Essere e pensiero

Rizomata...radici...


La mattina del 17 febbraio del 1600, in Campo dei fiori a Roma, moriva sul rogo Giordano Bruno. Aveva 52 anni. Nato a Nola, un piccolo paese presso Napoli, divenne famoso in tutta Europa per le straordinarie qualità intellettuali e le sue idee rivoluzionarie, sia in campo filosofico che religioso. L’inevitabile scontro con l’istituzione ecclesiastica e la ferma volontà a non rinnegare nessuna delle sue idee lo condussero alla morte, dopo due lunghi processi ed oltre sette anni di carcere. Il 17 febbraio, anniversario della sua morte, ho scritto un piccolo omaggio al grande filosofo nolano, con l’intenzione di evidenziare l’importanza delle radici nella sua storia umana, come nella storia di ognuno di noi.
 Quando si nasce in una terra come la mia, si hanno radici così profonde che non è possibile smarrire. L’ho capito solo a 50 anni, dopo aver viaggiato senza posa e senza meta. Da giovane non credevo di averne. Le radici mi sembravano un insopportabile fardello, un impaccio per la leggerezza del pensiero e la sua assoluta libertà. Vivevo la pienezza dell’istante e la gioia incontenibile che sa donare la vita vissuta senza freni, come un’irrinunciabile sfida. Amavo il dibattito serrato, il confronto aspro e dialettico, capace di aprire nuovi orizzonti. Non amavo neutralizzare la potenza delle idee. Volevo che esplodessero, inondando il cuore con la loro energia. Ho sempre pensato che solo le idee che arrivano al cuore sanno muovere la mente, perché solo ciò che si ama si conosce veramente, lasciando nell’anima segni profondi ed indelebili. Ed ho amato tutto l’amabile: la bellezza di una donna, la gioia conviviale del mangiare insieme, il buon vino, la natura, l’infinità dell’universo. Non ho mai usato prudenza nei rapporti con i potenti, navigando da solo e controcorrente nel mare infido della politica, avendo come unico faro la luce della ragione, anche se credere in lei non è bastato a salvarmi la vita. Mi sentivo cittadino del mondo, mentre ero solo un uomo del mio paese con lo sguardo aperto al futuro. Il furore acceso d’amore, che ho scoperto in me, aveva il colore della mia terra fertile e dei suoi frutti maturi, come la passione per la bellezza dell’infinito nasceva dai lunghi pomeriggi trascorsi a contemplare l’immensità del mare e ad infrangere il filo tenue dell’orizzonte. Al di là di esso scorgevo immagini sempre nuove, nutrite dalla fantasia e ossigenate dalla ragione. Un universo spettacolare che nessuno mai aveva osato immaginare, con infiniti soli ed infinite terre, in cui tutti gli esseri hanno lo stesso valore e la stessa dignità, perché tutto è in tutto, ciascuna cosa è in tutte le cose e partecipa delle sorti di tutto. Un universo che è Dio. La bellezza inebriante di quella visione mi portò in giro per l’Europa e mi ricondusse, come attratto da una forza magnetica, verso il paese da cui provenivo. Dovevo tornare nel luogo in cui la visione aveva avuto origine, altrimenti sentivo che essa sarebbe svanita. E tornando laddove mai sarei dovuto tornare capii che, quando si nasce in una terra come la mia, si hanno radici così profonde che non è possibile smarrire. C’è un tempo per ogni cosa, diceva l’amato Qohelet, e nell’attimo in cui, procedendo verso il fuoco, cominciai ad avvertire la pelle bruciata dal calore, sentii che il mio tempo era quello della fine.  Sonny Boy Williamson II(Rice Miller)1899 - 1965armonicista