Post n°16 pubblicato il 16 Gennaio 2015 da bellicapellidgl3
E’ seduto di fronte a me, ha un chiodo di metallo che gli attraversa la lingua e lo fa tintinnare tra i denti con indolenza. Lo osservo senza parlare, quello strano giubbotto di renna sdrucito da giovane hippy di lusso, mi è stato affidato dal mio primario “ Forse tu riesci a cavarne qualcosa”. Cavarne qualcosa. Ha l’aria di chi ha la netta convizione di star lì a perdere tempo, lo sguardo inquieto, non vede l’ora di infilare la porta e tornare alla sua vita di paure nascoste dietro la rabbia e l’insolenza e l’alcool e il barattolo di nutella. Ne ha vuotato uno dieci giorni fa, non ha fatto la sua dose di insulina ed è finito dritto in pronto soccorso. Guardo rapida il suo nome scritto sulla cartella clinica. Marco, si chiama Marco e ha 16 anni. Vive nella sua malattia oberato dalla vergogna, striscia tra i pregiudizi di ragazzetti boriosi per cui avere l’Aids è meglio che avere il diabete. Perchè almeno vuol dire che sei stato con donne. Ha lasciato la scuola. Sua madre l’ho invitata ad uscire, la sua disperazione esasperata e rumorosa alimentava quel ghigno sprezzante che gli vedo ancora stampato sul viso. “Vuole punirla” penso. Ma di questo mi occuperò dopo, ora devo solo capire come depurare lo spazio che mi separa da lui da ogni interferenza, cosicchè possa raggiungerlo, anche solo per un momento. Il camice che indosso oggi mi sembra un isolante. “Mi piace il tuo giubbotto” dice la mia voce, e riesce a suonare casuale. Un guizzo di sorpresa in quegli occhi rabbiosi, subito stemperata dalla diffidenza. Crede che stia per vomitargli addosso l’oracolo del suo futuro di sofferenze, ma servirebbe solo a dargli un’ulteriore spinta lontano da me. Come posso entrare, dimmelo tu; fammi vedere una luce anche se flebile, come posso insegnarti il coraggio e la determinazione e la costanza e la rinuncia; come posso farlo dall’alto della mia poltrona comoda, io che non devo bucarmi per vivere. Io che non so rinunciare. “Non mi frega un cazzo di morire” abbaia. Purtroppo per te non morirai, Marco. E io davvero non so come aiutarti a vivere.
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Post n°15 pubblicato il 12 Gennaio 2015 da bellicapellidgl3
Non è stato un anno facile, dentro di me. Sono rimasta come in apnea, sospesa, me ne rendo conto solo ora. Ma prima ho dovuto fare ordine. Ho preparato tante scatole: in quella più grande ci ho messo la sensazione di rammarico mista a delusione e su in cima ci è entrata anche un po’ del mio colpevolizzarmi per sentirmi sempre responsabile delle dinamiche che falliscono. Io non sono mai indulgente con me stessa, forse a volte potrei concedermelo. Non credevo di potermi di nuovo sentire dentro la mia vita come oggi, io che ho viaggiato così sospesa, a volte la mia vita la sfioravo appena, i pensieri, le sensazioni, proiettate altrove. Ho voglia di ridere. Di condividere con chi mi somiglia davvero. Di ascoltare e spendermi per chi mi corrisponde. Ho finito i bonus per tutto il resto. |
Post n°14 pubblicato il 07 Gennaio 2015 da bellicapellidgl3
Questo mese ho speso tre volte quello che ho guadagnato. E’ che dalla mia estetista proprio ci volevo andare e, neanche a dirlo, me ne sono scelta una a Trinità dei Monti, dentro un grosso centro che condivide con un parrucchiere di vips. Ora, chiamarlo parrucchiere sarebbe riduttivo: se saluti non risponde, un cardiochirurgo di fama mondiale di sicuro sarebbe più alla mano. L’altro giorno mi sono imbarcata nel mio viaggio in metro e ci sono andata. Direi che per la giornata posso ritenermi soddisfatta. Esco e c’è un sole accattivante, piazza di Spagna vista dall’alto pullula di gente impazzita per i saldi. Io ripeto il mio mantra: ”Vattene a casa, per piacere”. Ma la vita è tutto uno sliding doors, cavolo, ci sono cose che proprio devono accadere anche se ti opponi col buon senso. Sono già dentro il tunnel della metro e mi sento chiamare per nome. C’è la mia amica A., è fuggita dai doveri come una ladra, ha quei suoi occhi blu che a volte sembrano viola tanto sono belli, mi abbraccia, sottolinea che è uscita DA SOLA con una missione da compiere: andare al negozio di Tory Burch. Ora voi ditemi. Mi ha vista titubante: “Ma hai da fare?” Io, candida: ”No”. Da Tory non c’è nemmeno la fila (con quei prezzi, vorrei pure vedere). E poi mi innamoro. Di un borsa nera, non molto grande, con la tracolla, posata casualmente su una poltrona, quasi bistrattata mi pareva. Leggo il prezzo: 500 euro. ”Ma questa è bellissima, sembra fatta per te, è elegante, discreta… è la tua, proprio”. No che non è la mia perché ancora non glieli ho dati a Tory quei 500 euro! Non ci eravamo accorte che c’era un’altra sala! Entriamo e gli occhi sono drogati da altre borse e pure scarpe. Ma poi c’è lei. Lì, come una regina, da sola su un ripiano, maestosa, nemmeno mi guarda (figuriamoci). Però io mi avvicino, sfilo il cartoncino del prezzo riposto all’interno: ari 500 euro. Cavolo. Cavolo. “Eh ma ho già acquistato questa”. E lei mi parla come uno spot:” Batti il ferro finché è SALDO”. Serve che vi dica con quante borse sono tornata a casa? Però quanto mi sentivo bene! |
Post n°13 pubblicato il 02 Gennaio 2015 da bellicapellidgl3
Un vestito rosso. “Sarà stato un appuntamento o la forza di gravità oppure un falso movimento a scaraventarci qua”. Perché non è forse così che accade? Un movimento improvviso ci scaraventa di fronte a chi non credevamo nemmeno potesse esistere, il movimento giusto e la vita di colpo riprende i suoi colori, ci fa un regalo inaspettato e lui è lì, vero, senza sbavature, con quell’anima limpida, bello nei silenzi, bello nelle parole. Giochiamo insieme, io provo vestiti, lui è seduto sul bordo del letto, è scalzo, un jeans e una t-shirt di cotone a manica lunga. Mi guarda con aria solenne, nel suo modo serio di prendere le cose sul serio quando deve darmi una risposta, i suoi occhi dietro le ciglia bionde indugiano sui miei fianchi, sulla vita. “Il vestito rosso è bello. Tu sei bella” dice finalmente “ma io direi che sei più tu con quello nero” E’ una serata mite, piena di profumi. Sentiamo la vicinanza del mare. “Come sono contento, fuori si sente il mare, anche se è tutto scuro e non si può vedere. Tu mi guardi negli occhi, io non so dove guardarti. Stasera sono un libro aperto, mi puoi leggere fino a tardi” Più tardi siamo in silenzio affacciati a una finestra, le nostre braccia si sfiorano, le luci della città davanti a noi. Mi guardo attraverso i suoi occhi e sento che sono io, senza sovrastrutture, senza schemi prefabbricati, senza dovermi sforzare di essere migliore. So che lui mi ha colta nella mia parte più profonda . Posso essere io ed è una tale sensazione di libertà che mi vengono le lacrime agli occhi. “Ogni volta che ti vedo penso che potrebbe essere l’ultima volta” dico. Quella è stata l’ultima volta che l’ho visto. Non sono più riuscita a indossare quel vestito rosso. L’ho trovato per caso nell’armadio, due giorni fa. Ho temporeggiato, valutato, guardandolo dal basso lì sulla sua stampella. Poi ho deciso che no, non potevo. Quel vestito non scelto rappresenta per me tutto il “non-scelto”, quello che saremmo potuti diventare e non saremo mai, la donna che forse avrei potuto essere e che non sarò mai, i pensieri, i baci, le pienezze che non avremo mai. Rappresenta quello che non è stato. E proprio non ce la faccio. |
Post n°12 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da bellicapellidgl3
Il web. Questa scatola magica che un giorno mi sembrava magnetica. Questa finestra sul mondo che mi permetteva di attingere nello stesso momento ad infinite vite e possibilità e parole. E’ stato straordinario scoprire come le emozioni potessero attraversare un monitor, prescindere dagli sguardi, dalla fisicità, dal toccare. Prima non lo sapevo. Se lui mi piaceva cominciava tutto da come muoveva le mani, da come si alzava da una poltrona, da come tamburellava con le dita su una parete mentre camminava distratto. Da cose che “vedevo” e arrivavano da qualche parte e facevano scattare l’interruttore. Il web mi ha insegnato che non funziono (solo) così. Ed è stata una rivelazione. Per un po’. E’ stato magnetico. Per un po’. Io che do un valore enorme alle parole, perché a volte è l’unica cosa che abbiamo. In questi luoghi virtuali che fluttuano nell’etere, le persone scambiano. Ho costruito rapporti (rari) usando questo acceleratore insospettato di intimità e, se tornassi indietro, rifarei tutto. Ma. Sono invasa oggi da un senso di nausea. Sono diventata grande, forse. Non mi fido più come una volta della mia capacità di “sentire” l’altro. Prima ero spavalda di questo mio presunto talento. Oggi non lo so più. So che il mio istinto può fregarmi, io che non penso mai che qualcuno possa fregarmi. So che in questo strano iperspazio matrixiano, chiunque può essere abile ad apparire ciò che non è. E può farlo anche su lunghi percorsi. Potrei ritrovarmi ad accettare un invito a cena dall’uomo ragno, per dire. Oggi voglio “toccare”. Ho bisogno del calore reale di una persona con cui scambio. Voglio poterla sfiorare mentre camminiamo. Toccare una coscia mentre ridiamo seduti ad un bar. Stare in silenzio. Quanto mi manca stare in silenzio. Voltarmi per un attimo mentre ci allontaniamo dopo esserci salutati. Voglio annusare. Parlare senza staccargli gli occhi di dosso. Guardare dove voglio. Guardarlo addosso. Sapere che è vero, non è solo scritte, non è solo voce. Ci sono mancanze che le parole non possono riempire. Per quanto belle. Per quanto potenti. Io posso essere migliore delle mie parole.
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