PIERSILVIO

RIFLESSIONE


…[omissis]…. E’ il caso di un paziente che registra un arresto cardiaco oppure un trauma cerebrale, viene soccorso immediatamente, trattato con la rianimazione e le terapie intensive, che riattiva il battito cardiaco impedendo la morte immediata per arresto cardiorespiratorio. Il paziente così trattato rimane più o meno a lungo in coma e poi ne esce, ma non si risveglia (può aprire gli occhi, ma non può risvegliarsi) perché si trova ad avere la corteccia cerebrale - la parte esterna del cervello - completamente priva di funzioni (“spenta”). Il paziente esce dal coma per entrare in una particolare condizione definita stato vegetativo persistente, prima, e poi permanente. Come è noto la corteccia cerebrale (la più recente se consideriamo i tempi lunghi presi in considerazione dall’evoluzione delle specie viventi) è la sede dell’intelligenza, della coscienza, della vita di relazione. La morte di tale corteccia costituisce la cosiddetta morte corticale, chiamata anche morte personale perché con tale morte morirebbe la persona. E’ il caso di dire che il paziente in questione possiede tutte le altre funzioni vitali: quelle che regolano i meccanismi automatici quali la respirazione, il sonno, la digestione… e che sono radicate nella parte più profonda del cervello e che è anche la parte più antica dal punto di vista dell’evoluzione e la più resistente alle lesioni traumatiche e da carenza di ossigeno. …[omissis]….Tratto da: CORSO DI BIOETICA - Relazione del dott. Luciano Orsi(Responsabile U.O. Rianimazione Ospedale Maggiore di Crema, Membro della Consulta di Bioetica Milano) Da giorni vado riflettendo, come molti altri, sul “caso” di Eluana e mi chiedo cosa sia giusto o sia sbagliato fare o pensare. Sono sempre stata contro gli accanimenti terapeutici e a favore della libertà di scelta individuale, compresa quella di poter optare per una fine “dignitosa” nel momento in cui si sia persa la fiducia, la speranza, la considerazione di sé. Ma, devo ammettere, la condizione di questa donna sfortunata rappresenta una variazione sul tema che mi disorienta.Soprattutto perché, in questo caso, la libertà di scelta “individuale” non è applicabile: a decidere della sua sorte sono chiamate persone, in larghissima parte a lei estranee, che non possono che decidere secondo il loro sistema di valori.Il punto, credo, sta nel cercare di capire che significato abbia la parola “vita” o, sul lato simmetrico, della parola “morte”. Anche in questo caso, l’accordo è tutt’altro che unanime. E’ “vivo” qualcuno che non può fare niente più che assolvere le fondamentali funzioni biologiche? E’ “morto” qualcuno il cui cuore continua a battere e che, salve le funzioni biologiche di base, può, anche irragionevolmente, aspettarsi il verificarsi dell’imponderabile? Mi chiedo su quali basi possa prendere una decisione un giudice, che titoli o autorità abbia per stabilire in modo vincolante quale sia il “diritto”. Il diritto di chi, specialmente. Se la comunità è disposta a riconoscere al giudice questo potere, allora perché non demandare all’autorità giudiziaria la facoltà di emanare sentenze in merito all’esistenza di Dio? E, se non decide un giudice, chi decide? Il Congresso? Sarebbe un passo indietro rispetto alla scelta di “laicità” di un Paese, perché una presa di posizione in sede legislativa sancirebbe l’obbligo per tutti di conformare la propria coscienza ai valori della maggioranza. I familiari? Ma quali familiari? I genitori? Il/La consorte? I figli? Ancora una volta, siamo fuori dalla libertà personale del destinatario della scelta. I medici? Qualcuno di loro, in piena coscienza, potrebbe sancire l’impossibilità di un evento causato da circostanze ancora sconosciute che restituisca la “vita” alla paziente? E’ un labirinto inestricabile dove è più facile capire chi non dovrebbe o non potrebbe prendere iniziative rispetto a chi dovrebbe o potrebbe.Mi fermo qui, ma non prima di aggiungere l’amara riflessione promessa nel titolo. Hanno deciso di staccare non si sa quando la cannula che alimenta Eluana. Questa decisione comporta due ordini di conseguenze. E’ fuori di dubbio che si tratti di una condanna, ma stabilisce anche le modalità dell’esecuzione. Morte per fame e sete.Perché un assassino può trovare “conforto” in una iniezione letale e una povera disgraziata deve pagare anche il prezzo di una esecuzione disumana?