La voce di un uomo

Il 9 parlo del 4


Chiedo scusa per il ritardo, ma volevo dedicare un intervento alla cosiddetta "Giornata della vittoria", che si tiene il 4 novembre e che come forse sapete è tornata ad essere festa nazionale.Il 4 novembre 1918 fu firmato l'armistizio tra Italia ed Austria-Ungheria. Come la storia ci tramanda, l'Italia uscì vincitrice dal conflitto. Bene. Sono il primo ad esser contento che questa festa sia stata ripristinata, ma non vorrei che fosse vista in un'ottica sbagliata. Qualcuno ha voluto inneggiare alla gloria dei soldati caduti coraggiosamente. Gloria? Proprio questa parola non mi va affatto giu. La prima guerra mondiale ha rappresentato, per tutte le nazioni partecipante al conflitto, nient'altro che un totale massacro, inutile quanto stupido. Non mi si dica di no. Ho dato la mia tesina di maturità proprio sulla vita degli uomini protagonisti della Grande Guerra, ho letto i libri di Lussu e Remarque. Da tutte le testimonianze si evince quanto quella Gloria non fosse altro che un'illusione, la quale spinse una generazione a combattere e la fece ricredere. «Ricordiamo con onore i nostri soldati morti per la patria». Morti per la patria? Morti per le futili ambizioni di gente ottusa mossa da manie di grandezza. Nessuno, tra coloro che son potuti tornare dalla guerra, ha mai parlato di sentimento patriottico. La Prima Guerra Mondiale fu la guerra dei soldati che se non andavano avanti venivano fucilati. Fu la guerra in cui, quando un gruppo commetteva un errore, subiva la decimazione, la guerra in cui, coloro che erano prossimi alla chiamata, piuttosto che andare al fronte, si tagliavano la gamba. La guerra dei lanciafiamme, la guerra dei gas che prima di uccidere davano enormi sofferenze fisiche alle vittime. La guerra del: "Abbiamo abbandonato Monte Fior perché ci era stato ordinato di farlo, ma adesso l'ordine è di riprenderlo". La guerra del: "Chi ha dato l'alt comandante? Lo faccia fucilare". Sono d'accordo col fatto che la giornata della vittoria sia tornata ad essere festa nazionale, ma dev'essere un'occasione per riflettere sugli errori compiuti, riflettere su ciò che fu quel conflitto: una totale barbarie priva di significato alcuno. E non la si paragoni, per favore, alla giornata della Liberazione. Il 25 aprile segnò la fine della dittatura e l'inizio della democrazia. Il 4 novembre segnò la fine di un inutile massacro, ma non portò nulla di positivo che non vi fosse già prima del 1914 (Eccetto Trento e Trieste. E ad ogni modo i confini furono ridisegnati nuovamente dopo la seconda guerra mondiale). Chiedo a tutti coloro che guardano a questa festa come un evento glorioso di leggersi "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Remarque. Ma poiché so che ben pochi lo faranno, invito a leggere il frammento di una lettera di un soldato pistoiese che riporto qui sotto:"Se non si muore oggi si muore domani, perché cara mia scamparla in questa scamparla in quest’altra e dagli un mese e dagli due, dagli cinque e dagli dieci e dagli dodici e quattordici giorni, poi un giorno bisogna cadere e non si puole sfuggire…” Ricordare e riflettere su ciò che accadde è una cosa molto intelligente e costruttiva. Riattaccarsi a sentimenti che spinsero milioni di giovani ad andare al fronte e li fecero morire dopo essersi pentiti della loro scelta è un offesa ai caduti oltre che un atto di cocciutaggine.