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Che ora è?

Post n°4 pubblicato il 31 Ottobre 2006 da scrivere_ancora
 
Tag: Prosa

"Che ora è?" - mi aveva chiesto poco meno di due mesi fa, incrociando la mia strada per la prima volta sotto un enorme cartellone pubblicitario.

Mentre lo diceva gli si arricciava il naso adunco, la cui punta si schiacciava e si muoveva lateralmente, quasi a scatti. Le orecchie sporgevano dai radi capelli mal pettinati e dalla sciarpa maldestramente gettata su un vecchio cappotto di lana.

Certamente non sono il tipo che bada a questi particolari, ma il fatto che fosse estate e che il termometro segnasse quaranta gradi, mi costrinse a guardare meglio quella strana figura che mi si parava davanti.

 

Credo di non avere risposto alla sua domanda sull'ora e credo anche, alla luce degli eventi successivi, che lui sapesse perfettamente che ora era in ogni attimo della sua giornata, ma questa è solo una mia illazione ed io voglio tenere in considerazione solo i fatti per riuscire a capire bene la situazione in cui mi trovo oggi.

Gli chiesi di andare a bere una cioccolata calda: mi sembrava in sintonia con il suo abbigliamento ed io mi sono sempre ritenuto un uomo che offre agli altri quello di cui hanno bisogno e non quello che reputa giusto in assoluto. Oggi sono costretto a ricredermi: non è detto che quello di cui le persone hanno bisogno sia quello di cui manifestano l'esigenza, ma questa è quasi un'altra storia e non ho molto tempo.

 

"Mi piace il freddo" - mi disse - "e se ricreo tutto il contesto del freddo, allora sento e sentirò freddo ogni volta che voglio. Non puoi essere certo che io sia pazzo, né che non lo sia," - aggiunse - "né puoi essere certo della stessa pazzia. Forse nemmeno della morte puoi essere certo. In effetti né io né tu sappiamo se l'altro è vivo, oppure se lo siamo noi."

 

Nello stesso istante in cui lo guardai bene in quegli occhi trasparenti e profondamente inabissati nel volto, decisi che dovevo seguirlo, anzi che dovevo condurlo e lo accompagnai con il braccio verso il corso principale in cerca di un caffé dove sedermi con lui a chiacchierare. Fu proprio allora che il cartellone cadde alle nostre spalle fracassando in mille pezzi la sorridente ragazza in bikini che mi aveva spinto a fermarmi lì sotto.

 

Continuammo come se nulla fosse successo, ci sedemmo ad un tavolino in una piazzetta sorridente di gerani alle finestre e ordinammo due cioccolate calde.

"Il tempo ci uccide ed il tempo ci fa vivere." - mi disse all'improvviso - "Ma se ci rifletti bene, in fondo siamo noi a fare vivere lui e questo è uno scambio che ci dà qualche potere sulla vita."

Non gli risposi, non avrei saputo cosa dire, non capivo che potere potesse mai darci, ma le nostre conversazioni erano state così dal primo momento: lui non sembrava attendere una risposta ed io non desideravo darla. Mi sembrava di essere uno di quei gerani rossi intorno a noi: avevo bisogno di acqua e non di ringraziare per averla avuta. D'altra parte lui sembrava volere lo stesso ringraziamento che si può pretendere da un fiore: che viva e cresca con l'acqua che gli dai.

Per due mesi ci vedemmo ogni pomeriggio alle quattro in quel bar. La temperatura si abbassava, ma lui non sembrava notare la differenza: aveva il controllo sul tempo anche da un punto di vista meteorologico. Fu lì che incominciai a pensare che in fondo doveva esserci una ragione se c'era uno stesso nome per le due cose.

"Non è un evento ad ucciderci, nemmeno la vecchiaia," - mi disse un altro giorno - "ma la nostra paura che quell'evento accada. Lì, nella paura, immobilizziamo il tempo dentro di noi, lo uccidiamo, ed il tempo si vendica uccidendo noi."

Un'altra volta ancora si rovesciò addosso la cioccolata e lo vidi perfettamente, ma vidi anche, una frazione di secondo dopo, il bicchiere pieno sul tavolo e nessuna traccia di cioccolata sul suo cappotto.

"Il tempo è una misura discontinua e infinita: gli istanti non hanno una sola dimensione e in un battito di ciglia muoiono mille uomini da una parte del mondo e non succede nulla dall'altra. Tu hai visto cadere il bicchiere e questo nessuno può cambiarlo, ma io ho cancellato la caduta del bicchiere dal mio lato del mondo e questo nemmeno il tempo può cambiarlo. Il tempo vive anche di me e questo mi dà un potere su di lui, te l'ho già detto. Io non lo fermo mai perché fermerei anche me stesso, ma ho scoperto che posso farlo passeggiare avanti e indietro e che posso farlo accelerare o rallentare quando voglio."

Nemmeno questa volta gli dissi nulla, era come se nessuna idea fosse impossibile vicino a lui, come se lui avesse scelto me per non essere più solo e che mi dicesse solo quello che già dentro di me in qualche modo sapevo.

L'unica cosa a cui cercavo di pensare, tornando a casa ogni pomeriggio da mia moglie e dalle mie bambine, era: "Perché? Perché l'ho incontrato, perché sta succedendo? Perché capita a me che ho sempre vissuto il tempo come se fosse un intervallo fra la morte e la morte, uno scherzo del destino, un prestito con interessi smisurati in dolore e perdita?"

 

Ed è ancora questo che mi chiedo adesso, sotto questo cartellone, fra i pezzi di una ragazza in bikini, e devo decidere se sono passati veramente due mesi, se quel naso con la punta elastica è esistito, se è inverno o estate, se posso prendere il mio lato della vita e fargli fare una corsa indietro ed un'altra avanti mentre le mie bambine fanno merenda con calma e mi aspettano. Devo decidere se è vero quell'angolo di cappotto che intravedo fra gli strappi di cartone e acciaio e se la cioccolata è caduta, o cadrà, e se fa differenza il tempo del verbo o solo la mia paura.

 

Adesso devo decidere se credere di essere ancora vivi è già vivere.

 
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