Piazza delle Erbe

Centosessantadue facciate da stampare, centootto fogli da piegare, cinquantaquattro firme da apporre in calce, cinquantaquattro etichette da incollare, cinquantaquattro buste da affrancare, cinquantaquattro curriculum che partiranno domani per chissà che destino. In sottofondo telefonate senza mani finché il collo si incricca, alternate ai Litfiba che si trasformano, dal prog pretenziosetto degli esordi al poppetto d'addio, passando per il rock dei tempi d'oro. Stampa, firma, piega, incolla: un lavoro lungo e noioso ma che non richiede l'uso del cervello, il motore gira al minimo, è quasi rilassante, come lavare i piatti alle tre di notte. Faccio anche quello, infatti. E finisco un libro che mi angoscia ma che non riesco a smettere, anche quando capisco che volge verso un finale accelerato che non mi piacerà. Le campane non hanno pietà neanche a quest'ora, pagherei perché almeno suonassero in sincrono. Vorrei telefonare, ma a quest'ora a chi? Qualcosa fuori fiotta senza fine, come una lunghissima pisciata: mi affaccio (nudo, ma a quest'ora chi se ne accorge?) e scopro che hanno solo dato l'acqua alle piante del Comune. La tisana è gradevole ma stanotte servirà solo a dissetarmi. Mangio tre biscotti, una colazione anticipata o forse il recupero di quella persa stamattina. Accendo la tv, scopro con raccapriccio che Gabriele La Porta è ancora vivo. Altrove vendono attrezzi per dimagrire o per cucinare, e c'è un women in prison di una bruttezza terrificante con Pam Grier che fa la secondina: era meglio quando davano i porno. La palpebra cala, è un attimo, ne approfitto. Quattro ore a disposizione, speriamo non arrivino i sogni.