parto da papà

introduzione


GIORNO ZERO   Chissà perché quando ad un uomo si chiede cos’è un “parto”, questi risponde che il parto è un antico popolo iranico stanziatosi nel territorio tra l’Elburz e l’Amu Darya, che nel 3° secolo a.C. fondò l’Impero Arsacidico. E chissà perché quando chiedi ad una donna se gradisce il parmigiano sui maccheroni lei ti risponde che si sente pronta per un figlio e che opterà per il parto in acqua. Già: il parto. Che miracolo della natura, che portento: comincia con una parte centrale del corpo che comincia a gonfiarsi prima lentamente e poi sempre più generosamente; sono le tue gonadi* e la trasformazione sopraggiunge puntualmente nell’udire la frase: “Amore, sono incinta”.*uso il termine "gonadi" per evitare il più volgare "coglioni" che mai e poi mai vorrei vedere scritto in un libro che porta la mia firma!Non sta mai bene, però, piangere sul latte versato: meglio affrontare positivamente il tutto, partendo dal farsi una doverosa conoscenza sull’argomento. Alla tua compagna e al vostro bimbo provvederanno, in questi nove interminabili mesi, un esercito di “so tutto io, lei si limiti ad obbedire”: dai ginecologi che parlano sempre e solo con la tua compagna, all’ostetrica sovrappeso che però è la più simpatica; dalle donne ficcanaso che si nascondono dietro ogni angolo (pronte a saltar fuori per giudicarti un incapace), alla suocera rediviva che si è trasferita nel tuo salotto; da centinaia di riviste di settore destinate ad un pubblico unicamente femminile, a quel conoscente bisex che non vedevi da anni e che ora incontri ogni due ore. A te, invece, sembra proprio che nessuno pensi e dopo pochi giorni di vane speranze comincerai a capire di dovertela cavare da solo in quest’avventura tutta al femminile. Riporto di seguito alcune frasi che mi sono state segnalate da conoscenti o che ho sentito io personalmente (!), giusto per farti capire che il mondo per un giovane padre è un inferno.            “L’idiota di fianco a lei è suo marito, vero?                     ( Sandro G, ginecologo, durante ogni visita)            “Signora, stringa la mano all’incapace di fianco a lei”                     ( Erika L, capo ostetrica, durante un parto in acqua)            “Hai fatto un bel guaio a fare un figlio con quel cretino. Certo, sempre meglio di quell’idiota di mio marito”                     (donna ficcanaso, calandosi da un albero alle vostre spalle)            “- - - - -”                     (tua suocera)            “Ogni donna vive la propria gravidanza in maniera del tutto personale, secondo l’educazione che ha ricevuto, le esperienza fatte, le condizioni             di salute, il suo grado di emotività e le caratteristiche del rapporto che la lega a quel fesso del marito”                     (introduzione di un libro sul tema della gravidanza)            “Ciao Lorenzo, ti trovo benissimo ora che stai per diventare papà: perché non vieni a parlare a casa mia di questo durissimo argomento?”                     (quel conoscente bisex che non vedevi da anni e che con la locuzione “durissimo argomento” non si riferisce certamente alla tua condizione...) Ricorda: per quanto ti impegnerai in questi nove lunghissimi mesi a dividere l’esperienza con la tua compagna, per quanto ti sforzerai nel memorizzare il significato di parole inimmaginabili come “ossitocina” o “test di Coombs”, per quanto correrai a destra e sinistra per partecipare attivamente alla nascita di tuo figlio, non servirà assolutamente a nulla! Da subito, infatti, le donne gravide vengono spinte dal sistema a non fidarsi più del loro compagno, ad ignorarlo, a metterlo in un angolo sperando che non faccia troppi danni perché ogni giovane papà è, per un’errata credenza che si tramanda da millenni, un immaturo cronico, incapace di dare un qualche minimo aiuto durante il parto: insomma, uno che potrebbe addirittura leggere questo libro. Durante tutta la gravidanza, l’intero mondo femminile tratta quello maschile con la stessa sufficienza con cui gli uomini trattano in ferramenta le donne che azzardano pareri sulle caratteristiche tecniche delle seghe a nastro in esposizione. Questa tendenza della società partoriente a ignorare l’uomo e a concentrare tutte le attenzioni sulla sola donna ha come unica conseguenza quella di rendere l’uomo insicuro.  Ora le cose sono però cambiate: ora c’è questo libro dalla parte dei giovani padri come te. Questo libro ti aiuterà a ritrovare il tuo onore e la tua sicurezza, facendoti scoprire tutti i misteri del parto da un punto di vista prettamente maschile, evitando quindi noiose digressioni scientifiche e insostenibili approfondimenti tecnici dei quali, onestamente, non ce ne può fregare alcunchè: il taglio del libro punta infatti alla semplicità, ad un’organizzazione degli argomenti in comode schede che affrontano esaustivamente tutti i diversi temi del parto, molti dei quali mi inventerò per l’occasione. Una volta terminata la lettura, hai la mia garanzia che tutti i tuoi dubbi verranno dissipati e sarai finalmente pronto per compiere veri e propri miracoli sociali, come per esempio risultare simpatico ad almeno una delle ostetriche del reparto; e riuscirai senza sforzo ad affrontare tutti i ginecologi maleducati che incontrerai, tutte le donne del tuo condominio pronte a saltare fuori dai vasi dell’ingresso per dirti “Rovinerai tutto, sei come mio marito”, tua suocera e… no, per quel conoscente bisex ormai la frittata è fatta.  Il giorno in cui verrai a sapere di aspettare un figlio sarà un giorno che rimarrà scritto a caratteri cubitali nel diario della tua vita. Saranno momenti indimenticabili che ti rimarranno nel cuore, talmente carichi di sentimento ed emozione che potrebbero benissimo diventare il soggetto di un qualche film con uomini pettoruti in locandina che abbracciano donne svenevoli e seminude. Un film che, ipotizzando un Pino e una Luisa per protagonisti,  potrebbe iniziare così.  È mattino presto, ancora il sole è lontano e in camera da letto tutto tace. Una tenue luce radente disegna i contorni di un letto disfatto, di una sola persona che vi dorme profondamente, di un mesto russare degno della turbina a vapore del Titanic.Poi l’immagine si allarga fino a inquadrare un leggero chiarore proveniente dal vuoto di una porta, in lontananza.Passi e ombre verso la camera buia: una sagoma si staglia su quella porta, in controluce; sosta qualche secondo e accende la luce della camera.E' una donna. E' Luisa.Pino è quello sul letto ed è un uomo e ovviamente continua a dormire.Luisa lo conosce da anni ed è per questo che rovescia l'armadio per attirare delicatamente l'attenzione del partner.SBRADABAAMPino adesso è sveglio.“Mi viene da vomitare” esordisce Luisa sulla porta.Pino si volta confuso verso di lei, accecato dalle gemelle Edison sul soffitto; l’unica cosa che capisce è che fuori è ancora buio.“P, mi viene da vomitare” ribadisce lei.P è l’abbreviazione di un nome già breve per destino, ma si sa che abbreviare sottolinea una certa confidenza e così Pino divenne anni prima una singola lettera. Amore assoluto.Nonostante sia ancora perso tra sogno e realtà, Pino capisce subito che qualcosa non va: sa riconoscere subito il momento in cui una donna reclama attenzione.“Dai, Lu (anche lui l’amava) saranno le cozze di ieri sera”.Pino non capisce un cazzo di femminilità.“Pi!”.Allarmi: P era diventato Pi. Pino non ha mai saputo spiegarsi come Luisa riuscisse a differenziare la pronuncia secca della sola lettera P da quella altrettanto secca della sillaba Pi. E quando le donne allungano i nomignoli è solo per dirti che faresti meglio a rigare dritto.Pino però è un vero uomo, uno che non comincia a nuotare finché l’acqua non arriva alla lattina aperta di birra che tiene sulla testa: inconsciamente, per un ancestrale istinto votato alla tranquillità, sa che mancano ancora due lettere al completamento del suo nome (evento che sigla l’imminente inizio della fase tragica della discussione) e così, senza pensarci troppo su, si rigira tra le lenzuola con un generico “Hai provato acqua e limone?”“PINO”Merda, doveva essere proprio qualcosa di serio: Luisa non era passata nemmeno per “Pin”, ma direttamente alle maiuscole: la birra si stava annacquando e Pino si preparava a risalire.Dati: erano le 3.13 e la sua ragazza lo chiamava in maiuscolo e la sua ragazza doveva vomitare.Pino pensa al modo tutto femminile di dirti una cosa dicendotene un’altra. De-vo-vo-mi-ta-re: suonava come una mitragliata a un condannato a morte.Luisa rimane sulla porta della camera ad aspettare la risposta di Pino (quella giusta) con la ferma volontà di ripetere la scena fino al “buona questa” del regista, e cioè della di lei medesima.Pino si issa sui gomiti e collega il vocabolario Donna-Realtà traducendo il verbo “vomitare” con la frase “forse aspetto un bambino da te e vedi di dirmi la cosa giusta”.“Non tiriamo conclusioni affrettate” dice calmo, sentendo però un’inconsueta debolezza alla gambe, “ragioniamo: hai un ritardo?”“Tre settimane”.Punto.Tre settimane: Luisa sapeva di rischiare una gravidanza. “P?”Pino pensa “P come un Paiodipalle, testa di cazzo! Ma non potevi dirmelo subito che si provava a rimediare prima, invece di tenermi tutto nascosto?” e la sua bocca traduce automaticamente dal vocabolario Uomo-Donna: “Adesso andiamo in ospedale e facciamo una visita completa, almeno non ci facciamo idee sbagliate, ok?”.“Si, P, hai ragione” (ovvero: “ho tanta paura”) con gli occhi da cerbiatto e le mani giunte in grembo; immobile, quasi a farsi più piccola di quanto già non fosse.“Stai bene Lu?” (ovvero “che cazzo fai la debolina adesso? Fanculo te e quel coglione di tuo padre”).“Si, sto bene” (ovvero: “Ti va di abbracciarmi?”)“Vieni qui, dai” (ovvero: “Ti prenderei a calci nel culo, ma dico: parli tutto il santo giorno di cazzate, ma le cose importanti PER ME non le dici, eh?”).Era proprio così: parlavano ore e ore senza capire nulla di cosa si dicessero veramente.“Ho paura. Mi ami, vero?”Ecco la domanda inevitabile.“Ma che domande fai?”Ecco la risposta inevitabile: no che non la ama, non ora almeno!“Perché non mi dici mai che mi ami?”“Ma che domande fai?”. E due!“Che facciamo se…”“Aspettiamo le analisi, poi ci organizzeremo”“Sei arrabbiato con me, vero?”“Ma che domande fai?”: terza e ultima risposta-non risposta; oltre non si può rischiare e così Pino bacia Luisa sulla fronte e si dirige in bagno.“Dove vai, P?”“In bagno, Lu?”“Tutto bene?”“Mi viene da vomitare”Ora siamo in garage.Pino e Luisa salgono in macchina e il destino continua a farsi beffe di entrambi: la radio viene accesa su una frequenza qualsiasi e proprio in quel momento viene trasmessa “Angelo” di Francesco Renga.“P! La nostra canzone!” (ovvero: “Allora ci amiamo”).“Visto? È un buon segno” (ovvero: “La TUA canzone, poca puttana! A me piaceva con i primi Timoria”).“Ti ricordi quando l’abbiamo sentita alla radio la prima volta?” (ovvero: lì si che eri ancora un ragazzo da sposare)“Certo, e tu? Te lo ricordi?” (ovvero: “No”).La macchina parte e si inoltra nel primo mattino." Ecco l'ospedale, siamo arrivati. Come stai, Lu?”“Un po’ agitata, e tu?”“Tranquilla, sarà quel che sarà” (ovvero: “Ti prego fa che siano le cozze, tipregotipregotiprego”).Siamo in un ospedale e Pino sta parlando con un dottore; Luisa attende dietro di loro, su una sedia.“Congratulazioni, la sua signora è incinta di sei settimane” dice il medico sorridente e Pino capisce subito che lo sta prendendo per il culo: Luisa è in effetti incinta ma il medico sta godendo nell’avere davanti a sé un nuovo membro del club tutto maschile “Ma porca troia!”.È un po’ come la soddisfazione di toccare la spalla all’inconsapevole compagno di banco e dire “sfiga” sapendo che tutto il resto della classe ha già le dita incrociate.Nella testa di Pino il medico sparisce, come in una tragica parodia dello Stregatto, lasciando svanire per ultima l'immagine di una bocca ghignante; poi Pino sente la presenza di Luisa alle sue spalle che ha rovesciato un armadio per fargli capire in modo discreto che lei è lì in attesa di una risposta.Pino fa uno sforzo sovraumano per scolpirsi un sorriso tra le labbra a lutto (il primo è quello che fa più male, poi ci si fa l’abitudine) e si volta verso Luisa.Annuisce.Luisa si mette a piangere incassando il collo e questo è un imperativo: “vieni qui e abbracciami”.Pino va lì e l’abbraccia ma la mente è da un’altra parte: l’unica cosa a cui riesce a pensare è che quella sera dovrà saltare la partita a calcetto.Poi la voce di lei lo riporta alla realtà: “Ma mi ascolti?”“Si, certo”.“Sei così distante, dovrebbe essere un momento gioioso” lo accusa lei impietrita. “E invece sei più freddo che mai”.Ormai non c’è ritorno e nessuno specchio su cui arrampicarsi.“Lo so, scusa, pensavo”.“Pensi sempre a te, ma ci sono anch’io!” (ovvero: “Pensi sempre a te, ma ci sono anch’io!”).In lontananza spunta la testa di un’infermiera, poi torna dietro l’angolo da cui era sbucata.Pino sente un forte imbarazzo e chiede a Luisa di andare a casa a riposarsi.Luisa passa tutto il viaggio in silenzio, il che non fa che aumentare il nervoso trattenuto di Pino: no, lui non vuole un figlio, non ora! Però cerca di sistemare le cose, andandole a suo modo incontro: “Ti chiedo scusa, cosa posso fare per rimediare alla mia cafonaggine?”.Luisa, che non sa fare il minimo passo verso Pino, gli chiede anche in questo momento l’impossibile.“Dimmi che mi ami”.Pino torna a guardare la strada con la testa che gli scoppia e l’aria si riempie di un assordante silenzio.Dissolvenza in nero.