Fantasmi6

La chiave (2° parte)


Carmine aveva perso il conto – seppur approssimativo – delle scale, ma nel suo intelletto si aprì un varco la consapevolezza che era salito per dodici o tredici piani. Sedette a riposare, cercando di ottenere il controllo degli eventi che prendevano un corso del tutto marcato dalla più inopinata ingovernabilità. Non avendo ottenuto dal cielo segni rivelatori di una svolta decisiva alla sua sorte di proscritto, ricominciò, frastornato, a salire ancora per sedici piani – altezza notevole davvero sui tetti della città di *.                    Gagliardo della sua disposizione al raccoglimento e al conforto della filosofia, cercò di ragionare ostentando una illusoria serenità.– «La casa in cui siamo entrati,» – pensò – «non possiede tanti piani quanti ne ho, per così dire, peregrinati, ergo: io non sono in quella casa. E nemmeno Patonsio, che Dio me lo faccia incontrare ancora integro di corpo e di cervello! si trova colà. Per la verità egli non si trova neppure costì. In fede mia, costui non si trova in alcun dove! Un giorno lo rivedrò e rideremo insieme di quest’avventura così stramba. D’accordo, mi sono sbagliato. La debolezza fisica e nervosa mi ha causato questo stupido e risolvibilissimo equivoco. Tranquillo. Vediamo un po’…» – si disse con l’aria più amichevole che riuscì ad assumere – «quale edificio, dunque, vediamo vediamo, ha, ventotto, trenta, o più piani a *?»Mentre il cuore, furiosamente, iniziava a palpitare, e le mani andavano angosciosamente a congiungersi incrociate, gli occhi gli si sgranarono dilatati dallo spavento: non poteva dare a sé stesso altra risposta che questa:– «Non ce n’é nessuno!»Era sicuro! Non c’era in tutta * alcun edificio di trenta piani.– «Ma se è così, se a * non c’è casa di trenta piani… io non mi trovo a *!»Fu costretto a sedersi a causa di un nuovo soprassalto d’emozione. Sudò freddo.***«Calma, calma,» – prese ad esortarsi quel forte, – «Carminello, Carminello, cerca di ricordare… Quali azioni hai intrapreso? In che treno sei salito? Qual’era l’esatta destinazione?» – e abituato com’era all’introspezione e all’analisi, diede ancora in pasto all’avide fauci del raziocinio suo cibo ancor più indigesto, dicendosi: «Carmine, oh Carmine, chi sei tu? Dove vai Carmine? Donde vieni? Ma soprattutto, cosa ti spinge?»Avrebbe, quel generoso giovane, vieppiù mosso in profondità la penetrazione nei meandri dell’Io, se un crepuscolo di lucidità non lo avesse indotto ad arrestarsi in tempo, proprio quando era ormai arrivato sul punto di chiedersi, insieme al poeta: «Carmine, “chi fûr li maggior  tui? ”»L’idea del grattacielo, e cioè che un colosso d’acciaio e cemento tenesse sequestrati lui e il camerata, si fece quindi strada nella sua mente estenuata: – «Mi trovo a Nuova York,» –  sospirò – «ancora non so come, ma mi trovo a Nuova York o forse a Tokio. Quelle due parole d’Inglese, magari, le conosco… ma il giapponese? Che gli racconto se mi interrogano in giapponese, o magari in qualche lingua a me  sconosciuta? Sono perduto.»Sedette sulle scale affondando il viso tra le mani, e si abbandonò a una cupa meditazione.«La mia vita è distrutta per sempre. Ignoro il giapponese, e mi sarà difficilissimo, quasi impossibile, farmi strada in questo paese. Rifarmi una vita dignitosa, crearmi una posizione accettabile… sarò io l’uomo capace di affrontare questa nuova sfida che il destino mi getta senza risparmiarmi amarezza e tormento? Sarò io pur sempre quell’uomo abile a trar fuori dall’inghippo l’ottimo Patonsio, che a me si affida come farebbe un fratello? E se pure io potessi ritornare in Italia, che cosa potrebbe apparecchiarsi, per me, che a quanto pare sono così irrimediabilmente sbalestrato da vagare, senza rendermene conto, dall’uno all’altro emisfero terraqueo, e che non son nemmeno capace di difendermi dalle conseguenze trascendentali di tale condotta?»L’infelice andava confermandosi che la sua vita era spezzata per sempre, coartata senza ch’egli potesse opporvi limpido rimedio: tornato a casa, come reagirebbe se sparisse ancora una volta, per ritrovarsi ad un piano imprecisabile di uno sconosciuto edificio londinese, o in una puteolente cantina di un sobborgo di Calcutta, od anche, chissà, in una caverna della foresta del Borneo infestata da presenze nemiche? Un uomo il cui cammino è così nocivamente minacciato da repentini quanto inattesi sconvolgimenti, come moverebbe innanzi a sé il piede non temendo ad ogni passo una nuova terribile sciagura?***Il silenzio di sonno eterno in cui era avvolto l’abisso tetro, ad un tratto, sembrò squarciarsi e da esso si animarono segnali che suggerivano l’idea d’altre forme di vita.Strani rumori giunsero alle orecchie di Carmine: profondi sospiri, un tramestìo confuso e lieve, il tic tac smorzato d’un grande orologio, un irregolare scalpiccìo e colpetti di tosse. Una scala buia, nel cuore della notte, nasconde ineffabili risonanze, mistero vuoto e sospeso, incompiute entità d’altri mondi, come ben sa l’inquieto lettore che in una notte insonne abbia accostato l’orecchio al buco della serratura. E abbia ascoltato. Sentito…In quell’ora indefinita, in quegli istanti smembrati, abortiti e vendicativi, in quei momenti in cui le regole condominiali – e le leggi fisiche persino – tacciono, accanto alle soglie trascorrono i fantasmi triviali che impauriscono i bimbi e le fanciulle, insieme ai fantasmi dei sogni interrotti con l’ansia e la trepidazione che par volere esplodere dal petto affannoso, e con essi, pallidi – perchè sempre di notte lavorano – le altre ombre prive d’appoggio che sussultano d’asma e si lagnano nell’oscurità. Trascinano i piedi, arrivano o partono, tossiscono, si disperdono senza quiete per i piani tutti… qualcuno arriva addirittura a schiarirsi la voce, gracchiando, scatarrando, grattandosi la gola oscena gonfia di risentimento verso la vita e il decoro umano… No, tutto ciò non è davvero piacevole, lettore caro, per un uomo agitato da ponderosi interrogativi riguardo alla propria esistenza, per un Carmine – non certo nel pieno delle sue facoltà – che ha perduta la chiave di casa in una scala sconosciuta e oscura. Si arrese, quel nobile? Lasciò forse che l’occorrenza trista lo sovrastasse inerme? Eh sì..!Purtroppo.– Patonsio… – di quando in quando implorava sottovoce, di modo che fosse udito soltanto dall’amico e non dai fantasmi brutti – Patonsio, oh Patò… ma ché  lo fai apposta? Mi senti Patò..? Oh Signore, GesùGiuseppeemMarìa… oh Patò..! Niente! Ma cose di restare lesi !Ciònondimeno tornò alla sua fatica.  Percorse un vasto spazio pianeggiante, alla fine del quale le sue mani, che esitanti saggiavano l’aria densa di mistero e insidia, urtarono un cancello. Cercò tastoni e trovò un chiavistello.  «Dove mi trovo?» – pensava – «Che rumore è questo che viene da laggiù? Senti come pesta! Ma che, si avvicina? Altro che..! Qua è!»Erano già molto vicini i rumori.– Oh! Chi va là? – gridò.Il nuovo venuto s’arrestò. Allora una voce, che sembrava con tutta verisimiglianza originarsi dalla suola delle scarpe di Carmine, pretese: – Chi è lì?– E là chi c’è? – insisté Carmine.Silenzio.– « ..? » Silenzio nero.La voce tornò: – Che sta facendo, lei? – Ma niente… il fattore è che… mi sono perso.– Hmm! – fece l’uomo del buio, poi chiese ancora:– Dove sta ora?– Io, secondo me, mi trovo sulla porta di uno chalet circondato da un’inferriata; comunque non so se mi trovo dalla parte esterna o da quella interna. Qui ho trovato per caso il chiavistello, ma non oso aprire…– Sarà il cancello dell’ascensore.Tacque Carmine, qualche istante.– Ma no, – rispose – perché i miei piedi giacciono su un prato, dal quale ora sto strappando manciate di erba secca…– Ho capito, – grugnì lo sconosciuto – lei sta devastando lo stuoino della signora Pesciabbella. Allora non si offenda se le chiedo: le piacciono gli alcolici?– Non bevo. Lei ha fraint… – Allora lei è un ladro..? Su, parli con franchezza.– Ma noo… non sono un ladro… tu guard… glielo assicuro sul mio onore… può salire tranquillissimo..!– Hmmm!Si sentirono allora lievi fruscii, attutiti, e questo poteva esser soltanto segno che lo sconosciuto discendeva di nuovo, in punta di piedi. Poi, però, la paura dovette morsicarlo all’improvviso nei calcagni, poiché scese a saltelloni, e con gran rumore…  – Patonsio, oh Patonsio…? – fece Carmine sdegnato e oppresso dalla mestizia – Ô Patò..? – e le braccia da sole s’allargavano, senz’intervento di sua volontà, ricordando – un po’ alla lontana, se si vuole – il Santo Crocifisso.Quindi si lasciò cadere, scivolando di spalle sull’inferriata, e non disse nulla. Attese l’arrivo del giorno.