Giuseppe Ligresti

Fratelli


 Fratelli Tu fratello, che t’annerisci al picchio del sole africano,e tu che ti strascini fra i monti d’Alsazia,di nostalgia muore nei campi e tra le mani dell’aratrola vostra sfiancata stanchezzaproletaria, sottoproletaria, schiava.Alle narici la polvere, la terra dei padricome l’asfalto indurito delle vie enormidella Capitale, di Milano, di Genova,così l’immagine stridente dell’uomo medioche macina il proprio tempo a rincorrerela rabbia e poi ancora l’odore dei porci,l’appartamento e il verso della civetta.Le rogge versano sangue alle sorgentiin ogni crepuscolo del giorno,salubri alle vene elitarie del padrone,e come la sacerdotessa di Ecateil primitivo borghese realizza riti di fertilità,e riemerge dal seme il seme,dal denaro il denaro.Le frescure delle dodici, degli olmi, ricuciono la morte alla vita,mani unte di salumi, oli e spezie, imbrattano le labbra, gli zigomi, gli alitidelle schiene spezzate;sogna le cosce dell’amante,con occhio semichiuso, disteso nei suoi stracci,lo sporco contadino,sogna anarchia, evasione, il vino,o forse solo ripresentarsi al grembol’illuso contadino,e s’assopisce a vana attesa.Poi ancora ritorna l’ora di lavoro,morte e ancora morte,sorte selvaggia e bastarda,la storia non mutae la terra dà ancora frutti,ma ancora mortiche addolciscono il maree rendono deserti i camposanti;è pietra scolpita, la vita,nei campi s’arrossisce di vergogna,ed al cuore resta un grido represso.E nelle case si attende il pane.