Giuseppe Ligresti

... da "Attestati di Morte"


Credevi a un malato tisico?Invece no, vivo ancora!Con la mia toga,con la stessa vogliadi difendere il mio Delirio,con le mie museche a volte arrivano,violentano le mie sillabee inaspriscono le mie vocalifino a stuprare l’Istante.E vanno vialeggerecome l'Incanto,-distrattamente distratte-distruggendosi in un Tempo per giocarne il Tormento,pregando a Dio un giorno ancoraper provare a squartarmi,per giungere al mio Urlo.E così mi concederònel mio Maggio bruciando nel rosso, nel terrore  d’essere apparso una canaglia.  ---------------------------------------------------------------------- Quegli occhi così azzurrisplendevanodi una Bellezza cadaverica. Fiammeggiante, atavica,girava, rigiravatra le colonne sacre,poggiava gli zigomi ad un capitello.E io immaginavo di mostrarla nuda nelle trinceeo di vederla nuda nella nostra alcova muta.In mezzo al Tempogiacevo con la lussuria intellettualepredicando le distanze chemi allontanavano da Dio,mostravo solidarietàper quella Dinamo disarmanteche convertiva ora il mio allarmismo, il mio Golgota, in emozioni sub-umane,che sfiorava appena il mio orecchio-il silenzio ubriacodegli estratti d’oppio-con l’idea di estasiarmi nel focolaio del Linguaggio nuovo. Wall Street faceva ora il bello e il cattivo tempoe i ragazzi danzantisi scambiavano nell’arenabaci languidie masturbazioni cerebrali. Quegli occhi così azzurri splenderono d’un trattodi un’Assenza cadaverica. ---------------------------------------------------------------------- Insoliti decadenti bisogni vennero a colpirmi  in quel cielo di pura estate.Venne il momento di esorcizzare i miei istintie non importava se il vino rosso ardeva il ventreo se era solo un vizio quello di credermi morto;esigenze, dolori e ancora illusionicolpirono i miei orizzonti.  Genuflesso a un altare,al Ricordo,sprigionai la mia voce:“Cala su di meTenebra ottemperata dal dolore,raggiungimi in questa spiaggia desertae toccami con la Luce,e io, naufrago di un mare in solitudine,avvisterò immaginifici vascelliche solcano le ondee i rimpianti,per inabissarsi nell’indacoe fra le alghe della memoria”. Accadde per la prima voltache Qualcuno mi stesse a sentiree un rantolio infinito inquinò quei dolci istanti:Dissestare le radicie dissacrare il Tempoper scrutare la Potenza di Dio. ---------------------------------------------------------------------- Fu in quel giorno d’inverno,mentre i fumi s’alzavano lesti verso cielo,verso quel cielo che rendeva promesse,che la vidi ai miei occhi come una reliquia,e lei  saltellava fra la onde e il mio giudizio.Poi, capitò di perderla nel caldo dell’estate,il vento che batteva ad occidente,verso Sud,cambiò d’un tratto direzione,fino a spargerla come petali cadutisu un campo bellico, gelido più del marmo.La portò a danzare altrove,a Salonicco, a Lisbona,scommisero di averla vista passeggiare per le vie di Pigallee muovere i passi fino all’Irriconoscibilegusto della vittoria.Ed io stetti ancora lìcome quel giorno d’inverno,ad assaporare l’ebbrezza di un ritornodivenuto oramai stridentecome il suono degli addii.