Piazza delle Erbe

effetti collaterali/3


Abbordato, non ci sono dubbi, ma mi accorgo drammaticamente che non ne ho nessuna voglia. È successo tutto talmente in fretta che sembra la scena di un brutto film. So che eravamo in coda in biglietteria e ora viaggiamo insieme sul treno. Come in un vecchio cartone della Warner ho due vocine nella testa: una che mi spacca le gonadi con «Ha delle belle tette, veste come piace a te, le piace camminare. Chiedile il numero di telefono», l'altra che cerca di trovarle tutti i difetti del mondo («È originaria di quel postaccio dove una volta stavi per ammazzarti con la macchina. Probabilmente è vegetariana, sicuramente è troppo salutista. Fa la maestra, sarà sicuramente maestrina anche nei rapporti interpersonali. Poi hai visto che amica odiosa che ha?»). Mando affanculo le voci, quasi conto i minuti che ci separano dall'arrivo. Scende, saluti. Nel migliore dei mondi possibili saremmo in un romanzo di García Márquez e tutto avrebbe un senso. Lei che ha tutto per rintracciarmi tranne il telefono, se volesse ci metterebbe niente. Ma la vita non è Macondo e io non ci posso ripensare. Sono (e)stran(i)amente sollevato, e non ne capisco il motivo.