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Marino (leggenda di un cretino)


 dedicata ad Antonio De Blasi  Detta occasione si rivela speciale Perché mi s’ascolti con desta attenzione Ho meco un racconto dal fine morale Che smembrerà ogni vostra illusione Viveva a quel tempo là nel paese Un tapino chiamato Marino Non fu ricordato per le sue imprese Ma per l’esser invece un grande cretino Già la prim’alba fu di preludio Poiché avvenne un fatto assai strano Molti per questo lo presero in odio Par che la mamma partorì dall’ano L’epiteto fu presto assegnato Era evidente il suo impedimento Il padre si suicidò disperato La madre impazzì dal tormento Si pisciò addosso fino ai vent’anni Prese gli schiaffi pure dal prete Marino fu parco d’intelletto e d’affanni Una titanica testa d’ariete Rideva sempre, povero pazzo Di fronte ai lebbrosi e nei cimiteri Ai funerali creava imbarazzo Cantava allegro senza pensieri Avvenne un dì mentr’era a giocare Che il suo amichetto cadde nel fosso Marino fissò ebete quel busto affondare Come se nulla fosse successo In paese crebbe lo sdegno E riempirono il fanciullo di botte Ma un cretino non trova certo l’ingegno Specchiandosi il volto con l’ossa rotte Qualcun si giovò delle sue condizioni E lo spogliò di tutti i danari Qualcun altro lo usò per certe azioni Smidollata pedina dei malfattori Gli anni trascorsero eguali Finché la peste giunse in regione Non risparmiò uomini né animali Figurarsi il nostro fregnone Marino rideva anche nel letto Ammassato fra gli altri appestati Lo maledirono pel nullo rispetto Che sembrava schernire quei disperati “Dovevamo internarlo da quando era nato!” Esclamò un giudice con forte rancore “Perché sorbirci codesto sfacciato Che ride qui ora sul nostro dolore?” Nera Signora si affacciò presto E tosto pregarono col cuore dolente S’udì nel buio un rantolo mesto “Prendi il cretino e risparmia noi sani di mente!” Ma la Sua falce recise ogni testa E tutti creparono con smorfia d’orrore Sia da lezione per chi ancora qui resta L’epilogo è uguale per il cretino e il dottore