Conversionecologica

Rinascita dell'uomo epimeteico di Ivan Illich (seconda e ultima parte)


Lo stato d'animo dei giorni in cui viviamo è propizio a una svolta fondamentale nella ricerca di un futuro che sia aperto alla speranza. Gli obiettivi delle istituzioni contraddicono infatti continuamente i loro prodotti. Il piano contro la povertà fa aumentare il numero dei poveri, la guerra in Asia quello dei Vietcong, l'assistenza tecnica il sottosviluppo. Gli ambulatori per il controllo delle nascite elevano i tassi di sopravvivenza ed espandono la popolazione; le scuole producono un maggior numero di evasori; e mettere un freno a un tipo d'inquinamento significa di solito accentuarne un altro. La massa dei consumatori comincia ad accorgersi che quanto più può comprare, tante più delusioni le tocca ingoiare. Sino a non molto tempo fa sembrava logico dare la colpa di questa epidemia di disfunzioni al ritardo della scoperta scientifica rispetto alle richieste della tecnologia, oppure alla malvagità dei nemici etnici, ideologici o di classe. Ora Je aspettative di un nuovo millennio scientifico come quelle di una guerra che ponesse fine a tutte le guerre sono tramontate. Il consumatore esperto non ha modo di ritornare a una ingenua fiducia nelle tecnologie magiche. Troppe persone hanno avuto brutte esperienze con computer nevrotici, infezioni prese in ospedale e ingorghi ovunque ci sia traffico, per le strade, sulle rotte aeree o nei telefoni. Ancora dieci anni fa la saggezza convenzionale preannunciava un mondo migliore basato sul progresso della ricerca scientifica; adesso gli scienziati spaventano i bambini. I lanci sulla luna costituiscono un'affascinante dimostrazione che si possono eliminare quasi completamente gli errori umani nel funzionamento dei sistemi complessi, e tuttavia ciò non placa la nostra paura che l'impossibilità umana di consumare secondo le istruzioni possa sfuggire a ogni controllo. Neanche il riformatore sociale può tornare agli assunti degli anni quaranta. È svanita la speranza di superare il problema della giusta distribuzione dei beni creando un'abbondanza dei beni stessi. Il costo minimo dei prodotti che possono soddisfare i gusti moderni è salito alle stelle, e ciò che rende moderno un gusto è il fatto di passar di moda prima ancora di essere soddisfatto. I limiti delle risorse del pianeta sono divenuti evidenti. Nessun balzo in avanti della scienza o della tecnologia potrebbe procurare a ogni abitante del mondo i beni e i servizi oggi a disposizione dei poveri dei paesi ricchi. Per raggiungere questa meta, anche con la più “leggera” delle tecnologie alternative, occorrerebbe infatti, per esempio, estrarre ferro, stagno, rame e piombo, in quantità cento volte superiore all'attuale. Infine, insegnanti, medici e assistenti sociali s'accorgono che le loro prestazioni professionali, pur così diverse, hanno almeno un aspetto in comune: creano cioè ulteriori richieste degli interventi istituzionali da loro forniti, prevenendo e superando le loro possibilità di fornire servizi istituzionalizzati. Non semplicemente qualche parte, ma la logica stessa della saggezza convenzionale comincia a essere revocata in dubbio. Persino le leggi dell'economia non sembrano più tanto convincenti, fuori degli stretti parametri che si riferiscono all'area sociale e geografica dove è concentrata la massima parte del denaro. Il quale denaro è effettivamente il mezzo di scambio più a buon mercato, ma solo in un'economia strettamente legata a un'efficienza che si misuri in termini monetari. Sia i paesi capitalisti sia quelli comunisti, nelle loro forme diverse, misurano l'efficienza secondo i rapporti tra costi e profitti espressi in dollari. Il capitalismo, per asserire la propria superiorità, ostenta un tenore di vita più alto. Il comunismo vanta invece un più elevato tasso di sviluppo come indice del suo futuro trionfo. Ma sotto entrambe le ideologie il costo totale dell'aumento dell'efficienza cresce in progressione geometrica. Le maggiori istituzioni si battono accanitamente per impadronirsi di risorse che non sono elencate in nessun inventario: l'aria, l'oceano, il silenzio, il sole, la salute. E attirano l'attenzione del pubblico sulla scarsità di queste risorse solo quando sono ormai quasi irrimediabilmente degradate. La natura diventa ovunque venefica, la società disumana, mentre si viola la vita interiore e si soffocano le vocazioni personali. Una società che istituzionalizza i valori identifica la produzione di beni e servizi con la richiesta dei medesimi. Nel prezzo del prodotto è compreso il condizionamento che ti porta ad aver bisogno di quel prodotto. La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com'è. In una società del genere il valore marginale è diventato qualcosa che si autotrascende incessantemente. Esso costringe i pochi grandi consumatori a contendersi il potere di esaurire le risorse della terra, di riempirsi le pance già gonfie, di disciplinare i piccoli consumatori e di impedire le attività di coloro che ancora trovano soddisfazione nell’ arrangiarsi con ciò che hanno. L'ethòs dell'insaziabilità è dunque alla radice della devastazione fisica, della polarizzazione sociale e della passività psicologica. Una volta che i valori sono stati istituzionalizzati in processi programmati e meccanizzati, i membri della società moderna credono che il vivere bene consista nell'avere istituzioni che definiscano i valori di cui essi e la loro società ritengono d'aver bisogno. Il valore istituzionale può essere definito come il livello di produzione di una istituzione. Il valore corrispondente di un uomo si misura secondo la sua capacità di consumare e degradare questi prodotti istituzionali, e di creare in tal modo una nuova - e anche maggiore - richiesta. Il valore dell'uomo istituzionalizzato dipende dalle sue capacità di inceneritore. Per usare un'immagine: egli è diventato l’idolo delle sue opere. L’uomo definisce ormai sè stesso come la fornace che brucia i valori prodotti dai suoi stessi utensili. E questa sua capacità non ha limiti. Il suo è l'atto di Prometeo portato all'estremo. L'esaurimento e l’inquinamento delle risorse della terra sono, soprattutto, l'effetto di una corruzione dell'immagine che l'uomo si fa di se stesso, di una regressione della sua coscienza. Qualcuno preferirebbe parlare di una mutazione della coscienza collettiva, che porta a vedere nell'uomo un organismo dipendente non dalla natura o da altri individui, ma dalle istituzioni. Questa istituzionalizzazione dei valori essenziali, questa fede che un processo di trattamento programmato finisca col dare i risultati desiderati da chi lo subisce, questo ethos consumistico sono al centro dell'illusione prometeica. Gli sforzi per arrivare a un nuovo equilibrio nell'ambiente globale dipendono dalla disistituzionalizzazione dei valori. Il dubbio che nel concetto di homo faber vi sia qualcosa di strutturalmente sbagliato si va sempre più diffondendo in una minoranza sparsa in tutti i paesi, comunisti, capitalisti e “sottosviluppati”. Questo dubbio è la caratteristica comune di una nuova elite. Appartengono a essa individui di ogni classe, reddito, fede e civiltà. Essi sono giunti a diffidare dei miti della maggioranza: delle utopie scientifiche, del diabolismo ideologico e dell'aspettativa del giorno in cui beni e servizi saranno distribuiti con una certa eguaglianza. Hanno in comune con la maggioranza la sensazione d'essere in trappola e, ancora, la consapevolezza che quasi tutte le nuove scelte politiche adottate con vasto consenso approdano regolarmente a risultati che sono clamorosamente opposti ai loro fini dichiarati. Ma mentre la maggioranza prometeica degli aspiranti esploratori spaziali continua a non affrontare il problema strutturale, la minoranza emergente critica il deus ex machina scientifico, la panacea ideologica e la caccia ai diavoli e alle streghe, e comincia a dar forma al proprio sospetto che le nostre continue illusioni ci leghino alle istituzioni contemporanee come le catene legavano Prometeo alla roccia. Una fiducia piena di speranza e l’ironia classica (eironeia) devono allearsi per denunciare l'inganno prometeico. Si ritiene di solito che Prometeo significhi “il preveggente” o anche “colui che fa avanzare la stella polare”. Egli sottrasse abilmente agli dèi il monopolio del fuoco, insegnò agli uomini a servirsene per forgiare il ferro, divenne il dio dei tecnologi e finì legato a ferree catene. La Pizia di Delfi è stata ora sostituita da un computer che troneggia sui pannelli e perfora schede. Gli esametri dell'oracolo hanno lasciato il posto a istruzioni in codici di sedici bit. L’uomo timoniere ha ceduto la barra alla macchina cibernetica. Sta per comparire la macchina definitiva che guiderà i nostri destini. I bambini fantasticano di volare con le loro astronavi lontano da una terra al crepuscolo. Dalla prospettiva dell’uomo giunto sulla luna, Prometeo potrebbe riconoscere nell'azzurra e splendente Gaia il pianeta della speranza e l'arca dell'umanità. Una nuova consapevolezza dei limiti della Terra e una nuova nostalgia possono oggi aprire gli occhi agli uomini e portarli a condividere la scelta di Epimeteo che sposando Pandora sposò la Terra. A questo punto il mito greco diventa una profezia carica di speranze, perché ci dice che il figlio di Prometeo era Deucalione, il timoniere dell'arca che, come Noè, resistette al diluvio e diventò padre di una nuova umanità, che egli fece con la terra unitamente a Pirra, figlia di Epimeteo e di Pandora. Incominciamo così a capire che in realtà il pythos che Pandora ricevette dagli dèi è il contrario di una scatola: è il nostro vascello, la nostra arca. Abbiamo ora bisogno di un nome per chi crede più nella speranza che nelle aspettative. Abbiamo bisogno di un nome per chi ama più la gente dei prodotti, per chi crede che Non ci sono uomini poco interessanti. Sono i loro destini storie di pianeti. Tutto, nel singolo destino, è singolare, e non c'è un altro pianeta che gli somigli. Abbiamo bisogno di un nome per chi ama la terra sulla quale tutti possono incontrarsi. Ma se qualcuno è vissuto inosservato - e di questo s'è fatto un amico - tra gli uomini è stato interessante anche col suo passare inosservato. Abbiamo bisogno di un nome anche per chi collabora con il proprio fratello prometeico ad accendere il fuoco e a foggiare il ferro, ma lo fa per accrescere la propria capacità di assistere, curare e aiutare gli altri, sapendo che Ognuno ha un mondo misterioso tutto suo e in esso c' è l’attimo più bello e l'ora più angosciosa, solo che noi non ne sappiamo niente. [1] Propongo che questi fratelli e sorelle pieni di speranza vengano chiamati uomini epimeteici. --------------------------------------------------------------------------------[1] Le tre citazioni sono tratte dalla poesia “Uomini” di Evgenij Evtusenko (In Non sono nato tardi, traduzione di Ignazio Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1962).http://www.altraofficina.it/ivanillich/default.htm