Piazza delle Erbe

angelo e adriano


C’era una volta un bambino col cappotto bianco e un testone pieno di boccoli. C’erano un mangiadischi di plastica rosso e un giradischi grigio azzurro già allora consumato agli spigoli. E c’erano tanti 45 giri che quel bambino ascoltava e mandava a memoria grazie al suo fratellone; dischi perlopiù finiti rigati, rotti, squagliati dal sole, ingoiati da un trasloco di troppo. Quei 45 giri si intitolavano Viola, Una storia come questa, Azzurro, Sotto le lenzuola, Canzone, Una carezza in un pugno, e poi, soprattutto, Storia d’amore: quel bambino non sapeva perché, ma avrebbe giurato che neanche da grande avrebbe dato a una donna che gli piaceva «uno schiaffo all’improvviso (…) rimandandola da te». Gli anni passarono, arrivarono i cinepanettoni, Joan Lui, i figli della foca, quei silenzi che ruppero il giocattolo del sabato sera, e poi ancora il lento e il rock, Tricarico e Gianni Bella: eppure, per il bambino di allora, Celentano è sempre quello delle stesse canzoni che ora albergano nel suo ipod, al sicuro dai graffi e dal troppo calore; Celentano è l’ottima spalla di Renato Pozzetto in Ecco noi per esempio, commedia surreale che racconta l’Italia degli anni Settanta molto meglio di certo cinema impegnato dell'epoca; e Celentano è il cantante di Si è spento il sole, che vent’anni dopo quel bambino si ritrovò a ballare sotto i portici di Bologna con L.: in quel momento lei si accorse che avrebbe potuto innamorarsi di lui, ma entrambi sapevano che era ormai troppo tardi.
Da grande voglio mettere i dischi alla radio, autore sconosciuto, primi anni Settanta