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Dieci

Post n°24 pubblicato il 30 Marzo 2012 da PapaveriSparsi


Lei adorava i mughetti.
Aveva imparato a camminare sull'erba del giardino di sua nonna.
Con l'incertezza dei nove mesi di vita e l'effetto strano che quel soffice tappeto
verde le dava.
I mughetti sotto il nocciolo le aveva insegnato il colore bianco.
E quei piccoli calici, che potevano al massimo contenere un ditino curioso
di bimba, erano stati subito una grande attrattiva, soprattutto per il profumo
che donavano all'aria.
Fin da allora, dall'alba della sua esistenza, erano stati una caratteristica della
sua vita.
Il suo bouquet da sposa era stato di mughetti.
Semplice, piccolo, quasi spoglio nella sua essenzialità.
Lo aveva tenuto tra le mani quando, tremando, aveva camminato verso l'altare, 
senza forse rendersi conto di cosa stesse realmente facendo.
Domandandosi come fosse possibile donarsi ad un uomo, avendone nel cuore
un altro.
Ma la vita è sempre sottilmente complicata.
E ci mette alla prova, ogni giorno.
Per poi osservarci impietosamente quando commettiamo errori, quando inciampiamo
sul nostro cammino.
Lei era inciampata tante volte.
Aveva ricamato i fallimenti su un angolo di un fazzoletto di lino.
Con l'ago aveva trafitto il tessuto creando una C, iniziale del suo nome. Chiara.
E quel fazzoletto le serviva da monito, era il ricordo di ciò che non era potuto essere,
di ciò che lei, sbagliando, aveva modificato della sua vita e della sua stessa essenza.
Un fazzoletto che raccoglieva lacrime frequenti, generose, lacrime che poi si lavavano
via, come se ci fosse una via di fuga per certe sofferenze.
Un bucato dell'anima.
Ma la cicatrici restavano lì. Intonse. Come il filo del ricamo penetrava la stoffa così le
rughe le segnavano il cuore. Indelebilmente.
Tornando a casa quella sera aveva osservato i mughetti che aveva in un piccolo vaso
di vetro, sul davanzale della finestra della cucina.
Erano chini.
Essere chini è nella loro natura. Forse perchè troppo delicati per osservare il sole.
Ma lei voleva perdere parte della sua delicatezza per fortificare il suo domani.
Per renderlo meno potente su di lei, per non dover abbassare il capo di fronte alle
insoddisfazioni che le vivevano accanto, come l'ombra di quella infelicità che ti si
attacca addosso e ti divora a morsi.
Nel nome di ogni persona c' è un po' nascosta la sua vera identità.
Cresciamo influenzati dal nome delle cose, dal loro suono, dal preludio di come potranno agire su di noi. E temiamo tutto ciò che suona male, che ci richiama a
ricorsi dolorosi, a paure.
Sfuggiamo la negatività delle parole e ci accoccoliamo in ciò che ci pare abbia un
atteggiamento benevole.
Chiara era così. Benevola e trasparente come il suo nome.
Semplice, forse anche ingenua e sognatrice, ma vera, pulita.
Viveva cercando di crearsi un posticino nel cuore degli altri. Non per insicurezza,
ma per bontà, per amore. Per desiderio di credere che se si ama,  e si condivide
amore, ogni negatività scompare, ogni problema si risolve.
E ogni goccia di sofferenza può trasformarsi in candore.
Lo stesso candore di quei piccolini campanellini bianchi, che possono al massimo
contenere il ditino curioso di una bimba, ma che significano la preziosità delle
piccole cose.
La leggenda dice che il mughetto porti fortuna e significhi il ritorno della felicità.
Lei non credeva molto alle dicerie, ma le piaceva trattenersi a pensare al suono
dolce delle parole più positive.
Fu in quel momento che squillò il telefono.



(continua...)

 

 
 
 
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