PIERSILVIO

UNA GIORNATA ALL'IKEA SENZA IBRAHIMOVIC


Una giornata al “regno della casa lowcost” ma, soprattutto, a contatto con lo “stile svedese”. Alla disperata ricerca di un pizzico di italianità.Sabato al Centro Ikea, dalle mie parti fuori città, ad Afragola. Arrivo rapido, da casa mia cinque minuti, benissimo collegata con segnaletica e logistica impeccabili e non chiedetemi perché (chè sapreste benissimo rispondervi da soli).C’E’ UN GRANDE PRATO VERDE - Si arriva a questo grande spiazzo per le macchine : lo chiamano parcheggio (gratuito) per le famiglie. Sui single ci sarà la tassa sul celibato detta anche parcheggio a pagamento. O magari taglio delle ruote e così via: c’è gente che si fidanza apposta per venire a Ikea, suppongo, messa così. Subito noto una particolarità che mi fa indignare: m’han sempre insegnato a non calpestar le aiuole ed invece qui il posto auto è proprio nel verde, o almeno così sembra. La mia inesistente coscienza ambientalista si riaccende (così, per sciovinismo antiesterofilo) imitando alla perfezione Flores (ho già la lettera aperta in mano): poi scendo dall’auto e mi accorgo che in realtà quel verde era solo un’impressione. Ci sono quadratini di cemento con una, due foglioline al massimo ad imitazione dell’originale (e magari saranno anche di plastica). Dall’indignazione passo all’incazzatura piena : mi hanno prima fregato e ora mi devo pure chiedere come ce le aveva corte le manine di chi ha posizionato i fili. D’altronde che Mister Ikea in persona, quel nazista salutista e ambientalista che ha liofilizzato lo spazio vitale in salsa discount, sia di braccino corto ti si rinfaccia subito : non sei neanche entrato e lui , come un vampiro, t’ha già fatto chiedere due volte, “liberamente”, di donare il sangue. Entriamo. Anzitutto un bel cartello tipo alfabetizzazione di massa : per segnare i numeri di codice degli articoli devi prendere lapis e blocco, i lapis sono contati e tu, italiano, non fregarti la busta gialla della spesa (per andare al mare) chè tanto non ci riesci. Reso sgomento da tanta diffidenza svedese, mi dirigo, come prima cosa, al bar. Sono un italiano, perdipiù grasso, ed ho bisogno, prima di cominciare, direttamente della pausa, cioè di caffeina e di mangiare. La cameriera è magra, perché essere grassi fa vivere meno e male. Porta gli occhiali con vetro bianco perché l’occhiale azzurrato alla Califano nasconde i colori veri della vita (ed appunto io li metto). Chiedo il menu con caffè, hotdog e gelato. Mi vien data una cialdina, che a me sembrava, prima che mi fosse chiaro fosse il cono del gelato, un resto di qualche biscotto mangiucchiato. Vedo rimestare una brioscina più bianca che dotata di volume e riempita poi coi guanti da chirurgo di un salsicciotto che ha appena perso venti kg con la dieta di Jane Fonda. Dal sapore magro ed educato in buccia di plastica mi sembrano due ritagli dell’Espresso alla pagina di Augias arrotolati. Ma sarà che sono grasso e ho perso i sapori veri di una vita sana. Un caffettino ino ino, e nonostante sia lungo è di porzione talmente esigua che non si può dire neanche abbian allungato il brodo.continua a leggere QUIGRAN BEL POST DI VINCENZO RICCHIUTI