Giuseppe Ligresti

da "Un cielo rivestito d'altre stelle"


***Avvolto in veli rugosiscavo ogni giorno il domani,peccato che la mia vangasia troppo corta per scorger lontano.Poco aggraziato strascino i miei passi,la ricerca di Diomi getta tra rive nascoste,fra plumbei scogli che ho sempre vissuto;troppe navi ho vistoattraccare a quei molitroppo sangue è passato tra queste mie mani.Sono ioil vecchio che vedi alla serabighellonare tra le vie del centro,cianciare di cose mai viste,e m’accompagno di solitudinegiù per contradefino a scoprire l’arrugginita inferriatae osservare le memorie di vecchi “Tre Sette”,alla vista celata di vecchi cipressi.Sono oramai le due,non c’è più luceper un vecchio contrabbandiere,che la notte non mi abbandoni,ho ora paura di addormentarmi,rimango tra i beceri scartiancorati alla vita.  ***  Quando Roma investe la nottenei suoi segreti sguardiil confine più oscuro ha faccia d’assassino,e nel volto magro del cristo risortoinveisce con l’ardore amatola vita moribonda che cede il passo.Nelle pagine ignare dell’avveniretracciasti un filo di vergognae se l’uomo è talmente solonon è stato mai così in pericolo.La realtà ti sputa in facciail bordello delle tue passionie nella ricerca della verginitàscopri l’allettante voglia di rivalsa;ecco l’erboso suolo tingersi di rosso,ecco l’omertà venire avanti per mano degli ignotiecco l’illusorio amare di una bestiasoprassedere sugli avanzi del cuore.In grembo portasti voci che deliberavano sentenze,che parlavano come il pazzo sul ponte di Trastevere,ma perché mai non sapesti di quell’aperto spiazzoe di quell’inumano grido che già portavi in tasca?***Io cerco la guerrama trovo solo l’Oriente,tra i visi nascosti di piccole bestie,il volo c’è stato ma è stato ignorato,il primo ministro ha la pancia profonda.C’è chi lancia la palla oltre il confinetra le pozze di piscio stranieroe nell’attesa del lesto ritornorimbomba un fragore annunciato.Letti ora caldi di sangue versato,per delle assenze frugate nel vuotol’orrore non canta le gestama i resti raccolti, dal padre in pensione.L’urlo è assordante,vedove e madri,l’odio stretto tra i denti, come macerie.Basteranno mai i tuoi semi di ginestrasparsi tra gli obbrobri di Baghdad?   *** Tra la fitta nebbia odor di rugiadaecco l’usignolo a cantarmi la notte,il sacrificio perenne di me crocifissoè quando finisce e ritornaal delirio quotidiano.L’oscuro mio sentimentobattezza le passioni delle mie seree lungo il passeggiare indomitosugli avanzi del tempo,il cuor mio gramoper cose mai veduteestende il passo ad occidente;e quando dalle finestre adornatesi sente il caldo appiglio d’odor nataliziotutto ciò è un oltraggio alla mia intelligenza,perché se il morir è ormai maturonei campi, come nei campi di calcio,l’uomo medio assume contorni di sottoproletario.Così riprendo i miei borghi,le feritoie della mia generazionee come l’homo ricercala brutalità nell’uomo vile,io ricerco in lui la dolcezzaper l’uomo amato.