, sia pure privilegiato dalla legge (cass. civ. 09.05.1997 n. 4067). Lo stesso comma prevede anche poteri istruttori d’ufficio, previsti per soddisfare al meglio le finalità pubblicistiche sottese alla domanda sull’assegno e per evitare che questa venga respinta quando il richiedente non riesca a dimostrarne il buon fondamento (cass. civ. 03.07.1996 n. 6087). Naturalmente tali poteri rimangono comunque subordinati alla disponibilità delle parti: è necessaria la contestazione mossa da un coniuge circa la sufficienza e la veridicità, ai fini della decisione, della documentazione presentata dall’altro coniuge. Ne consegue che l’acquiscenza della parte interessata, che non contesti le risultanze e la completezza di detta documentazione, preclude alla medesima di dedurre in sede di impugnazione il mancato uso di tali poteri da parte del tribunale (cass. civ. 08.11.1996 n. 9756). Se, comunque, il giudice ritiene che gli elementi forniti dalle parti siano sufficienti per una valida ricostruzione delle loro situazioni reddituali, non è tenuto, anche in caso di contestazioni, ad utilizzare tali poteri istruttori ufficiosi, che restano quindi nella totale discrezionalità dell’organo giudicante, trattandosi di un potere – dovere del tribunale. (cass. civ. 10.08.2001 n. 11059; cass. civ. 15.01.1999 n. 370; cass. civ. 26.05.1999 n. 5095) 10. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. Occorre analizzare quanto disposto dal penultimo comma secondo cui “l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”. la ratio di tale disposizione è evidente: la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio viene meno ogni qualvolta in cui il coniuge beneficiario contragga un nuovo matrimonio, proprio perché in questa ipotesi i medesimi doveri di solidarietà morale ed economica slittano in capo al nuovo coniuge. un problema particolarmente interessante ed attuale è quello relativo all’applicabilità in via analogica di quanto disposto da tale comma in caso di convivenza more uxorio. Le corti di legittimità hanno ormai consolidato l’orientamento secondo cui, se una convivenza avente carattere di stabilità e durevolezza non vale ad escludere di per sé la debenza dell’assegno, vale almeno ad incidere sulla determinazione del quantum: “il diritto all’assegno di divorzio non viene meno se chi lo chiede abbia istaurato una convivenza more uxorio con altra persona, rappresentando detta convivenza soltanto un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l’assegno disponga o meno di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” (cass. civ. 26.01.2006 n. 1546). tale ricostruzione trova la sua giustificazione nel fatto che la semplice convivenza ha natura intrinsecamente precaria, non fa sorgere obbligo di mantenimento e non presenta quella stabilità giuridica propria del matrimonio che giustifica la cessazione definitiva dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile. ancora “in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sé permane anche se il richiedente abbia istaurato una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidatosi e protrattosi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento ad opera del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa derivategli dalla convivenza, onde la relativa prova non può essere limitata a quella della mera instaurazione e della permanenza di una convivenza siffatta, risultando detta convivenza di per sé neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche dell’istante e dovendo l’incidenza economica della medesima essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano, laddove una simile dimostrazione del mutamento in melius delle condizioni economiche dell’avente diritto può essere data con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto attraverso il riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il richiedente l’assegno convive, i quali possono far presumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che dalla convivenza more uxorio il richidente tragga benefici economici idonei a giustificare il diniego o la minor quantificazione dell’assegno” (cass. civ. 20.01.2006 n. 1179). Quindi, di fatto, la semplice convivenza non basta ad escludere l’obbligo di corrispondere l’assegno di divorzio: tuttavia, se da tale convivenza ne deriva per l’ex coniuge beneficiante un miglioramento sostanziale, che si risolve in una fonte effettiva e non aleatoria di reddito (cass. civ. 06.02.2004 n. 2251), si può allora procedere alla revisione del quantum dell’assegno, ex art. 9 l. 898/70, così come modificato dall’art. 13 l. 87/74 e, in casi estremi, quando cioè, proprio a seguito di tale convivenza la condizione economica dell’ex coniuge ha raggiunto livelli di autonomia e dignità, si può arrivare alla revoca dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (cass. civ. 03.11.2004 n. 21080).