Versi e prose

Due punti non possono essere mai così distanti da non trovare un segmento che li unisce

Creato da IOeMR.PARKINSON il 06/06/2011
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« Il mito di LilithL'Uomo dei sogni »

Wanda

Post n°55 pubblicato il 12 Aprile 2012 da IOeMR.PARKINSON
 

Racconto di Valentina Tomasoni  (controvento)


Wanda quando è felice canta... Wanda quando è triste piange... Wanda quando è arrabbiata grida.
Wanda quando soffre non parla...  Wanda è folle. Ma è la persona più autentica, più vera che io abbia mai incontrato.
E' una bellissima donna, non molto alta, formosa, con dei lineamenti talmente perfetti  del  viso  da  sembrare anche  adesso che  ha  quasi sessant'anni una bambola. Le ingiustizie che ha dovuto subire nella vita hanno segnato la sua mente ma non il suo viso.

Ha gli occhi grandi, di un verde, che a volte sembra più giallo, che a volte sembra marrone... uno sguardo dal quale traspare la sua anima: gioiosamente-sofferente. Come ama definirla lei stessa.
Wanda ha due lauree: in pedagogia e filosofia. Ha insegnato per quasi venticinque anni al liceo classico del quartiere. Me la ricordo ancora quando la incontravo sulle scale fasciata nei suoi eleganti tailleur, trucco impeccabile e un'eleganza innata nelle movenze.
Anche allora cantava quando era felice... ma cantava sotto voce, non come adesso a squarcia gola.
Il suo repertorio canoro spazia da Mina alla Callas, il suo sogno era di diventare cantante

lirica, ma dovette rinunciarvi quando si accorse di
esser  incinta  del  suo  primo  e  unico  figlio:  Matteo.  A  quel  tempo insegnava come professoressa di lettere durante il giorno e alla sera
andava a lezioni di canto.
Il suo maestro divenne anche il suo amante e il padre di suo figlio. Wanda non parla mai di Achille... una volta si è lasciata sfuggire il suo nome, ma niente di più.
Il figlio di Wanda, Matteo, morì in circostanze misteriose. Si pensò al suicidio... ma Wanda non si rassegnò mai all'idea che il figlio avesse potuto togliersi la vita per una delusione amorosa. Cercò di reagire alla morte del figlio, ma già il suo equilibrio psichico era fragile e precario  e Wanda trovò rifugio alla sua sofferenza, nella follia.
Lei tutti i giorni apparecchia la tavola per due, cucina i cibi preferiti di
Matteo parla, ride con suo figlio. Vive nel suo mondo.
Quando mi vede sul balcone, abitiamo sullo stesso piano, ai lati opposti del palazzo, mi invita ad andare a bere il caffè da lei.
Lo fa quando è felice, quando è triste non mi guarda nemmeno e quando è arrabbiata mi insulta pure. Ormai lo so, lo sanno tutti... e così come
Wanda sa rallegrarci la giornata quando canta, così ci fa riflettere sul
significato della nostra esistenza quando il suo dolore si esprime con il silenzio, che dura anche giorni interi. Chiude tutte le finestre, abbassa le serrande. E ogni volta che entro nel piazzale di casa, alzo lo sguardo con la speranza di vederla sul balcone o di sentirla cantare, chiacchierare o ridere.
Può la fine di un amore portare alla disperazione? Può la perdita di un figlio portare alla follia? Può un padre ignorare la sofferenza di sua figlia? Wanda nei suoi rari momenti di lucidità dice sempre che lei ha avuto tanto dalla vita, le è stato tolto troppo, e le è rimasto poco... abbastanza però per aver ancora voglia di vivere.
Tra un mese diventerò mamma anch'io, sono preoccupata perché temo il momento del parto, ma allo stesso tempo sono felice  perché non vedo l'ora di poter tenere in braccio mio figlio. Stefano, mio marito, è più agitato di me. Cerco di immaginare la nostra vita insieme al nostro bambino... E' un maschio, e lo chiameremo Leonardo.
Anche Wanda è ansiosa di vedere il nostro piccolo e ogni volta che vado a trovarla, lei mi racconta di quando è nato il suo Matteo: “Stavo correggendo i temi di italiano della prima liceo classico... ero seduta al tavolo in soggiorno, a casa di mio padre... Le finestre erano aperte, era appena passato il temporale... la pioggia si era portata via il caldo torrido di quei giorni di fine estate. Ero scalza... mi alzai dalla sedia e andai in giardino... il contatto dell'erba bagnata con i miei piedi mi faceva sentire ancora più viva. Mi guardavo attorno cercando i colori del mondo... I colori del mondo, a volte non è necessario vederli... basta chiudere gli occhi e immaginare. Sentì la prima contrazione... una fitta di dolore: il mio Matteo stava chiedendo il suo arcobaleno.

La sera, dopo quasi nove ore di travaglio nacque il mio piccolo. La gioia di vedere tuo figlio che nasce ti fa dimenticare per un attimo tutte le cose sbagliate e ingiuste della vita, e ti fa pensare a quanto potrebbe essere meravigliosa se solo sapessimo  capire...  capire.  Ma  per  me,  come  madre,  comprendere perché la vita volle privarmi un istante dopo la nascita di Matteo, della mia felicità è stato praticamente impossibile. Mio figlio era nato con una menomazione al braccio sinistro... quella “diversità” lo segnò per tutta la sua breve ma intensa esistenza. Ha sempre cercato nuove sfide con se stesso... voleva dimostrare al mondo, ma soprattutto a suo nonno, che poteva fare qualsiasi cosa, come chiunque... meglio di chiunque. Non l'ho mai visto triste o scoraggiato, nemmeno quando cadde per l'ennesima volta, cercando di  arrampicarsi sul  tronco  di  un  enorme ciliegio nel giardino della casa di mio padre. Tanta era la sua determinazione, quanta era la mia paura che potesse farsi del male.
Ma alla fine riuscì ad arrivare sul ramo più alto dell'albero. “Guarda mamma dove sono”, gridò a squarciagola, “si può arrivare in alto se solo si ha la volontà di farlo”, concluse la frase... mentre rideva fra le lacrime.
Sai Anna, un figlio è una parte del tuo cuore, è dentro la tua anima, è sempre nei tuoi pensieri... e diventa il centro della tua vita dall'istante in cui senti il suo primo vagito e lo rimane fino all'ultimo dei tuoi respiri”.
Oggi è il compleanno di Stefano. Ho incontrato mio marito a un concerto di Guccini. Wanda, appassionata fan del cantautore insistette talmente tanto perché io l'accompagnassi che alla fine dovetti desistere. Pensai che mi sarei stufata, non perché non mi piacessero le canzoni di Guccini, ma perché prima di allora non ero mai andata a un concerto e credevo che non sarei resistita due ore lì seduta ferma ad ascoltare. E invece, oltre ad essere stato il giorno più importante della mia vita, fu un concerto bellissimo ed emozionante. La voce “graffiante” di Guccini, i testi delle sue canzoni, la gente che cantava insieme a lui.
Stefano era seduto accanto a me, quasi ci toccavamo. Ci fu un momento in cui i nostri sguardi si incrociarono... E per la prima volta sentì quella sensazione che provo ancora adesso la sera quando rientra dal lavoro.
La nostra storia forse è un po' troppo normale perché valga la pena di essere raccontata, ma sicuramente ne è valsa, e ne vale tutt'ora di essere vissuta e condivisa.
Stefano non ama essere romantico, non  è  tipo  da  cena a  lume di candela, da mazzi di rose rosse... e non sopporta dire “ti amo”. “E' necessario che te lo dica? Non lo senti? Io il tuo di amore lo sento anche quando non sei accanto a me, mi basta pensarti... e diciamo che per circa ventitré ore e quarantacinque minuti al giorno sento che mi ami”, mi ha detto una sera dopo che avevamo litigato. Allora gli chiesi curiosa di sapere perché quel quarto d'ora mancante alle ventiquattro di una giornata. Lui mi rispose: “Beh, almeno un quarto d'ora al giorno devo concentrarmi sul lavoro...”.
Con Stefano rido, con lui litigo, con lui faccio ogni cosa con la voglia di farla. La nostra libertà di amarci senza “possedere” , il nostro bisogno di metterci in discussione ma senza mai voler che l'altro sia diverso, sia come lo vorremo noi.
Stiamo insieme ormai da dieci anni, da otto siamo sposati. Ormai avevamo perso le speranze di poter avere un figlio.
L'anno scorso avevamo deciso di iniziare il  “calvario” per l'adozione. Sì, proprio calvario... una trafila di formalità burocratiche, visite, controlli, supervisioni,  colloqui.  Abbiamo  deciso comunque  di  adottare  un bambino. Proprio il giorno in cui ci è stato detto che la nostra richiesta era stata accettata, ho saputo di essere incinta.
E allora insieme a nostro figlio, Leonardo, sperando vada tutto bene (andrà sicuramente bene!), arriverà anche Diana, la nostra bambina argentina.
Diana ha cinque anni ed è cresciuta nelle baraccopoli di Buenos Aires. Siamo andati a vederla, naturalmente accompagnati da assistenti sociali, psicologo e via dicendo.

Gli occhi di Diana parlano da soli, ha i capelli folti e ricci... neri... e il suo “triste sorriso” ci ha conquistati. E io e Stefano dopo averla vista, ci siamo guardati: “E' nostra figlia”, abbiamo detto all'unisono.
La madre di Diana ha avuto nove figli e ha solo trentacinque anni.
Lì dove è nata Diana i bambini vengono venduti dai genitori per sopravvivere.
Sembra, anzi è crudele... ma è così!
Wanda scrive poesie. E appena finita la poesia esce sul balcone e la declama ad alta voce. Io sorrido e l'ascolto. Quella di oggi era breve ma una parola in più sarebbe stata eccessiva e una in meno... beh, non sarebbe stata una poesia di Wanda.
L'ho scritta sulla mia agenda mentre lei la recitava: oggi 2 aprile Wanda mi ha “urlato” la sua poesia: “Grido alla vita... sussurro all'amore... in silenzio guardo il mondo... svestita. Spogliata di tutto... mi rivesto con il senso dell'essere: acqua che scorre... fuoco che arde... vita che vive!”.
Wanda è un po' come una sorella per me, è più di una zia, è la persona che mi ha insegnato ad essere me stessa, senza darmi consigli.
La follia è fuga dalla realtà... la follia è il passaporto per la libertà di essere “liberi di essere”.
Ora mentre scrivo e Wanda canta a squarciagola la canzone di Guccini, Dio è morto:
“Ho visto la gente della mia età andare via lungo
le strade che non portano mai a niente, cercare il
sogno che conduce alla pazzia... ”

… Leonardo sta chiedendo il suo arcobaleno!

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